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RELAZIONE PRIMO SEMESTRE 2004
420 contatti in totale, 129 limitati ad informazioni di carattere generale ma ben 291 da parte di donne che sono poi state seguite nei settori legali o psicologico, quando non nelle accoglienze, ascolti o accompagnamenti determinati dall’emergenza.
Un contatto che in molti casi, come dimostrato dai dati che seguiranno, è avvenuto da parte di donne che non si erano mai rivolte al Telefono Rosa di Torino: come ad affermare che i nuovi casi accertati non fanno altro che confermare come la violenza, di qualunque genere, sia ben lontana dall’essere debellata e nemmeno parzialmente controllata.
Le modalità di raccolta dei dati.
Dal gennaio 2004, il Telefono Rosa di Torino si è dotato di una nuova scheda di rilevazione, che, a differenza delle precedenti, è diventata una vera e propria scheda personale siglata per ogni donna che contattava l’associazione. In questo modo è stato possibile seguire, per ognuna, l’evolversi dell’accoglienza fino alle soluzioni ritenute più opportune.
Inoltre, sono stati inseriti nella scheda altri essenziali elementi: importanti per conoscere la soggettività delle donne accolte ma anche per comprendere le manifestazioni della violenza. Ad esempio, la rilevazione dei disturbi fisici o psicologici presentati dalle donne (senza alcuna pretesa d’esattezza nel linguaggio ma anzi usando le terminologie nel modo più comune possibile) ha consentito di avere un quadro significativo di sintomatologia spesso presenti in forma molto diffusa in donne vittime di violenza. Facile immaginare come una tale conoscenza potrebbe consentire ad esempio ai medici di base d’indagare l’eziologia di diverse sindromi a volte resistenti alle consuete terapie mediche tradizionali o meno o anche a fronte di lunghe psicoterapie.
La nuova scheda è stata il prodotto di una lunga formazione e di un confronto interno: è stata, infatti, inserita nel progetto formativo sull’accoglienza dell’anno 2003 (che faceva parte della formazione specifica sulla conduzione dei gruppi finanziata dalla Compagnia di San Paolo) e proprio dalla necessità di conoscere a fondo la realtà delle donne accolte è scaturita la nuova struttura di lavoro.
I dati principali.
420 contatti: il 75% dei quali avvenuti telefonicamente (gli altri con un contatto diretto presso la nostra sede).
Il 16,2% dei contatti sono avvenuto nel mese di gennaio; il 15,0% a febbraio, il 22,1% a marzo, il 14,0% ad aprile, il 14,8% a maggio e il 7,1% a giugno.
Maggiori i contatti avvenuti il lunedì (24,3%) e il venerdì (20,2%) probabilmente anche a causa del maggiore periodo d’apertura della sede. Resta però intatta l’opinione che i giorni immediatamente seguenti o precedenti il fine settimana siano di particolare preoccupazione soprattutto per le donne che vivono situazioni di disagio intrafamiliare. Il 17,1% delle donne si sono rivolte al Telefono Rosa il martedì, il 14,0% il mercoledì, il 16,4% il giovedì.
Confermate le condizioni anagrafiche delle chiamanti: come ormai è assodato, il 12,6% delle donne è nubile, il 51,7% sono coniugate, il 10,7% le conviventi, il 16% le separate, il 3,3% divorziate e lo 0,5% vedove.
L’1,7% ha meno di 20 anni, il 15% tra i 21 e i 30 anni, il 35,7% dai 31 ai 40 anni, il 27,4% dai 41 a 50 anni, l’11,2% da 51 a 60 anni e il 3,8% da 61 a 70 anni.
Solo l’1,2% delle donne che si è rivolta all’associazione non ha figli: il 34,3% ne ha uno, il 32,4% due, il 7,9% tre e il 2,1% più di tre.
L’87% delle donne è di nazionalità italiana: ma è stato necessario accogliere anche donne africane, albanesi, austriache, boliviane, brasiliane, filippine, ceche, croate, francesi, 4 di nazionalità marocchina, 4 peruviane, 4 polacche, 11 rumene, insieme ad altre etnie.
Il 52,4% delle utenti proviene dalla città di Torino, il 31,9 dalla Provincia, l’8,1% dal Piemonte mentre l’1,2% delle chiamate proviene da fuori regione.
