ingiustamente trascurato dalla posterità
di Cristiana Bullita
Tommaso sostiene che gli enti hanno un diverso grado di essere che dipende dalla loro vicinanza o lontananza dall’Ente sommo. Perciò nel Medioevo si procede a una classificazione delle scienze sulla base del loro diverso valore etico, che è strettamente connesso al loro grado di essere: ciò che è ai gradini più bassi nella scala dell’essere lo è anche nella scala dell’etica. Pertanto la somma scienza è la teologia, quella che tratta l’oggetto sommo, cioè Dio. La dignità delle altre scienze, sostiene Bonaventura da Bagnoregio, dipende dalla loro distanza da quella scienza suprema.
Allora, su quale gradino della scala del sapere è collocata la medicina nel Medioevo? Essa si occupa del corpo e gli uomini di quell’epoca hanno del corpo una concezione ambivalente. Jacques Le Goff osserva che se «da un lato il corpo è disprezzato, condannato, umiliato», dall’altro esso è esaltato in quanto consente al reo di scontare la sua eterna condanna tra le fiamme dell’inferno e al giusto di godere della gloria divina. Questa visione altalenante e ambigua spiega la considerazione sociale di cui il medico gode nel Medioevo, ma anche il fatto che la medicina venga relegata nella cantina dei saperi. Essa si occupa del corpo che, nell’ordine generale delle cose, è inferiore agli oggetti spirituali, specie quando è morto. Si racconta che, ormai in età rinascimentale, il fondatore dell’anatomia scientifica, Andrea Vesalio, venga condannato dagli amici per la sua incomprensibile abitudine di sezionare i corpi umani e che una volta, trovandosene sprovvisto, abbia dovuto far ricorso al trafugamento notturno del cadavere di due impiccati. Il rapporto tra Vesalio e il Rinascimento è l’oggetto di un intervento di Ernst Cassirer, nel 1943, presso l’Università di Yale, che mi ha fornito lo spunto per questa riflessione.
Il primo contributo alla liberazione della medicina dai sotterranei del sapere è di Leonardo da Vinci. Egli, genio eclettico ma non ancora scienziato propriamente detto, poiché non dispone ancora di un metodo scientifico, abolisce la gerarchia delle scienze, chiarendo che non è la qualità dell’oggetto che decreta la dignità di una ricerca. Si può indagare un campo limitato e marginale, ma quello che conta è che si raggiungano risultati certi e solidi. Al contrario, l’indagine metafisica, sugli angeli o su Dio, non conduce mai a conoscenze indubitabili. Leonardo, affascinato dalle opere pittoriche di anatomia artistica del Quattrocento, passa presto allo studio diretto del sistema muscolo-scheletrico umano e dei movimenti che produce, e poi all’analisi di tutti gli altri sistemi e apparati, fino ad approdare all’anatomia patologica. Egli produce tavole anatomiche contenenti interessanti scoperte, accurate descrizioni e bellissime illustrazioni. Tuttavia negli scritti di medicina di Leonardo troviamo ancora un residuo astrologico che sparirà con Vesalio. La concezione del corpo umano come microcosmo improntato al macrocosmo, cioè all’universo, al quale necessariamente ci si deve riferire per conoscere il funzionamento del parvus mundus, è del tutto estranea a Vesalio. Con lui, che a soli 15 anni già pratica la chirurgia, l’anatomia assurge allo status di scienza empirica. E l’accusa di relativizzare il sapere che gli viene mossa è al tempo stesso ingenerosa e vera. Il suo non è certo uno scetticismo radicale, come pure non lo sarà quello di Cartesio, col suo “dubbio metodico”. In Vesalio troviamo un atteggiamento utile a dare la giusta spallata alla tradizione medica che da Galeno e Avicenna corre fino al Rinascimento.
È certamente una coincidenza che il De humani corporis fabrica di Vesalio viene pubblicato nello stesso anno del De revolutionibus orbium caelestium di Nicolò Copernico, opera fondamentale nella storia della scienza (1543). Entrambe hanno per oggetto la natura, sia pure su scala diversa. Entrambe intendono descriverla ed interpretarla per svelarne i segreti. Entrambe compiono un’impresa incerta e pericolosa. Ma ai veri scienziati di ogni tempo l’audacia giammai difetta.
Cristiana Bullita
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