di Paolo Salom

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 MERCATO CLANDESTINO DELLE MADRI SURROGATE

L’imperativo morale di avere un figlio è, nella Cina di oggi, tanto pressante quanto nel Celeste Impero, governato nei millenni dalle regole sulla pietà filiale del Confucianesimo. Ma i cinesi di oggi, a differenza dei loro antenati, vivono per la prima volta le stesse condizioni sociali dei Paesi più avanzati del mondo. Dunque si sposano tardi, dedicano gran parte delle loro energie alla carriera e all’affermazione individuale, soffrono di crescente (e ancora inspiegata) infertilità. Risultato, sempre più coppie si rivolgono a cliniche che lavorano nell’ombra e promettono di fornire ai loro clienti «figli con il loro Dna, del sesso voluto, sani». A provvedere tutto ciò sono, secondo quanto racconta il «New York Times», madri surrogate, ingaggiate nelle campagne per un decimo di quanto guadagneranno gli organizzatori di questo traffico, illegale in Cina come in molti altri Paesi.
Il fenomeno è in costante crescita. Ogni anno sarebbero almeno diecimila i bambini venuti al mondo nella Repubblica Popolare grazie a un utero in affitto: spesso coronano il sogno di coniugi che altrimenti non sarebbero mai riusciti a vedere un erede sgambettare nella loro casa. Altre volte sono una vera e propria cura al dolore generato, per esempio, dalla morte dell’unico figlio (o dell’unica figlia) già adulto e perciò non rimpiazzabile per via naturale – ricordiamo che la legge sulla limitazione delle nascite esiste ancora, anche se un po’ più «rilassata». Il problema è talmente sentito che, nonostante le possibili conseguenze, il New York Times presenta con nome e cognome, Huang Jinlai, il titolare della clinica responsabile di 300 nascite l’anno per interposta persona: la Baby Plan Medical Technology Company, con sede a Wuhan, nel centro del Paese, e filiali in almeno quattro città. «Questo genere di mercato nero –dice Wang Bin, professore associato alla Facoltà di legge dell’Università Nankai– mostra che c’è bisogno delle madri surrogate. E dove esiste un bisogno, arriva un’offerta».
Offerta che, visti i costi, si rivolge chiaramente all’élite della Cina: l’operazione viene a costare circa 240 mila dollari, una cifra considerevole ovunque. Solo una parte di questo denaro finisce nelle tasche della madre surrogata, 24 mila dollari, che, tuttavia, per una donna delle campagne possono significare una nuova vita. Come la signora Kong, che spiega di voler «utilizzare la paga finale per aprire una lavanderia nel mio villaggio, lungo lo Yangtze». Scegliere la potenziale madre surrogata è compito di Huang Jinlai. Ma i problemi sono all’ordine del giorno. Una volta, per esempio, una coppia si è sentita dire che la portatrice del proprio pargolo era scomparsa senza lasciare tracce: «Avevamo provato a arrangiare l’affare attraverso la mediazione di amici –racconta la signora Zuo-. Una volta rimasta incinta, la donna è fuggita dicendo che voleva tenersi il bambino. E noi non abbiamo potuto farci nulla. Le avevamo già dato 5 mila dollari». La clinica di Wuhan, per evitare guai, segue una politica molto precisa e rigida. Dopo una terapia a base di ormoni, la candidata reclutata in campagna viene spedita in Thailandia dove è già in attesa la coppia, pronta a donare seme e ovuli. Una volta che l’impianto ha successo, la madre surrogata viene fatta rientrare in Cina, ma per tutta la durata della gravidanza dovrà rimanere semi reclusa in un appartamento senza la possibilità di tornare a casa.
«È l’unico modo –confessa Huang– per evitare sia la fuga sia che la donna, seguita giorno dopo giorno da un team di medici e psicologi, possa maturare un legame emozionale con il bambino che ha nel ventre. Per questo viene avvisata con regolarità: “Guarda che quello non è tuo figlio”». Infine, al momento del parto, entra in gioco una clinica privata compiacente pronta ad accettare il neonato come legittimo figlio della coppia «esterna», e lo registra legalmente a loro nome: è fatta, la gioia della vita che si rinnova torna a risplendere nella magione che attendeva soltanto i vagiti di un neonato. Dice il proverbio:
«Fra i tre peccati filiali, non avere un erede è il più grave». Non solo, molte donne ancora oggi pensano che non dare un figlio al marito porterà a un inevitabile divorzio.
Talvolta, un nuovo bambino serve invece a lenire il dolore immenso di una tragedia. Come è accaduto alla signora Zhang, una professionista 49enne di Shanghai, la cui figlia unica diciottenne si è suicidata. «Per un anno abbiamo cercato di superare il trauma – racconta Zhang -. Alla fine abbiamo capito che soltanto avendo un altro figlio potevamo sperare di stare meglio». Ma la donna non era più in grado di impiegare i propri ovuli. Così ha accettato di utilizzare il seme del marito con quelli di una donatrice. «Almeno in parte – abbiamo pensato – la nostra futura figlia avrebbe potuto assomigliare a quella che avevamo perduto. Metà del sangue sarebbe stato il suo, così il mio cuore avrebbe trovato finalmente un po’ di pace». La mamma surrogata è incinta di quattro mesi: ancora qualche settimana e la signora Zhang avrà la risposta che cercava.

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