Dalla scuola all’arte, imparare l’empatia ci rende più felici
di Anna Molinari
Quando sedevo al banco di scuola e studiavo greco al ginnasio, la parola empatia mi piaceva parecchio. La vedevo nascere dal prefisso ἐν, “in”, e dalla radice παθ- del verbo πάσχω, “soffro”. Con il trasporto a volte un po’ esagerato dell’adolescenza quella parola la si vedeva anche vivere, nella capacità di comprendere lo stato d’animo e la situazione emotiva di un’altra persona, muta immedesimazione di sentimenti del cuore o dell’arte.
Negli anni a dire il vero mi è diventata un po’ più antipatica: il suo (ab)uso sguaiato e casuale, dai talk show ai convegni, me l’ha svuotata di quell’autenticità diretta e intima e quella partecipazione che suscitava si è annacquata, ma rimane vivido il senso di una comprensione superiore dell’altro che è propedeutica e necessaria al riassorbimento delle conflittualità.
Ed è proprio qui che l’importanza dell’empatia si situa, nella gestione dei rapporti interpersonali e nell’esercizio meticoloso delle sensibilità e delle relazioni: la portata di questo sentimento e la sua vivacità hanno potenzialità immense e ancora sconosciute, che non vanno assolutamente trascurate in un mondo in cui dominano la competitività, la rivalità, l’ambizione, l’ansia da prestazione e da traguardo, l’arrivismo.
Qualcosa di simile devono averlo pensato anche nelle scuole della Danimarca dove, un’ora a settimana, la protagonista è proprio lei, l’empatia. La lezione è “L’ora di classe” (Klassens Tid) e lo scopo è quello di far crescere adulti più equilibrati e, forse, felici, insegnando loro fin da piccoli l’importanza dell’ascolto degli altri, dello spirito di gruppo e dell’analisi dei problemi da angolazioni molteplici. Bambini e bambine imparano (dai 6 ai 16 anni) a “mettersi nei panni degli altri”, abilità cruciale per una futura gestione responsabile e proficua delle relazioni, siano esse lavorative o familiari.
Uno studio che ha coinvolto circa 14 mila studenti universitari ha infatti evidenziato circa il 40% in meno di sentimenti empatici rispetto ai loro coetanei degli anni ’80 e ’90. Ciò non comporta soltanto un narcisismo diffuso e un egocentrismo pericoloso, ma influisce anche sul benessere dei singoli, per i quali si è registrato anche un aumento per quanto riguarda i disturbi mentali e depressivi.
Nelle “ore di classe” il gruppo discute sui problemi sollevati anche a livello individuale, concentrandosi sull’ascolto e sulla solidarietà e favorendo un dialogo aperto e informale che potenzia il sentimento di comprensione reciproca e che insegna la pratica del rispetto, all’interno di un contesto accogliente dove sentirsi a proprio agio è conditio sine qua non per la riuscita dell’incontro.
Probabilmente la Danimarca ci ha visto giusto, perché quest’ora si svolge nelle scuole fin dal 1870 e nell’ultimo decennio del secolo scorso è stata formalmente codificata nel curriculum nazionale scolastico. Anche se misurare l’efficacia di queste lezioni nel lungo periodo è difficile e molto probabilmente gli esiti non dipendono in via esclusiva da questo aspetto soltanto, i risultati si raccolgono. Nel “World Happiness Report” di quest’anno il Paese si guadagna il primo posto nella graduatoria, e di certo molto si deve anche a un welfare invidiabile quanto a sanità, istruzione e ammortizzatori sociali. E’ chiaro però che, se da così tanti anni questa materia d’insegnamento occupa i programmi scolastici, i danesi sono i primi a tributarle l’importanza educativa che merita non tanto come talento innato delle persone, piuttosto come competenza da imparare (e quindi da insegnare) e allenare come qualsiasi altra materia.
E l’empatia allora riguadagna terreno, perché non rimane solo parola da evocare come panacea relazionale, ma è tratto caratteristico dei singoli e dell’intera comunità. A volte poi, diventa persino un’esperienza museale itinerante, come quella ideata dallo scrittore Roman Krznaric, che nel 2015 ha lanciato il primo spazio artistico sperimentale per lavorare proprio sull’empatia, esplorandone non solo le potenzialità di trasformazione degli individui, ma anche affrontando sfide globali come la riduzione dei pregiudizi e delle disuguaglianze.
Comments