DIVENTI SEDE MONDIALE PER AFFRONTARE TEMA BASE AGRICOLTURA FUTURO
“Una vera e propria rivoluzione quella in corso nello stato delle Hawaii che potrebbe presto diventare il primo degli Usa ‘ Gmo free’. È’ infatti in corso una petizione e gli hawaiani hanno quasi deciso a maggioranza di sospendere l’ utilizzo di ogm”. Lo fa sapere Michele Anzaldi, deputato Pd e membro della commissione Agricoltura alla Camera. “Un segnale importante, visto che lo Stato delle Hawaii sarebbe il primo stato americano ad inserirsi in un trend di abbandono- dice Anzaldi- oggi sono 27 i paesi nel mondo che utilizzano gli ogm, mentre in Europa sono solo cinque”.
E allora, “forse qualcosa sta davvero cambiando, come dimostra anche la notizia arrivata dall’ Europa dove ieri il Parlamento ha rigettato a larghissima maggioranza il regolamento sulle sementi imposto dalla Commissione europea- dice il democratico- una decisione che potrebbe avviare una vera rivoluzione nel settore agricolo e che ha spinto me ed il capogruppo Pd in commissione
Agricoltura, Nicodemo Oliverio a chiedere di rivedere il ruolo e le tematiche dell’ Expo 2015, affinche’ diventi la sede mondiale per affrontare in modo razionale un tema che certamente sara’ alla base dello sviluppo agricolo futuro”. (Dire, 12 marzo 2014)
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Come Hawaii ha detto no agli Ogm
Alla fine del 2013 l’isola maggiore dell’arcipelago è diventata la più grande area degli Stati Uniti a vietare le colture geneticamente modificate. Il New York Times racconta come ci si è arrivati.
Che cosa hanno in comune il Veneto e le Hawaii? Ben poco a prima vista, e magari anche alla seconda. Ma un’occhiata alla loro politica agricola rivela un insospettabile gemellaggio tra le isole paradiso del Pacifico e la regione del nord est italiano: rappresentano, nei rispettivi Paesi, il fronte più caldo dell’opposizione all’uso degli Ogm in agricoltura.
Un paio di anni fa, la Lega Nord presentò una proposta per fare della Regione Veneto un’area “Ogm-free” a norma di legge, per contrastare la (cauta) apertura all’introduzione degli Ogm da parte dell’Unione Europea. Un tema tuttora molto caro al Governatore del Veneto ed ex ministro delle politiche agricole Luca Zaia, che ne ha parlato anche in una recente intervista a Repubblica.it.
Ciò che qualcuno chiede per il Veneto è diventato realtà nella contea di Hawaii, che copre l’isola più grande dell’omonimo arcipelago e che a sua volta dà il nome allo Stato degli USA. Il Consiglio della contea ha approvato una legge che mette al bando l’introduzione di qualunque nuova varietà Ogm sull’isola: unica eccezione (vedremo a breve perché) una varietà modificata di papaya che da quelle parti si coltiva già da diversi anni. In precedenza quattro piccole contee californiane (Mendocino, Trinity, Marin e Santa Cruz) avevano introdotto divieti simili, ma Hawaii diventa a questo punto la più grande area Ogm- free negi Stati Uniti.
In un lungo e dettagliato articolo, il New York Times ha raccontato la discussione che ha accompagnato la legge di Hawaii, dalla prima proposta presentata al Consiglio della Contea nel maggio scorso fino alla sua approvazione a dicembre. L’articolo è firmato da Amy Harmon, una delle più prestigiose firme scientifiche del New York Times e vincitrice di due premi Pulitzer.
Chi coltiva cosa alle Hawaii
Per capire come le Hawaii siano diventate il fronte caldo del dibattito sugli Ogm negli Stati Uniti bisogna fare un passo indietro. Rispetto ad altre zone degli USA, l’agricoltura non ha un grande peso nell’economia di queste isole: mancano gli spazi sterminati per le colture intensive di mais e soia che fanno la fortuna degli stati del Midwest, il mercato interno è piccolo, e la distanza dal resto del paese limita le esportazioni.
