Indagine sulla condizione femminile nella società e nel governo del Paese

Milano, 17 ottobre 2003

La prima indicazione sembra incoraggiante: secondo la ricerca condotta da Arcidonna su un campione di 5.000 individui, oltre un terzo delle donne italiane dichiara di avvertire negli ultimi anni un deciso miglioramento del proprio tenore di vita.
Ma attenti a non tirare conclusioni affrettate sullo stato di salute della popolazione femminile del Paese. Se si chiede alle donne una valutazione sulla loro condizione attuale, la situazione cambia: all’incirca una donna su quattro si dice profondamente scontenta della propria posizione e del proprio ruolo nella società.
Le ragioni di questo malessere?
I dati che emergono dalla ricerca ne individuano uno principale: a parità di responsabilità e di impegni lavorativi sulle donne continua a pesare quasi completamente il carico degli impegni familiari. In media, ognuna di loro deve dedicare almeno 3 ore al giorno ad attività che riguardano l’ordine, la pulizia della casa e il mangiare. L’uomo non più di una. Se poi ci sono dei figli la forbice si allarga: le ore di carico familiare per le donne diventano almeno 60 a settimana mentre l’impegno maschile resta più o meno invariato. Le conseguenze sono inevitabili: il tempo che le donne possono ritagliarsi per i propri interessi, lavoro compreso, è del 25% inferiore di quello a disposizione dell’altro sesso, con tutti gli effetti che questo comporta in termini di frustrazione e di mancate opportunità.
Ma l’insoddisfazione femminile ha anche radici meno visibili. Mentre assicurano la tenuta del sistema per il ruolo strategico che svolgono all’interno della famiglia, le donne infatti, dati alla mano, si dimostrano più degli uomini capaci di “pensare il futuro”. Di interpretare cioè le trasformazioni della società in rapida evoluzione. Sono più attente ai problemi della famiglia (il 71,5% ritiene che possa costituire una famiglia anche una coppia non sposata contro il 68% degli uomini), più aperte alle nuove frontiere della sessualità (il 52% considera l’omosessualità una tendenza naturale contro il 45% degli uomini), più sensibili su temi di vasta implicazione sociale come l’adozione (il 69,9% giudica possibile l’adozione da parte di una coppia di conviventi contro il 64,4% degli uomini).
C’è dunque nel Paese, secondo l’indagine di Arcidonna, una larga fascia di “donne sommerse” che vivono ben al di sotto di quelle che sono le loro potenzialità. Artefici e vittime delle proprie aspettative, imprigionate come sono tra sovraccarichi familiari e una cultura al maschile che ne mortifica regolarmente le aspirazioni.
Non c’è da meravigliarsi allora, prosegue l’indagine, se grazie a questo “soffitto di cristallo” che incombe sulle loro teste e ne ostacola la scalata ai centri decisionali della società, oggi abbiamo in Italia solo il 13% di donne dirigenti, tra pubblico e privato. E la percentuale più bassa tra i Paesi della Comunità europea (10%) quanto a rappresentanza femminile nei due rami del Parlamento. Né vale il discorso che questo deriva dal fatto che le donne sono meno interessate degli uomini alla politica. In realtà, i dati della ricerca sottolineano che le donne non entrano in politica perché sono le logiche stesse della politica, tutte improntate all’autoconservazione, che le respingono.
Per il 54.5% degli intervistati, infatti, le donne non si interessano di politica perché c’è troppa lotta per il potere fine a sé stesso. Per il 60,4% perché la politica manca di concretezza. Per il 69,6% perché prevalgono gli interessi personali e mancano gli ideali. Senza contare un ultimo dato significativo che riporta in fondo l’indagine di Arcidonna al centro del problema: oltre il 60% degli uomini interpellati dichiara di poter contare sulla collaborazione del proprio partner nel caso in cui decidesse di impegnarsi in politica. Tra le donne, questa percentuale scende significativamente a poco più del 40%.

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