2,6% le studentesse, 10% le casalinghe, 4,3% le pensionate, 9,0% sono operaie, 16,4% impiegate, 2,9% collaboratrici domestiche, 4,0% insegnanti, 2,1% commercianti, 2,4% libere professioniste, 8,1% lavoratrici precarie: una tendenza ad un “target” di maggiore livello, già evidenziato negli anni scorsi ma ancora più presente in questo primo scorcio di anno.
Il 43,1% della chiamate telefoniche proviene dalla propria abitazione, l’11,9% dal cellulare, l’8,8% dal posto di lavoro, il 2,1% dalla abitazione di amici, il 2.9% dalla abitazione di parenti, il 2,9% da un telefono pubblico, l’1,7% dai servizi sociali, il 13,3% da altri luoghi non rilevati.
Interessanti i dati sulla provenienza delle informazioni che hanno spinto le donne a prendere contatto con il Telefono Rosa di Torino: il 33,6% delle donne ha avuto notizie sul Telefono Rosa da amici o amiche, il 3,6% da parenti, solo l’1,7% dai servizi sanitari, mentre l’8,3% ha avuto informazioni dai mass media, il 3,6% dai depliant distribuiti in occasione di diverse manifestazioni, il 6,9% dai servizi sociali, l’1,9% dalla forza dell’ordine, il 5,0% dal sito internet (recentemente rinnovato), il 21,4% da altre fonti.
L’8,8% delle donne aveva già chiamato una volta l’Associazione, il 5,2% più volte, ma resta inquietante il numero di “prime chiamate”: ben il 77,6%, in pratica un numero consistente di donne che si aggiungo alle già tante che si trovano costrette a segnalare violenze, maltrattamenti, disagi di vario genere.
Il 52,1% chiede una consulenza legale, il 6,9% una consulenza psicologica, il 5,7% si è rivolta all’associazione per situazioni d’emergenza. Solo il 3,1% delle donne ha chiamato per informazioni sull’orientamento al lavoro, ma va precisato che si tratta di un servizio nuovo, peraltro riservato alle donne che segnalano oggettive situazioni di difficoltà legate alla violenza.
Altre percentuali consistenti si riferiscono a richieste combinate (avvocatessa+psicologa, avvocata per emergenza, psicologa per emergenza, ecc.).
Cosa è stato segnalato.
Dal contesto sopra delineato, appare ora importante chiarire quali sono le circostanze portate all’attenzione del Telefono Rosa di Torino.
Lo 0,2% segnala un abbandono, lo 0,2 violenze nell’adolescenza, il 7,1% situazioni di dipendenza di vario genere. Ma poi arriviamo al 29% che segnala abusi e ricatti di tipo economico prodotti dai propri partner, mentre il 66,4% denuncia maltrattamenti psicologici e il 37,6% maltrattamenti fisici. Il 26,9% comunica di essere stata vittima di minacce, mentre arriviamo all’1,7% di violenze sessuali extrafamiliari, lo 0,2% di violenze sessuali di gruppo, il 4,5% segnala violenze sessuali intrafamiliari e l’1,9% violenze sessuali perpetrate dal partner.
Nel 50,0% dei casi l’abusatore è il marito, nel 9,0% il convivente, nel 9,8% l’ex marito, nel 1,7% l’ex fidanzato, nel 2,1% l’ex convivente. Ma anche il 2,1% segnala come abusatore il padre, lo 0,7% i figli e la stessa percentuale anche per il fratello: gli sconosciuti sono solo l’1,4%.
Le professioni degli abusatori confermano una tendenza verso un target più elevato. Merita cogliere l’occasione di questa relazione per confermare come da qualche tempo la stessa letteratura (oltre che i nostri dati) abbia confermato che la violenza non è il frutto dell’ignoranza e del degrado: anche in questo scorcio del 2004, vediamo nel ruolo di abusatori il 2,4% di artigiani, il 16% di operai, l’8,6% di pensionati, il 9% di impiegati, il 3,3% di commercianti, l’1,9% di dirigenti, l’8,1% di liberi professionisti, il 2,9% di imprenditori. Solo il 9,8% di disoccupati (le restanti percentuali non sono state rilevate). Ma segnaliamo solo lo 0,7% d’abusatori tra i datori di lavoro: i dati sono minimi per pensare ad una generalizzazione, ma forse le nuove norme sulla violenza e le molestie hanno probabilmente un valore deterrente che si comincia a notare, perlomeno nei luoghi pubblici (nel privato della famiglia o della coppia, purtroppo, nulla cambia: anzi).
