Fino a 2/10, 70 opere raccontano donne scultore Centro mondiale
I grandi nudi statuari, in marmo bianco, della Fontana di conoscenza infinita. Ma anche l’attimo intimo dell’amica Ethel Cochrane che si ravviva i capelli allo specchio. O la leggera serenità della celebre collezionista Isabella Stewart Gardner, distesa in giardino tra i glicini a Green Hill. La donna e la sua essenza sono tornate protagoniste in Casa Andersen, ultima dimora romana dello scultore, pittore e urbanista americano di origini norvegesi, oggi diventata Museo Hendrik Christian Andersen e che fino al 2 ottobre ospita la mostra a cura di Maria Giuseppina Di Monte, ‘Femminile e femminino. Donne a casa Andersen’. Un viaggio attraverso le opere di Hendrik (1872-1940) e alcune del fratello Andreas, che oltre a raccontare la filosofia dell’artista ripopolano idealmente la sua casa e i suoi salotti delle tante figure femminili che animarono la sua vita.
Nella capitale Hendrik Andersen visse infatti per oltre quarant’anni, lavorando all’utopia della Città perfetta con il progetto per un Centro Mondiale di Comunicazione. Lui stesso progettò arredi e decori di quella che in onore della madre ribattezzò Villa Helene, in Via Pasquale Stanislao Mancini, a due passi dal Tevere. Trasformato per molti anni in albergo dalla sorellastra Lucia, per volontà dello stesso Hendrik, alla morte della donna il villino passò poi allo Stato, fino a diventare Museo nel ’96, oggi nel Polo Museale Romano.
“La mostra – racconta la direttrice Maria Giuseppina Di Monte – è un’occasione per riscoprire la sua casa e lo spirito che la animava. Andersen non solo poneva uomini e donne sullo stesso piano. Ma considerava la donna il tramite per l’elevazione dell’uomo. Riprendendo il pensiero di Goethe, però, era convinto anche che il femminino appartenesse ad entrambi, senza distinzione”. In un ideale itinerario tra il grande l’atelier e lo studio del piano terra, dove il maestro lavorava ed esponeva le opere finite, e poi il piano superiore, nelle stanze private e nel salotto a grandi vetrate, dove stucchi e decori si specchiano nei soffitti affrescati di allegorie, tutte al femmine, sono oggi esposte 70 opere, tra disegni, tele, bozzetti, nudi, ma anche oggetti personali, fotografie d’epoca, scritti, libri, ritrovati nei depositi del museo e generalmente non visibili. In cinque sezioni raccontano Hendrik (e suo fratello Andreas) tra donne ‘prototipo’ come la Sirenetta, Eva, la Maddalena e Psiche, e donne ‘reali’, come l’amatissima madre Helene, la cognata Olivia Cushing (colta, sensibile e soprattutto ricchissima mecenate per i suoi lavori) e la sorella adottiva Lucia Lice, giunta dalla Ciociaria come cameriera e poi diventata modella e sua ultima erede. “La casa stessa – aggiunge la Di Monte – era per lui simbolo del femminile e metafora dell’accoglienza”. Ecco allora anche il popolo delle donne che Hendrik, “molto vicino ai rosacrociani, all’animismo e agli steineriani”, stimava: dalla pittrice Mabel Norman alla scrittrice e giornalista femminista Julia Ward Howe, oltre alle più belle attrici e cantanti della città. E non manca il carteggio con lo scrittore Henry James, al quale era legato da una stretta e, pare, affettuosa, amicizia. Fino alla donna nella città perfetta e in quella complessa monumentale Fontana della Vita, scandita da sculture in marmo alte 2-3 metri, alla quale lavorò incessantemente sin dal 1904 come fulcro del Centro Mondiale che si sarebbe nutrito degli sforzi dell’intera umanità nel campo dell’arte, della scienza e della religione, del commercio, dell’industria e della legge. E nella quale Andersen immaginava la completa partecipazione delle donne. (Museo Hendrik Christian Andersen, aperto mart-dom 9.30-19.30; mostra visitabile solo su prenotazione con visita accompagnata) (ANSA, Daniela Giammusso)
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