di Daniela Fabbri Panorama 8/8/2003

Trattare bene le dipendenti si riflette positivamente sull’immagine aziendale
Asili nido, orari flessibili, part time dopo la maternità. Ma anche spesa online e tintoria in ufficio. Ecco come e perché le società iniziano a coccolare le loro dipendenti Borsa, cartella portadocumenti, bambino in braccio: per alcune, fortunate mamme italiane l’entrata in ufficio adesso è così. Come alla Carta Sì, all’università di Tor Vergata, alla Tod’s, alla Royal Insurance: società che offrono un servizio di nido aziendale durante l’orario di lavoro. Un vantaggio in termini di tempo guadagnato per gli spostamenti ma anche un risparmio vero e proprio: gli asili nido aziendali costano in media meno di quelli comunali o privati e molto spesso l’impresa copre anche una parte o addirittura la totalità della retta. Sono sempre più numerose le aziende italiane che dimostrano una particolare attenzione ai problemi delle dipendenti madri e si accollano i costi delle carenze dei servizi alla prima infanzia. La ragione? Hanno capito che un servizio come il nido permette di limitare in modo considerevole le assenze delle mamme lavoratrici. E soprattutto permette di mantenere in azienda le donne. Che, da gruppo bistrattato e poco considerato nel mercato del lavoro, stanno diventando una risorsa fondamentale, un bene prezioso da conquistare, anche con gli asili nido. Non soltanto perché nelle aree della piena occupazione come quelle del Nord i maschi sul mercato non sono poi tantissimi. O perché ci sono molte professioni, specie nel terziario, che si stanno sempre più femminilizzando. Ma perché le donne diventano più brave: dal 1981 hanno sorpassato gli uomini per quanto riguarda l’istruzione, si laureano di più e con voti migliori rispetto ai maschi. Il che significa che nella caccia ai migliori talenti le aziende non possono più prescindere dal «sesso debole». Se le aziende cercano talenti, l’Unione Europea ha bisogno delle donne per arrivare alla piena occupazione. Nel Consiglio europeo di Lisbona del 2000 la Ue ha infatti indicato come priorità quella di una società della «piena conoscenza» e della «piena occupazione», mettendo nero su bianco alcune cifre: entro il 2010 sette europei su dieci dovranno avere un posto di lavoro, e dovranno averlo anche 61 donne su 100. Difficile dire se l’attuale congiuntura economica consentirà di raggiungere questo obiettivo (infatti già qualche voce si alza a chiedere una modifica di questi standard).Certo è che se i parametri dovranno essere rispettati, la strada potrà essere una sola: l’aumento dell’occupazione femminile, che in Italia nel 2002 era solo del 42 per cento, contro il 72,6 della Danimarca o il 56,4 della Francia. COME VA IN EUROPAConfronto tra i paesi dell’UeIn Italia ha un lavoro dipendente il 41,9% delle donne, il 16,7% un’occupazione part time. Un dato che sfigura rispetto agli altri paesi Ue, che vanno dal 72,6% della Danimarca al 56,4% della Francia, passando per Svezia (72,5%), Paesi Bassi (65,9), Gran Bretagna (65,3), Portogallo (61,2), Austria (60,2). Anche la Grecia, con un 42,7% ci precede. E non è colpa dei figli, visto che la Danimarca ha anche uno dei migliori tassi di fecondità (1,74, preceduta solo dalla Francia con 1,90), mentre anche in questa classifica le italiane sono buone ultime con l’1,24 figli pro capite. A fare la differenza sembrano essere soprattutto le politiche di sostegno alla famiglia: la tradizione francese degli asili nido fa sì che la Francia abbia per esempio l’80% di donne con un figlio di meno di tre anni che lavorano, ma pure che le francesi siano le più propense a volere un terzo figlio.

