Caro Paolo (ndr: Paolo D’Arpini), sono tornata in questo momento da una piacevolissima e costruttiva due giorni a Barbarano con Ornella. Da oggi sono socia fondatrice del GAR di Barbarano Romano e presto andrò a scavare la tomba delle 5 sedie a Cerveteri, tra l’altro mi hanno detto che potrei scrivere alcuni articoli per l’inserto che esce con “La voce”, ed abbiamo parlato anche di Viterbo. Ornella è stata come al solito molto ospitale ed ha una grandissima cultura ed esperienza. Insomma è stato come fare un lungo viaggio, con avvenimenti e segnali – sia per Ornella che per me – che sicuramente avranno un senso e una spiegazione.
Fatto sta che appena sono tornata sono andata, non so neanche perché, a leggere il libro di Simone Sutra aprendolo sulla storia che ti riporto più sotto:
Laura Lucibello

Arcano V: Il Papa “Visione oltre”

Papa Celestino V si accinse a presenziare alla solita riunione dei suoi più stretti collaboratori, il cardinale segretario di stato, il monsignor camerlengo e il cardinale tesoriere. Che noia! Quanto lontane queste incombenze dalla vita di contemplazione che lui aveva scelto per sè, tanto, tanto tempo prima di essere eletto al soglio papale.
Anziano com’era, però, quasi ottantacinquenne, non si sentiva affatto stanco, non fisicamente e non caratterialmente, almeno; ma quanta miseria aveva visto nella chiesa in quei pochi mesi da cui era papa! Gli lacerava il cuore vedere i giochi politici intessuti costantemente dai cardinali più potenti. Lui, che era un uomo semplice, non riusciva a comprendere come si potesse barattare la spiritualità con la più greve e meschina materialità. Aveva sempre creduto che un papa dovesse indicare- vivendola in prima persona – la via verso l’alto e che questa dovesse intraprendersi svincolandosi dalle sovrastrutture organizzative e accentranti come quella della chiesa. Per questo quasi tutta la sua vita l’aveva passata in eremitaggio sulle montagne: gli Abruzzi, il Lazio, l’Umbria…come li conosceva e come gli erano cari quei monti che facevano da scenografia alla più significativa recita mai inscenata, quella di un uomo che gioca – o prova a giocare –a essere se stesso, nulla di più e nulla di meno.
Poi l’infausta decisione di fare da ponte in un momento in cui la chiesa – pur sempre madre chiesa – si era trovata senza un papa, un pastore, un padre, un traghettatore che la guidasse verso sponde più sicure, tempi meno difficili. Però l’aveva rimpianta, quella decisione, e come! E adesso, le sue giornate erano piene del vuoto di quella insignificante, arrogante pompa con cui i rappresentanti terreni di Gesù si pavoneggiavano prevaricando sulla verità, e offendevano il volto del cielo ammantando il retaggio divino di una coltre di torbida ottusità, di avida grettezza, di sfacciato esibizionismo.
Ma aveva deciso: se ne sarebbe andato, avrebbe abdicato al suo ruolo. Non ne poteva proprio più, e avrebbe comunicato la sua decisione al suo consiglio privato quella stessa mattina. Però, prima di fare questo passo, volle aprirsi con i suoi discepoli più cari, due di quell’ordine dei “celestini” da lui stesso fondato, malvisti a Roma nei corridoi del potere ecclesiastico perchè schivi degli onori formali e del tutto privi di quella prosopopea che contraddistingueva gli addetti ai lavori della sede papale. Celestino li aveva convocati, chiamati a sé dopo solo pochi giorni dalla sua elezione: essi rappresentavano la sua boccata d’aria, il pezzo di cielo che lo riportava sui suoi monti quando si sentiva prossimo a soffocare.
Adesso Claudio e Rovereto si trovavano davanti al loro padre spirituale, genuflessi in attesa delle sue parole. Celestino, dopo aver impartito loro una rapida e affettuosa benedizione, li fece alzare, e sedere davanti a lui. Il suo sguardo per un bel po’ vagò lontano, e sembrò smarrirsi nell’azzurra certezza di un cielo immutabile dietro il quale erano in attesa risposte sconcertanti e gravide di conseguenze.
“Figliuoli, vi ho chiamati qui oggi a sostenermi, come sempre avete fatto senza questioni. Il passo che sto per compiere non è ben descritto dalle parole, perché so che si tratta di un passaggio verso dimensioni più certe ma non per questo più alla portata della nostra comprensione. Eppure, se il passo che ho compiuto mesi fa ha davvero significato qualcosa, solo voi due lo potete sapere, nessun altro. Voi siete stati i miei occhi per scrutare l’avverarsi o meno di un sogno, le mie orecchie per ascoltare i fremiti prodotti nella realtà dall’incresparsi di correnti superiori, che con il loro prolungarsi fino a noi possono avviare il mondo in una direzione oppure in un’altra. Ma ditemi: ha davvero avuto senso che io abbia accettato questa carica , è stata essa benedetta dalla saggezza di Dio o è stato l’abbaglio di un vecchio corrotto da un sottile orgoglio? Parla tu Claudio, per primo, che sei il più anziano dei due, e non ti risparmiare le critiche.”