L’età è in parte sovrapponibile a quella delle vittime: lo 0,5% degli abusatori ha meno di 20 anni, il 6,9% da 21 a 30 anni, il 24,5% 31-40 anni, il 23,1% 41-50, il 15% 51-60, il 5,2% 61-70 anni.
Le esperienze delle donne
Al di là, ma in una logica di verifica di situazioni relative al recente passato, la nuova scheda di rilevazione ha inteso anche individuare quali realtà appartengano alle donne che, solitamente in età adulta, si rivolgono al Telefono Rosa.
Precisando che i dati confermano come la violenza faccia a volte parte dell’esperienza delle donne fin dalla più tenera età, è d’altra parte verificabile come non vi sia quella sorta di predisposizione vittimogena, né specifica né generalizzabile, a carico di donne che sono protagoniste, loro malgrado, d’episodi che le rendono vittime di violenza o maltrattamenti nell’età adulta.
Da parte di una certa letteratura o d’orientamenti chiaramente portati a negare molti dei diritti femminili, si è più volte ripetuto che possa esistere una sorta di predisposizione ad essere vittima.
Indagare su quest’aspetto ha fatto emergere dolorosi passati: ma la maggior parte di questi piuttosto recenti, o in ogni caso legati all’esperienza adulta. Non ci sono quindi conferme del fatto che la violenza subita nell’infanzia o nell’adolescenza sia una sorta di predisposizione vittimogena nell’età adulta.
Il 10% delle donne che ha chiamato ammette abusi sessuali nell’infanzia: nel 93,1% dei casi da parte di una persona conosciuta. Il 34,5% dei casi ha avuto come impatto la coercizione, ma nel 48,3% l’abuso è avvenuto a seguito di sottili seduzioni da parte d’adulti. Pochi i casi unici (27,6% dei casi segnalati); nel 44,8% dei casi l’abuso è stato ripetuto, nel 24,1% protratto (con questo secondo termine s’intende una circostanza non solo ripetuta in un arco di tempo limitato, ma ripetuta in un considerevole periodo).
L’1,4% racconta una violenza sessuale nell’infanzia, da parte di persone conosciute, il 75% dei casi con evidente coercizione fisica. Nel 50% dei casi segnalati la violenza è stata ripetuta, nell’altro 50% addirittura protratta.
1,4% anche la percentuale delle donne che ha subito abusi sessuali nell’adolescenza: tutte da parte di persone conosciute, il 75% (com’è ovvio) con coercizione fisica, e si è trattato d’episodi unici o protratti.
Ben il 4,8%, però, i casi di violenza sessuale nell’adolescenza: tutti con persone conosciute, la maggior parte con coercizione fisica, ma solo il 50% come episodio unico. Il 21,4% ha raccontato episodi ripetuti e il 28,6% protratti.
14 i casi di abuso sessuale nell’età adulta: 88,9% da parte di persone conosciute, l’11,1% da parte di sconosciuti. 35,7% dei casi sono stati episodi unici, il 28,6% invece gli episodi protratti.
Il 12,4% delle donne accolte racconta poi di essere stata vittima di violenza sessuale nell’età adulta: il 33,3% come episodio unico, ma, nel versante familiare, il 19,4% delle violenze sono state ripetute e il 50,0% protratte.
Sul versante dei maltrattamenti i numeri diventano imponenti: il 54% delle donne racconta maltrattamenti fisici, il 78,3% dei quali avvenuti in età adulta, come episodi protratti nel 63,7% dei casi. Ben il 78,4% ammette invece maltrattamenti psicologici: solo nell’età adulta nel 79,8% dei casi, nell’89,0% protratti nel tempo.
Chiudiamo con un 19,9% di molestie soggettivamente percepite e un 26,5% di dipendenze (economiche, psicologiche, abbandoni da parte del partner, ecc.).