Tuttavia, il clima mite per 12 mesi l’anno e il fertile suolo vulcanico fanno la gioia di qualunque agricoltore. Aziende agricole di piccole e medie dimensioni coltivano caffé, canna da zucchero, ananas, papaya, noci macadamia, tutti destinati soprattutto a un export ad alto costo. Molto importante è anche l’apicoltura: le isole esportano sia miele che api vive in grandi quantità. Insomma, il “Made in Hawaai” è un marchio di qualità. E infatti molte celebrità (come Oprah Winfrey) hanno investito nell’acquisto di terreni alle Hawaii, su cui fanno agricoltura biologica.
Il clima e il terreno delle Hawaii attirano però anche le grandi aziende biotecnologiche e agrochimiche come Dupont, Monsanto e Syngenta, che da anni vanno su queste isole per sperimentare nuove varietà di semi prima di immetterli sul mercato: il problema riguarda le isole di Kauai e Maui in particolare, ma finora non (e a questo punto, nemmeno in futuro) Hawaii, l’isola più grande.
Poco tempo fa, la contea di Kauai ha imposto limiti severi alle coltivazioni Ogm, pur senza arrivare a proibirle: in particolare ha imposto zone di sicurezza attorno a scuole e parchi pubblici, e ha chiesto a chi semina Ogm di documentare esattamente cosa coltiva, dove, e usando quali pesticidi. Le grandi compagnie hanno presentato un ricorso, tuttora in esame, lamentando che rivelare la collocazione dei propri campi le esporrebbe a rischi di “spionaggio industriale, vandalismo e furto”.
Il provvedimento dell’isola di Hawaii va oltre, e punta a fermare l’introduzione di qualunque nuova varietà di Ogm sull’isola, per impedire che sia usata come terreno di sperimentazione.
Fatti e opinioni
Il titolo dell’articolo del New York Times parla di una “solitaria ricerca di fatti sulle colture geneticamente modificate”. La ricerca in questione è quella di Gregor Ilagan, 27enne membro del Consiglio della Contea, dal cui punto di vista è raccontata tutta la storia. Ilagan è uno dei tre membri del Consiglio (su nove) che hanno votato contro il divieto degli OGM, nonostante un’opinione pubblica in larga maggioranza favorevole. A cominciare dagli stessi elettori di Ilegan, che tempestavano la sua pagina Facebook e lo fermavano ripetutamente per strada per chiedergli di appoggiare la mozione.
Ilegan racconta al giornale che, quando si è trovato la materia tra le mani, sapeva a malapena cosa fossero gli Ogm. Nei mesi successivi ha cercato di informarsi sugli aspetti scientifici così come su quelli economici, scoprendo quanto sia difficile distinguere le informazioni affidabili, e quanto sia intricata la rete di interessi, tanto pro quanto contro gli Ogm.
“A tratti gli sembrava impossibile mettere assieme le informazioni necessarie per prendere una decisione. Ogni volta che rispondeva a una domanda, ne nascevano di nuove. Opinioni popolari si travestivano da scienza, e la scienza era difficile da capire. C’erano persone che parlavano da esperti senza averne le credenziali; altri, che le avevano, venivano attaccati dai critici degli Ogm che li consideravano pedine in mano alle aziende biotecnologiche. “Ci vuole un sacco di tempo per capire cosa è vero”, spiega.
Ilegan sapeva bene che chi aveva proposto il bando (Margaret Wille, una sorta di assessore all’agricoltura della contea) aveva a cuore solo l’interesse degli abitanti. Dopo aver visto le compagnie biotecnologiche all’opera nelle altre isole, voleva evitare che si “impadronissero” anche di Hawaii. “Chi controlla i semi controlla il cibo, e chi controlla il cibo controlla le persone” aveva spiegato ai suoi colleghi del Consiglio. “La mia preoccupazione è proteggere il nostro suolo, le fattorie e le proprietà che non coltivano Ogm” aveva detto Wille, sottolineando anche l’esistenza di spazi di mercato per prodotti non Ogm.
Nell’articolo, Ilagan spiega al New York Times di condividere la sfiducia dei suoi concittadini verso le grandi multinazionali, e di avere buone ragioni per pensare che potrebbero preoccuparsi più del profitto che della sicurezza pubblica. E che preferirebbe che ci fosse “cibo più sano coltivato in modo più sostenibile”.
