(di Marco Dell’Omo)
Giulio Andreotti si e’ spento oggi nella sua abitazione romana alle 12 e 25. Il ‘ Divo Giulio’ aveva 94 anni, essendo nato il 14 gennaio del 1919. Politico longevissimo, sulla scena politica da piu’ tempo della regina Elisabetta. E’ stato l’ uomo di governo e di partito italiano piu’ blasonato, sette volte alla guida dell’ esecutivo, uno dei leader democristiani piu’ votati; ma per i suoi nemici e detrattori era ” Belzebu”’, circondato da una fama di politico cinico e machiavellico che lui stesso, in fondo, amava coltivare.
In piu’ di mezzo secolo di vita pubblica, piu’ di ogni altro governante, Giulio Andreotti e’ stato identificato come l’ emblema di un potere che nasce e si alimenta nelle zone d’ ombra. Quando Buscetta racconto’ la storia del bacio a Toto’ Riina i colpevolisti erano di gran lunga piu’ numerosi. Si illudevano: Andreotti, passato dall’ altare alla polvere nel giro di poche ore, sfido’ i giudici andando a tutte le udienze del processo che lo vedeva imputato, la testa china sui suoi appunti, contestando l’ accusa fino alla sentenza definitiva di assoluzione.
” Nel 1919 sono nati il Ppi di Sturzo, il fascismo e io. Di tutti e tre sono rimasto solo io”, si gloriava ultimamente. Da giovane, era un ragazzo religioso, studioso, molto serio, la schiena gia’ lievemente incurvata e le idee chiare sul suo futuro. Unici divertimenti le partite della Roma (al vecchio stadio di Testaccio) e le corse dei cavalli all’ ippodromo delle Capannelle.
Si dice che fu il Papa in persona, Pio XII, a volerlo alla presidenza della Fuci , l’ organizzazione degli universitari cattolici, al posto di Aldo Moro. Dopo pochi anni si ritrovo’ catapultato nelle stanze dei bottoni grazie all’ ottima impressione che aveva fatto al leder dela Dc Alcide De Gasperi.
Nel 1946, a 28 anni, era gia’ sottosegretario alla presidenza del Consiglio, con una delega particolare per lo spettacolo. La ” legge Andreotti” del 1949 servi’ a finanziare il cinema italiano. Di quegli anni si ricorda la polemica con Vittorio De Sica, accusato dal giovane sottosegretario di aver reso ” un pessimo servizio all’ Italia” con il suo pessimistico film ” Umberto D”.
Ma l’ ambizione lo spingeva verso altri palcoscenici. Nel 1954 fece il salto e divento’ ministro. Il suo feudo elettorale era la campagna a sud di Roma, da dove proveniva la sua famiglia: Fiuggi, Anagni, Alatri, antichi possedimenti delle nobili famiglie capitoline, diventarono centri della sua rete elettorale e clientelare.
Politicamente rappresentava l’ ala piu’ conservatrice e clericale della Dc, i suoi avversari interni erano i fautori del centrosinistra, come Moro e Fanfani. Ottime le sue entrature in Vaticano, estesissima la sua rete di contatti internazionali.
Fu nel 1972 che riusci’ ad arrivare alla presidenza del Consiglio. Lo scelsero con scarsa convinzione, per dar vita a un governo di centro dalle scarse prospettive. E infatti fu il governo piu’ breve della storia repubblicana: solo 9 giorni, dalla fiducia alle dimissioni. Ma il nostro non si scoraggio’.
Gia’ allora sapeva che ” il potere logora chi non ce l’ ha” e che ” a pensare male si fa peccato ma di solito ci si indovina”. Queste due massime rappresentano la sintesi perfetta del pensiero politico andreottiano e sono ormai espressioni comuni. Per una di quelle curiose alchimie della politica che caratterizzavano la prima repubblica, fu lui, l’ uomo della destra Dc, a essere chiamato a guidare i governi di solidarieta’ nazionale, alla fine degli anni settanta, con l’ appoggio esterno del Pci. I leader della Dc avevano capito quale era la sua piu’ grande dote: conciliare gli opposti, smussare gli angoli, digerire le difficolta’. Emblematico il suo rapporto con Craxi. Il leader socialista non lo vedeva di buon occhio e fui lui a coniare il soprannome di Belzebu’. Andreotti era ” la volpe che finira’ in pellicceria”. Ma qualche anno dopo dopo, di nuovo a Palazzo Chigi, Andreotti strinse un patto di ferro proprio con Craxi : erano gli anni del ” caf” (dalle iniziali di Craxi , Andreotti e Forlani) e l’ opposizione di sinistra lo considerava come il peggio del peggio della politica italiana.
Il film ” Il Divo” di Sorrentino lo ritrae come responsabile o complice di mille nefandezze. Lui stava per querelare, ma poi preferi’ lasciar correre: era piu’ andreottiano cosi’: forse anche perche’, altra sua perla di cinica saggezza, ” una smentita e’ una notizia data due volte…”. (ANSA, 6 MAG 13)
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