Intervista di Fausta Genziana Le Piane
Ricordate la storia del dirigibile Italia che il 24 maggio 1928 sorvolò il Polo Nord e precipitò sui ghiacci dell’Artide? Ricordate che i soccorritori sovietici e norvegesi impiegarono due mesi per raggiungere la tenda rossa, rifugio degli otto superstiti? Ricordate infine che questa vicenda è narrata nel film “La tenda rossa” che ha la struttura di un processo a Umberto Nobile (1885-1978), comandante della spedizione, magistralmente interpretato da Peter Finch?
Ma proviamo a conoscere questo personaggio da un’altra prospettiva. La severità di Nobile, che nonostante una grande sensibilità, si mostrò autoritario ed intransigente, gli procurò la stima dei più intimi collaboratori ma anche molte inimicizie.
Vincenza Ricci ha conosciuto da vicino uomini di grande successo in una veste intima, quella di curatrice delle loro sofferenze fisiche.
Nata in Abbruzzo, ha fatto pratica come assistente di un dottore che abitava vicino a casa sua per quasi dieci anni. Venuta a Roma e rimasta vedova di guerra, ha cominciato a lavorare all’inizio presso una contessa, una dama di San Vincenzo, suo padre, barone e sua madre, contessa a sua volta: da allora ha cominciato a prestare assistenza in casa e in cliniche private.
Mi parli del Generale Nobile?
Quando ho cominciato ad occuparmi di lui, a casa sua in Via Monte Zebio, per circa un anno, aveva una novantina d’anni e l’ho addirittura vestito dopo la morte. Non usciva di casa, era paralizzato con le gambe sempre incrociate: il freddo prolungato del Polo Nord gli aveva congelato gli arti. Gli facevano compagnia una cagnetta e gli attrezzi che aveva riportato dalla sua spedizione.
Com’era di carattere?
Era buono, ma molto prepotente, mi diceva: “A me “no” non si può dire!” e allora io gli rispondevo “Nobile, se a te non si può dire “no”, trovatene un’altra perché io me ne vado!” Allora mi rincorreva e urlava: “No, Vincenzina, non te ne puoi andare! Non te ne puoi andare!”. Era rimasto senza soldi. La seconda moglie, buonissima, di origine tedesca, che si chiamava Geltrude e lavorava all’EUR, presso una Società americana, mi diceva: “Non ne ho soldi, più di questo non posso darti! Mio marito vive con i miei soldi”. Nobile aveva lasciato tutto alla prima moglie, Maria, e alla figlia di lei. Anche l’appartamento dove viveva apparteneva alla seconda moglie che si è presa tutta la responsabilità della vita di questo uomo.
Com’era fisicamente?
Da giovane era bello.
So che hai assistito anche il Maestro Petrassi. Com’era?
Vorrei ricordare che Goffredo Petrassi è stato un compositore e didatta italiano. Maestro di un’intera generazione di compositori, nel corso della sua lunga vita toccò molti stili differenti, pur rimanendo sempre coerente con se stesso.
L’ho curato nella clinica di Santa Maria della Mercede fino al momento in cui ha messo il pacemaker, operazione che fu ripetuta due volte.
Era un bell’uomo, aveva una grande massa di capelli bianchi, una figlia e una bella moglie giovane che mi faceva sempre uscire dalla stanza quando veniva a trovarlo per parlare da sola con lui.
Parlava di musica?
Sì. Ho visto anche Anna Magnani, mentre assistevo un signore nella clinica dove è morta, la Mater Dei. Indossava un vestito nero di pizzo con una rosa rossa in mano. Aveva i capelli neri, neri, era bellissima.
Fausta Genziana Le Piane
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