Ieri al tramonto su torri di vedetta
ho visto giungere in porto navi straniere.
le aspettavo da tempo, sono anch’io maga
e so che un pellegrino in cerca della patria
chiederà qui asilo. La mia pelle è spenta
e mai si accese per uomo e donna;
bruciano solo gli occhi, fessure piccole
da dove spio le cose del mondo.
Splendida è mia sorella: ordina, premia,
punisce, sfida nemici di terra e d’acqua,
respinge offerte di nozze regali.
Ma chi ha forte l’orgoglio e come un cieco
morde la vita, presto morirà del suo veleno.
Io no, ho vita lunga, io. Invincibile è l’ombra
riflessa che inghiotte il sole poco a poco.
So che devo attendere. Ma oggi
comincerò ad avanzare, da oggi il mio destino
si compie – quello che solo occhi come i miei
sanno tessere e leggere senza autoinganni.
“Didone – dico – uno straniero con tante navi
è giunto a Cartagine. Sacra è la legge dell’ospite”.

Eccoli di fronte l’uno all’altra. Fremono le fiaccole
nel palazzo notturno, sopra i grandi muri che specchiano
le visioni del racconto, e l’eco di quella voce che avvolge
tutte le stanze le penetra nella carne mentre
si stringe a me radiosa e turbata come una bambina.
So di cosa parlarle carezzandole il velluto dei capelli
– le parole d’amore la mandano in estasi – e lui continua
a narrare io a carezzare lei a tremare le torce a fiammeggiare
su quella scena stregante per notti e giorni. E poi corre
ai suoi riti – è, si dice, potente maga – e va per templi
di falsi dei e indovini di bassa risma e in tutti crede
di udire lo stesso appagante responso.
Ma cosa ascolta e vede chi è sordo e cieco?

Sono qui accovacciata, cane fedele, presso la loro stanza.
Li sento amarsi – sospiri, sussurri, lunghi lamenti –
tutti suoni a me estranei. Ma lei ancora non sa
che domani, all’improvviso, lui deciderà di partire:
l’ho letto io con i miei piccoli occhi. Da domani
conoscerà follia e dolore e la sorella tenera
e ansiosa la si vedrà con supplichevoli
messaggi andare e ritornare da lui a lei da lei
a lui per mille e mille volte. E asciugarle il pianto
inarrestabile e pregare il suo spirito affannato
di riposare e ricoprirla con manti nelle fredde
notti d’insonnia di guardia sulle torri: finché
lancerò il mio grido d’angoscia: “Sorella, lo straniero
è partito!”.

Che il tempo passi in fretta.
Il rogo sulla spiaggia con le insegne e il simulacro,
l’urlo di belva ferita, la sua spada che la trafigge
la ricopre di sangue. Poi l’ultimo sguardo l’ultimo
rantolo, infine i miei pianti, l’inconsolabile
strazio davanti al popolo sgomento e muto:
una scena luttuosa e trionfale che narreranno
tutti i poeti nei loro versi effimeri.
Che il tempo passi in fretta.
Presto, tra poco, sarò io la regina.

Lucetta Frisa
scheda biografica

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