Non sono solo le esigenze delle aziende o gli obiettivi europei a richiedere una presenza più massiccia delle donne. Ci sono le ricadute sul sistema pensionistico e l’impatto demografico: per un paradosso quasi soltanto italiano (qualche studioso l’ha definito «modello mediterraneo di offerta del lavoro»), le donne della Penisola lavorano poco ma fanno anche pochissimi figli. L’avere a disposizione oltre a un lavoro anche i servizi per gestire al meglio la doppia vita ufficio-casa potrebbe aiutare a invertire questa tendenza, come avviene peraltro negli altri paesi europei. Che cosa stanno facendo le società italiane per favorire non solo l’ingresso ma anche la carriera al femminile? Per scoprirlo Panorama ha distribuito a un campione di un centinaio di grandi aziende un questionario in cui le imprese hanno indicato le misure e gli strumenti adottati a favore delle dipendenti, e soprattutto se una politica di attenzione al mondo femminile (che gli americani chiamano «diversity management») porta effettivamente dei risultati in termini di presenza complessiva e a livello dirigenziale.Risultato? Come dimostrano le dieci schede pubblicate in queste pagine, dove esistono politiche di attenzione alle donne la presenza femminile tra i dipendenti e a livello dirigenziale aumenta. È il caso della Bracco, azienda farmaceutica biomedicale da un miliardo di euro di fatturato e 3.600 dipendenti, guidata proprio da una donna, Diana Bracco, ex vicepresidente della Confindustria e attuale presidente della Federchimica: le sue iniziative per conciliare vita lavorativa e familiare sono estese e vanno dalla presenza in azienda di un assistente sociale alla possibilità di avere l’assistenza domiciliare per parenti anziani, dalle vacanze gratuite per i figli agli esami diagnostici per le patologie femminili. Qui la presenza delle donne è al 37 per cento sul totale dei dipendenti, mentre le donne dirigenti sono il 31 per cento dei manager: un record nel nostro campione. SOCIETÀIN ROSA Panorama ha inviato a un centinaio di aziende un questionario sulle politiche pro donne ALITALIADipendenti donne: 31,7%Dirigenti donne: 8,6%Tra le facilitazioni, orario flessibile, part time, telelavoro. Ci sono poi convenzioni con centri sportivi e per le vacanze dei figli dei dipendenti.ADECCODipendenti donna: 60%Dirigenti donna: 55%Politiche: alta la presenza femminile in una azienda molto giovane. Sono allo studio misure per conciliare lavoro e famiglia, fra cui la concessione del part time per il periodo successivo alla maternità.BARILLADipendenti donne: 21,1%Dirigenti donne: 4,7%Part time, orario flessibile, rimborsi per le rette degli asili, convenzioni con palestre e centri di vacanza per i figli. Allo studio un progetto di lavoro mobile. BRACCODipendenti donne: 37,1%Dirigenti donne: 31%Servizio gratuito di assistenza sociale, un programma di affiancamento per il rientro dalla maternità, un servizio gratuito di assistenza domiciliare per familiari anziani, vacanze estive gratuite per i figli, un programma di medicina preventiva mirato alle patologie femminili. E’ possibile lavorare part time per un anno dopo la maternità.CANONDipendenti donna: 30%Dirigenti donna: 0Politiche: ha costituito un gruppo di lavoro composto da donne che stanno studiando diversi progetti per le donne in azienda. DIESELDipendenti donna: 48,68%Dirigenti donna: 8%Politiche: nell’azienda del vulcanico Renzo Rosso, un buon livello di donne a livello dirigenziale.DOWDipendenti donne: 32%Dirigenti donne: 3%Dal 1999 ha fondato l’E-win (European women network) per favorire lo sviluppo professionale delle donne e il loro ingresso in ruoli di leadership.ELECTROLUXDipendenti donne: 49,3%Dirigenti donne: 14,1%Dal 1997 le lavoratrici madri possono telelavorare ed è possibile anche accedere ad un programma di job sharing. Ha convenzioni con asili e palestre.FERROVIE NORD MILANODipendenti donna: 17%Dirigenti donna: 1 su 16Politiche: nonostante una presenza femminile non ampia, l’azienda ferroviaria milanese mette a disposizione delle sue dipendenti un servizio di tutoring che le aiuta a superare i problemi legati al rientro dopo la maternità.

Anche la Kraft, dove dal 1988 è previsto che nella terna finale di ogni selezione di preassunzione debba esserci almeno una donna, la percentuale di dirigenti è superiore al 20 per cento e tre donne sono presenti nel board. Mentre all’Unicredito, una delle prime aziende ad aprire un nido, le dirigenti sono il 22 per cento.
La fantasia dei responsabili delle risorse umane produce poi incentivi di ogni tipo, oltre a quelli tradizionali dell’orario flessibile o del part time: si va dalla spesa online alla tintoria, dal servizio di disbrigo delle pratiche burocratiche (Kraft) alla possibilità di telelavorare o di lavorare part time dopo la maternità (Ikea, Procter, Adecco), dalla formazione online per le dipendenti in congedo temporaneo (ancora Ikea) alle varie misure come la banca delle ore, i permessi retribuiti per motivi familiari, le vacanze per i figli o le convenzioni con i centri sportivi.

