Il pittore Enrico Benaglia al Museo del giocattolo di Zagarolo
Nella lirica intitolata “Consigli” (“Poesie”, Newton, 2007) il poeta spagno-lo Antonio Machado dice che “un giocattolo è l’arte”. E un giocattolo è l’arte d’Enrico Benaglia che a sua volta gioca con il mondo. Infatti “Giocare col mondo” è il titolo della mostra del Maestro inaugurata sabato 29 novembre a Palazzo Rospigliosi di Zagarolo nelle sale del Museo del Giocattolo alla presenza del sindaco, Daniele Leodori, del direttore del Museo del Giocattolo, Giovanni Pescatori, del direttore artistico di Palazzo Rospigliosi, Francesco Zero, del Presidente dell’Istituzione “Palazzo Rospiglioni”, Marcello Mariani, della curatrice della mostra, Maria Stella Castano, della curatrice del catalogo Alida Maria Sessa, e di un foltissimo ed interessatissimo pubblico.
Mai iniziativa fu più geniale e giustificata poiché inaugura il connubio riuscito tra “arte e cultura popolare” come giustamente osserva in apertura di catalogo il critico Alida Maria Sessa.
Proviamo anche noi a giocare con il mondo seguendo i consigli di Benaglia. Prima di tutto, cominciamo con una cura intensiva, una terapia d’urto, ma propedeutica, e cioè col mangiare ogni giorno un giocattolo che può essere un trenino o un cavalluccio a dondolo o un cigno (Mangiatori di Giocattoli), facciamo la nostra partitina a carte (Alice), andiamo a spasso con il cane (Passeggiata con la scorta), soffiamo sulle piume (Le tre piume) o sulle bolle di sapone. E non preoccupiamoci se il gioco è tal-
volta interrotto per un qualsiasi accidenti, imperterriti continuiamo a curare il nostro mondo, la nostra casa (La stanza del mare), il paradiso da cui non desideriamo essere scacciati (Il giardino dell’Eden) e, seguendo il filo di Arianna, continuiamo il nostro cammino, saliamo le scale accompagnati da eleganti e quasi invisibili figure di cara a cavalcioni sulle ringhiere fino ad arrivare al piano superiore della mostra a seguire la nostra stella (La stella di carta) e a raggiungere l’altro capo del nostro filo che scivola fuori dalla finestra e non si sa dove arriva (Un filo bianco). Ma in realtà noi sappiamo benissimo dove arriva l’altro capo del filo al di là dal davanzale. Arriva al mondo, al mondo attraverso il gioco perché giocare vuol dire sì stare al gioco ed accettarne le regole spesso feroci (Barbablu, Fiocco rosso), ma è anche un’attività libera, circoscritta entro precisi limiti di tempo e di spazio, incerta perché lo svolgimento non può essere determinato né il risultato acquisito preliminarmente, improduttivo perché non crea beni materiali, né ricchezze, regolata e fittizia accompagnata cioè dalla consapevolezza specifica di una diversa realtà o di una totale irrealtà nei confronti della vita normale.
Il gioco prepara all’esistenza aumentando le capacità di superare gli ostacoli e di far fronte alle difficoltà. Il gioco abitua alla padronanza di sé stessi e allena alla vita lasciando intatta la capacità e il desiderio di disegnare per terra con i gessetti colorati tanti soli colorati e campane numerate per saltellare con abilità con una gamba sola da una casella all’altra gettando un sassolino: il gioco ci riporta all’infanzia.
Fausta Genziana Le Piane
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