il nostro concerto
Giorgio Calabrese è il paroliere che con Sergio Bardotti e Giulio Rapetti Mogol rappresenta l’incomparabile triade di autori che hanno nobilitato i testi della canzone italiana elevando la musica leggera oltre i limiti di banale ed estemporaneo oggetto consumistico.
Il paroliere della scuola genovese nel corso degli anni ha trasmesso emozioni poetiche attraverso un linguaggio semplice poggiato su musiche di eccellenti compositori come Umberto Bindi, Armando Trovajoli, Charles Aznavour, Gian Franco Reverberi, Astor Piazzolla, Pino Donaggio, Riccardo Cocciante, Gianni Ferrio, Antonio Carlos Jobim, Carlo Alberto Rossi, e decine di altri.
Ha esordito come autore di canzoni con parole scritte, negli anni sessanta, sulle musiche Umberto Bindi per brani famosi come “Arrivederci”, “Il nostro concerto” , “Non mi dire chi sei”.
Calabrese ha contribuito, tra i primi in Italia, alla divulgazione della musica brasiliana, traducendo canzoni di portata mondiale come “La ragazza di Ipanema”, e di quella francese riscrivendo i testi di famose canzoni di Aznavour, tra cui “L’istrione” e “Ti lasci andare”.
I suoi brani sono rimasti nel repertorio di pregio della canzone italiana, a partire da “I sing ammore” di Nicola Arigliano del 1959,fino a “E se Domani”, portata al successo da Mina nel 1964. Numerosi celebri interpreti in questo ultimo mezzo secolo hanno cantato le parole di Giorgio Calabrese: da Marino Barreto Jr. a Tony Renis, da Celentano a Luigi Tenco, da Gino Paoli a Giorgio Gaber, da Iva Zanicchi a Juca Chaves. (w.m.)
ADDIO GIORGIO CALABRESE (MA NON S’ERA DETTO «ARRIVEDERCI»?)
Il pezzo che sapevo/temevo prima o poi di dover scrivere inizia così. Perché non so come iniziarlo. E perché non vorrei metterci troppa retorica, che era la cosa più lontana dall’uomo che vi voglio raccontare. D’altra parte la retorica in queste occasioni sfugge di mano, per i giornalisti è come una cassetta di pronto intervento. In caso di lutto, togliere i sigilli e recuperare qualche frase di circostanza.
Il fatto è che per me non è morto uno qualsiasi (lui già qui, alla decima riga, mi avrebbe stroncato con una battuta, forse una pernacchia), è morto Giorgio Calabrese. Chi era Giorgio Calabrese?, dirà qualcuno improvvidamente.
Per l’Italia, forse il più grande paroliere che il Paese abbia avuto (insieme con Mogol, Giancarlo Bigazzi e pochi altri). Un gigante, autore di canzoni immortali come «Il nostro concerto» (Bindi) «Arrivederci» (Bindi-Don Marino Barreto), «E se domani» (Mina), «Domani è un altro giorno» (Ornella Vanoni). Una colonna della «scuola genovese» che s’è piegata oggi a Roma sotto il peso di 86 anni pienamente vissuti.
Per me, era semplicemente Giorgio. Un signore assai brillante e allampanato dalla risata strana e arruffata e gli occhioni sbarrati che d’estate bazzicava casa mia a Santa Maria della Versa (Pavia) sin da quand’ero piccolo. Un tipo strano dal quale ho preso il gusto per l’ironia e la fissa di mettere insieme le parole più o meno con un senso compiuto. Se ho scelto di fare questo mestiere occupandomi proprio di spettacolo, lo devo senz’altro al condizionamento ambientale di Giorgio, che dello spettacolo era la quintessenza. Conobbe mio padre Gigi, cantiniere dell’Oltrepò Pavese e suo fan dai tempi del radiofonico «Pomeriggio con Mina», e da allora non si persero più di vista. Papà si metteva lì puntuale ogni domenica col suo Geloso a cassette e un microfonino improbabile e registrava malamente tutto il programma, spanzandosi di risate per la verve colto-umoristica di questo signore ligure che aveva grande dimestichezza con la più grande cantante italiana. Un giorno gli scrisse, e Giorgio, che amava e conosceva il vino come pochi, venne a trovarlo a caccia di sapori.
(continua a leggere) Addio giorgio calabrese (ma non s’era detto arrivederci?… – LSDC
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Giorgio Calabrese – Wikipedia
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