A sorpresa, l’Unione europea ha ricevuto ieri il premio Nobel per la pace, suscitando una generale reazione di orgoglio. Molti hanno salutato i successi del passato, tralasciando per un attimo le difficoltà del presente.
Dal canto suo, il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy ha notato che il premio è un riconoscimento delle «profonde motivazioni politiche alla base della nostra Unione», quasi a ricordare ai Paesi le loro responsabilità alla vigilia di un atteso vertice europeo.
Il comitato norvegese del Premio Nobel, presieduto dall’europeista convinto Thorbjoern Jagland, ha attribuito il premio Nobel per la pace 2012 all’Unione europea per «aver contribuito per sei decenni all’avanzamento della pace e della riconciliazione, la democrazia e i diritti umani in Europa». Il processo di integrazione è nato all’indomani della guerra con un piccolo gruppo di sei Paesi. Oggi gli stati membri sono 27, sui due lati dell’ex cortina di ferro.
Al di là delle divisioni, delle tensioni e dei pregiudizi, soprattutto in questi ultimi anni, l’Unione è uno straordinario esperimento nel quale gli stati hanno messo in comune i loro destini e accettato in larga misure una cessione della loro sovranità. Per molti versi, l’Unione è solo un esempio del modo in cui il continente si è unificato nel corso degli ultimi venti secoli. L’Europa di oggi ha le sue radici anche nelle battaglie di Giulio Cesare o nelle istituzioni di Carlomagno.
Il presidente della Commissione José Manuel Barroso ha definito il premio «un riconoscimento giustificato per un progetto unico che è di beneficio per i suoi cittadini e per il mondo». L’ex premier portoghese ha detto che la scelta norvegese è «un onore»: per le istituzioni europee, gli stati membri e anche per i 500 milioni di cittadini dell’Unione. Ha poi aggiunto: «L’Unione europea è qualcosa di molto prezioso e dobbiamo tenerla cara per il bene degli europei e di tutto il mondo».
Secondo il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il premio «pone in massima evidenza una semplice grande verità storica: la verità è che l’integrazione europea è nata innanzitutto come progetto di pace». Dal canto suo, il presidente del Consiglio Mario Monti ha affermato: «La formula stessa dell’integrazione per impedire la guerra e garantire la pace inventata dalla Ue e sperimentata per decenni è oggetto di studio e ammirazione in altri parti del mondo».
Dal canto suo, Van Rompuy, che ieri si trovava in visita a Helsinki, ha spiegato: «Siamo tutti molto orgogliosi che gli sforzi dell’Unione di mantenere la pace in Europa siano stati ricompensati. L’Europa ha subìto due guerre civili nel XX secolo e abbiamo fondato la pace grazie all’Unione europea». Ha poi aggiunto: il Nobel per la pace rappresenta «un onore enorme, il più forte riconoscimento possibile delle profonde motivazioni politiche alla base della nostra Unione». A pochi giorni da un nuovo vertice europeo, dedicato a una riforma della zona euro, l’uomo politico ha voluto responsabilizzare gli stati membri, ricordando loro che l’integrazione europea è un processo eminentemente politico. Mentre si discute del giusto equilibrio tra solidarietà e disciplina, tra federazione e confederazione, la scelta del Comitato Nobel è un riconoscimento per il passato o un incoraggiamento per il futuro? Van Rompuy ha preferito optare decisamente per la seconda.
Scriveva ieri Jean-Dominique Giuliani, presidente della Fondation Robert Schuman: «L’attribuzione del Nobel è un appello a proseguire e a superare la crisi attuale». Il governo conservatore inglese, che dell’Unione vede pressoché solo i vantaggi di una area di libero scambio, non ha commentato. Invece Ed Balls, un membro del partito laburista, ha detto con una punta di sarcasmo, ricordando indirettamente la grave crisi debitoria di questi anni: «Questa sera ad Atene faranno festa, no?».
L’Unione ha battuto le candidature di 188 individui e di altre 42 organizzazioni; è il primo blocco regionale ad aggiudicarsi questo riconoscimento. Il premio (920mila euro) verrà consegnato il 10 dicembre. Chi lo riceverà: Van Rompuy? Barroso? Il presidente del parlamento europeo Martin Schulz? Ieri la Commissione ha ammesso che una decisione ancora non è stata presa, confermando con malcelato imbarazzo nel giorno della premiazione le sue perduranti fragilità. (Beda Romano, 13 10 12)
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Due Nobel a confronto
Il Nobel per la Pace attribuito all’Unione Europea dovrebbe essere accolto con pieno consenso, essere perfino considerato come una ovvietà. Le inadempienze che le si possono imputare, le resistenze opposte all’integrazione politica del continente vagheggiata dai padri fondatori, non diminuiscono i suoi grandi meriti. Il premio, che arriva paradossalmente da una Norvegia che non fa parte dell’Unione Europea, vale semmai come uno strattone ad osare di più, a procedere celermente verso altri traguardi. Basti pensare al secolo che abbiamo alle spalle, ai popoli che si sono sbranati nella «guerra civile europea» del ‘15-’18, alla ferocia dei contrapposti totalitarismi, fino all’ultimo, devastante conflitto che sembrò segnare la finis Europae. L’Unione, come si legge nella motivazione del premio, ha garantito un periodo di pace e riconciliazione che non ha equivalenti nella Storia, ha operato una forte promozione della democrazia e dei diritti umani. Oggi a nessuno verrebbe in mente di ipotizzare un conflitto franco-tedesco o la spartizione di zone d’influenza per mano militare. E’ un dato acquisito che soltanto l’insipienza può sottovalutare.
Ma il Nobel per la Pace va considerato anche a confronto con il discusso Premio per la Letteratura che lo ha preceduto. E’ stato assegnato al cinese Mo Yan, l’autore del celebrato Sorgo rosso. Nessuno mette in dubbio il suo talento, la forza del suo «realismo magico», ma è considerato dagli esuli e dai contestatori del governo di Pechino come uno scrittore di regime, perchè non ha mai denunciato crimini, persecuzioni e oltraggi alla libera espressione. Di qui l’accusa al Nobel di avere operato una scelta politica difforme dalle sue tradizioni: quasi per bilanciare il Premio per la Pace attribuito nel 2010 al dissidente Liu Xiaobo, che si trova tuttora in carcere. Per quanto riguarda il neolaureato si tratta di critiche forse ingenerose: non tengono conto infatti del clima pesante che opprime il suo paese, di una non esigibile professione di eroismo. Per quanto riguarda i giudici del Nobel, è possibile che abbiano dato prova di opportunismo. Ma il premio all’Europa e alle sue ispirazioni ideali sembra operare indirettamente una distinzione, gettare una luce riflessa sul gigante asiatico e le sue ombre. Ed è comunque un acquisto il fatto che Mo Yan auspichi ora la liberazione di Liu Xiaobo, insieme alla possibilità di esprimere le proprie idee. Mo Yan è un nom de plume, vuol dire «quello che non parla». Grazie al Nobel, alle emozioni e pressioni psicologiche che sta vivendo, si è deciso a parlare. (Lorenzo Mondo 12.10 12)
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