“Padre mio, tutto l’immenso affetto che ho per voi mi impedisce di accettare la vostra menzione di orgoglio con cui accusate voi stesso. No, padre, l’orgoglio è lontano dalla vostra persona come l’Occidente dall’Oriente. Ma, padre, permettetemi di ricordarvi quel benedetto versetto della Sacra Scrittura in cui il nostro Signore Gesù parla di perle e di porci: non si gettano le prime ai secondi, come la santità in un ambiente che non la recepisce è paragonabile a un monile d’oro nel grifo di un porco.”
“Ah, Claudio caro, come sono lontani i cieli mutevoli d’Abruzzo! Quelle distese di nuvole, che si accumulano nel blu, e poi d’improvviso si srotolano in un acquazzone liberatore! E io che pensavo di trasferirne lo spirito in questi saloni soffocanti di aria rafferma! Quanta ragione hai! E tu, giovane Rovereto, che hai da dire?”
“Non vi nascondo, Padre, la perplessità che ho provato quando udii la notizia della vostra scelta di accettare questa carica. Augurarvi di poter dismettere le vesti dell’innocenza anacoretica era fuori luogo, questo è certo…Eppure…forse accostarsi a questa carica con l’animo disponibile ad aprirsi a una più vasta visione della vita….perdonate il mio ardire, Padre… non ne sarebbe venuto un miglior bene per tutti noi e per la santa madre chiesa se vi foste imposto di accedere ad alcune delle richieste del vostro nuovo incarico? Certo, non dico acconsentire ad intrallazzi e giochi di potere, questo no…ma non dimentichiamo che il soglio di Pietro rappresenta il governo di un vastissimo corpo di credenti, persone che nella loro ignoranza forse sono solo in grado di vedere il pontefice come un vero e proprio monarca, cosa che in fin dei conti egli è…o dovrebbe essere. Padre, non è quest’umile vostro seguace che vi deve ricordare le fatiche formali inerenti alla dignità del papato….”“Rovereto! Come osi rivolgerti al nostro Santo Padre in questi termini?” Interloquì Claudio fissandolo scandalizzato. “Io…io pensavo di conoscerti…ma ora vedo che mi sono sbagliato su di te…oppure il meretricio di Roma ha contaminato anche te!”
Uno sguardo severo di Celestino bastò per riportarlo all’ordine: Claudio abbassò la testa e rimase in silenzio.
“Hai ragione, Claudio: perdonami, e voi perdonatemi, Santo Padre, se lo potete. In fondo è solo l’esempio che conta…e voi Padre, siete stato un esempio di semplicità, di fede incontaminata, di ardente devozione…e le cose che sussurravate a noi pochi sulle montagne sono state propagate per tutta la cristianità, e non importa se saranno solo uno, due, cento o nessuno quelli che ascolteranno il loro cuore per rispondere al vostro insegnamento… Quel che importa è che esso è stato dato”.
Un silenzio carico di tensione calò sulla stanzetta in cui si rifrangevano luci ed ombre, specchio della mutevolezza dell’animo umano. Parlò di nuovo, con voce stanca, il vecchio pontefice.
“Un giorno…un giorno forse riusciremo a conciliare gli estremi. C’è una via che sembra diritta all’uomo, ma la sua fine è la morte…si può morire in molti modi, per mancanza d’aria o per averne troppa nei polmoni e nelle vene. Possiamo scegliere? O è meglio rimettere la scelta a Colui che è più saggio di noi? O magari è possibile raggiungere l’equilibrio che produce l’armonia? Sì, questo dobbiamo apprendere, questo è ciò che siamo venuti ad imparare, e non c’è scuola migliore dell’errore. E allora io vi dico, figliuoli, che benedico il momento che mi ha permesso di errare, perché credendomi falsamente saggio ho potuto così scoprire che la saggezza è un processo continuo, tortuoso eppure liberante, doloroso e gioioso…e quando l’anima si fa piccola lo spirito si fa grande. E adesso andate, e ricordatemi nelle vostre preghiere…ma ricordate soprattutto voi stessi a voi stessi, perché siete voi il futuro. E pregate di poter imparare che ci vogliono sia la pioggia che il sole per far crescere le piante.”
Celestino si volse verso un destino carico, nelle sue tenebre, di luminosità latente.

Simone Sutra – itdavol@tin.it

da Altra Calcata

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