Cosa vuole dire violenza?
Nell’ambito della nuova scheda di accoglienza, il Telefono Rosa ha voluto anticipare la constatazione di quanti e quali siano i problemi fisici e psicologici che le donne vittime di violenza o maltrattamenti presentano. Una tabella che sarebbe utile anche per i medici di medicina generale che, in caso di sintomatologie concomitanti o resistenti alle usuali terapie mediche o psicologiche, potrebbero orientare verso un’indagine più approfondita sulla eziologia dei problemi presentati.
I problemi alimentari sono presenti nel 51,5% delle donne accolte: il 38,0% per eccesso di alimentazione, il 52,7% con una diminuzione, il 9,3% con alternanza di eccessi e carenze.
Ben il 57,4% delle donne racconta alterazioni dei ritmo sonno-veglia, l’86,8% con difficoltà al sonno.
Il 31,3% ha problemi relazionali, il 34,4% problemi sessuali, il 37,5% lavorativi, il 32,0% problemi fisici (dettagliati più sotto), il 70,4% problemi emozionali e il 12,0% problemi di autoaggressione.
Le conseguenze in termini sintomatologici sono le seguenti: il 67.7% ammette agitazione, il 56,7% angoscia, il 68,4% ansia, il 12%, come detto, autoaggressioni, il 40,9% cefalea, il 47,1% depressione, il 40,5% dipendenza, il 37,1% disperazione, il 43,6% disturbi gastrointestinali, il 16,8% problemi alla sfera genitale, il 14,1% disturbi motori, il 18,9% problemi muscolari, il 38,5% ammettono isolamento, il 28,9% panico, il 58,1% paura, il 57,4% pensieri negativi, il 69,8% pianto, il 74,6% rabbia, il 48,5% problemi di concentrazione, il 34,7% scarsi progetti, il 41,6% sottomissione, il 66,3% tensione, il 39,2% vergogna, il 10,7% percezione d’essere vittima indiscriminata di violenza.
Non sfuggirà ai lettori più attenti la ricerca di descrizioni molto comprensibili (e non rientranti sempre in precise categorie diagnostiche): d’altra parte la scheda d’accoglienza è ovviamente cosa ben diversa da una cartella anamnestica, sia per contesto sia per finalità. Ma comunque appare molto chiaro com’esistano in ogni caso sintomatologie imponenti, che non possono sfuggire ad un operatore sanitario (sia esso medico di medicina generale, specialista od operatore non medico) vigile a ciò che è comunicato.
Esiste, in altre parole, un linguaggio del corpo che mostra evidenti i segni del disagio come conseguenza della violenza: e ciò a volte ben prima che una donna decida di ricorrere ad un’associazione di genere per tutelare i propri diritti.
Va da sé, quindi, un invito agli operatori della sanità pubblica e privata affinché abbiano un’attenzione particolare dove individuano circostanze con cause poco chiare o recidivanti.
Il futuro delle accoglienze.
Un breve cenno allo svolgersi delle storie dopo l’accoglienza in associazione. Il 75,6% delle donne accolte sono state indirizzate alla consulenza legale, il 29,2% alla consulenza psicologica, il 14,1% ha potuto partecipare ai gruppi di autoaiuto e l’11,7% è stata seguita nell’orientamento al lavoro.
Commento finale.
In questa prima sintesi dell’anno 2004, relativa, come detto, al semestre gennaio-giugno 2004, il Telefono Rosa ha optato per una presentazione discorsiva anziché su un’estensione dei dati raccolti. E’ evidente come la violenza non cessi di apparire al nostro orizzonte: ma è anche evidente che le nuove procedure d’accoglienza hanno permesso di rompere non solo il silenzio sui fatti recenti, ma anche di raccogliere storie del passato e problemi fisici o psicologici che non possono sfuggire ad un operatore sanitario (come detto) ma nemmeno ad un familiare, ad un amico, ad un conoscente. E’ una storia infinita di violenza che forse conosciamo un po’ meglio ogni anno di più: e che ci consente d’allertare, sempre di più, coloro che possono dare un contributo affinché la violenza cessi di esistere.
Torino, 14 settembre 2004
LA PRESIDENTE Lella Menzio
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