“Ma gli sembrava che anche un bando a livello nazionale sulle colture Ogm avrebbe fatto poco per risolvere i problemi di un sistema industriale del cibo che esisteva ben prima della loro invenzione. E nemmeno diminuirebbe il potere di quelle compagnie, che controllano anche il mercato dei semi non modificati, e quello dei pesticidi usati sugli uni come sugli altri. Alla fine gli argomenti per rifiutare gli Ogm, gli pareva, si basano sulla premessa che non siano sicuri. Ma è già abbastanza difficile farsi un’idea anche solo su questo”.
Per esempio, racconta il giornale, uno degli argomenti più citati dai sostenitori del bando era uno studio francese, firmato dal ricercatore Gilles Séralini, secondo cui i ratti alimentati con mais Ogm tenderebbero a sviluppare tumori. Ma poco dopo la pubblicazione, quello studio era stato screditato pressoché da tutta la comunità scientifica, lasciando Ilegan in preda ai dubbi. “Per la prima volta nella sua carriera politica, stava considerando l’ipotesi di votare ‘kanalua’, parola Hawaaiana che significa ‘sì ma con riserva’” (Il New York Times non lo dice, ma lo studio di Séralini è stato poi ritirato tra grandi polemiche dalla stessa rivista che lo aveva pubblicato, che ha rianalizzato i dati giudicandoli insufficienti).
Il caso della papaya Rainbow
Raynbow PapayaNel dibattito è finita anche la famosa (per gli addetti ai lavori, per lo meno) Rainbow Papaya: una varietà di papaya modificata geneticamente per resistere a un virus che alla fine degli anni Novanta minacciava seriamente di estinzione questo frutto. La storia di questa papaya è spesso citata come esempio del fatto che non tutti gli Ogm sono uguali: e che accanto quelli delle grandi multinazionali destinati alla coltura intensiva, esistono anche progetti nati in ambito pubblico (dietro alla Rainbow c’è un consorzio di università, tra cui ovviamente quella delle Hawaii), e destinati ad aiutare la piccola agricoltura. La papaya Rainbow rappresenta oggi i tre quarti della produzione di papaya delle Hawaii (30 milioni di tonnellate l’anno). Un divieto a coltivarla avrebbe messo in ginocchio la maggior parte dei 200 coltivatori di papaya dell’isola, che per questo avevano chiesto sin dall’inizio di essere esentati dal bando. Ma anche su questo il dibattito ha visto momenti di tensione. Per esempio quando l’attrice Roseann Barr (altra celebrità trasferitasi nell’arcipelago dove si dedica ora all’agricoltura biologica) si è rivolta loro con queste parole: “Tutti sono molto generosi qui. Si faranno in quattro per aiutarvi a bruciare quelle piante di papaya e coltivare qualcosa di decente”.
Alla fine il bando anti Ogm è passato, dopo un’animata assemblea pubblica in cui i favorevoli al divieto sono risultati cinque volte più di quelli contrari. La loro preoccupazione principale, racconta il New York Times, era conservare le Hawaai per come il mondo le vede: un angolo di natura intatta. “La nostra isola può diventare un terreno di coltura incontaminato a disposizione di tutto il mondo” è la frase emblematica detta da uno dei partecipanti. La legge vieta l’introduzione di nuove varietà ma non la prosecuzione di colture esistenti: i coltivatori di papaya sono esentati dal bando, ma dovranno iscriversi (a pagamento) a un apposito registro.
Di qua e di là dell’Atlantico
La storia, vista dall’Europa, mostra almeno due cose interessanti. Che il dibattito sugli Ogm in USA è meno monolitico di quanto si potrebbe pensare: anche nel paese più votato a questo tipo di agricoltura esistono importanti differenze regionali, e c’è una parte di opinione pubblica tutt’altro che ben disposta verso gli Ogm. Tanto è vero che è in corso, questa volta a livello nazionale, un braccio di ferro per imporre che gli OGM siano segnalati sulle etichette (al momento non è così).
Il secondo dato interessante è che questa vicenda si svolga proprio nello Stato per alcuni versi più “mediterraneo” degli USA: un territorio che vive di turismo e paesaggio, con un’agricoltura interessata più a tutelare marchi di qualità e produzioni tipiche che non a promuovere le colture intensive su larga scala. Non è un caso, forse, che proprio lì il dibattito sugli Ogm finisca per assomigliare molto a quello europeo, e italiano in particolare.
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