Che le aziende siano sempre più sensibili a queste tematiche lo conferma Maria Cristina Bombelli, che da anni segue per l’università Bocconi di Milano il Laboratorio armonia e studia le differenze di genere nel mondo del lavoro. «Trovo nelle aziende una sempre maggiore sensibilità a questo tema, anche seguendo i modelli nordeuropei e americani. Magari non molto convinte, le imprese cominciano a praticare una politica di diversità e valorizzazione della componente femminile. Rimane il fatto che la nostra cultura è retriva e dominata da una specie di schizofrenia: la famiglia e i figli sono un valore sulla carta ma in pratica vengono considerati un costo. E anche la cultura manageriale più diffusa è piuttosto maschilista. Le aziende però hanno capito che le donne sono una risorsa e che trattarle bene si riflette positivamente sulla loro immagine esterna. E poi dove ci sono state politiche di supporto (storicamente per esempio l’Ibm ha una politica attiva per l’ingresso di laureate in materie tecniche) le donne hanno saputo gestirsi con successo queste chance».

Oltre alle iniziative sui tempi di lavoro e di sostegno al doppio impegno lavoro-famiglia Maria Cristina Bombelli individua un altro strumento molto apprezzato: la formazione mirata per le donne che devono assumere responsabilità.
Più controverso il tema delle quote, che le donne non gradiscono molto. «Non mi piace l’idea di fare parte di un panda club» dice Cinzia Gaeta, 42 anni, una figlia di 14, direttore degli affari legali della Procter and Gamble, multinazionale in cui la politica della diversity viene praticata da tempo. «D’altra parte è vero che ci sono ostacoli di base che non vanno sottovalutati. Se le quote possono servire a sensibilizzare l’azienda e a far capire alle donne che possono farcela, allora ben vengano. Il problema comunque è culturale: se ci fosse una vera educazione al lavoro le donne non si sentirebbero in colpa perché lavorando sottraggono tempo alla vita familiare».

Ed è troppo ottimistico pensare, come avverte la sociologa Chiara Saraceno, che il divario si colmi soltanto grazie all’ingresso nell’età adulta delle generazioni più giovani e meno legate agli stereotipi culturali della donna casalinga.
Basti pensare a che cosa è accaduto negli Stati Uniti.
Newsweek ha dedicato la copertina al 30 per cento di famiglie americane in cui lei guadagna più di lui (e in cui, in molti casi, lui non lavora più perché ha perso il posto). Secondo il settimanale, le americane sono meglio istruite dei maschi, sono ormai quasi il 50 per cento del personale di alto livello e con alti stipendi e resistono meglio alla recessione perché lavorano prevalentemente nei servizi e meno dell’industria.

Tutto bene dunque? Non proprio: eccezioni a parte, le donne americane guadagnano ancora 78 centesimi per ogni dollaro guadagnato da un uomo e il 25 per cento degli intervistati nel sondaggio pubblicato dal settimanale Usa pensa ancora che «non sia accettabile» per una donna avere il maggior reddito familiare.
Sembra proprio che le ragioni dell’economia debbano ancora vedersela con i retaggi e gli stereotipi culturali.
ALTRE SOCIETÀIN ROSA Panorama ha inviato a un centinaio di aziende un questionario sulle politiche pro donne IKEADipendenti donne: 60%Dirigenti donne: 20%Ha convenzioni con nidi e centri sportivi, piani particolari per sostenere le donne al rientro dopo la maternità, fra cui la possibilità di telelavorare.KRAFTDipendenti donne: 33%Dirigenti donne: 23%Servizio di tintoria, pagamento bollette e disbrigo di pratiche burocratiche, spesa online. Allo studio una convenzione con un nido. Dal 1998 sono stati fissati parametri precisi per le assunzioni: per ogni posto, tra i candidati ci deve essere almeno una donna.NATUZZIDipendenti donna: 26,6%Dirigenti donna: 15,5%Politiche: Il gigante dei divani non ha politiche per l’incentivazione della presenza femminile, che è comunque buona soprattutto a livello dirigenziale.P&GDipendenti donne: 30%Dirigenti donne: 26%Ha convenzioni con asili nido e centri sportivi, centri vacanza per i figli e una copertura sanitaria per tutta la famiglia. Offre un servizio di consulenza gratuita su temi legali e fiscali.POSTE ITALIANEDipendenti donne: 48%Dirigenti donne: 25%Convenzioni con centri sportivi e luoghi di vacanza per i figli dei dipendenti. Servizio di formazione per le dipendenti che rientrano dalla maternità. Allo studio convenzioni con nidi, almeno per le sedi più numerose. TECHINTDipendenti donna: 24%Dirigenti donna: 4,3%Politiche: part time, orario flessibile, palestra interna e convenzione per il disbrigo di pratiche sono fra i servizi offerti.UNICREDITODipendenti donne: 53,8%Dirigenti donne: 22%È stata fra le prime aziende a fornire, nella sede di Cologno Monzese, un nido aziendale di cui paga il 50 per cento della retta. Offre un contributo vacanze per ogni figlio di dipendente.ENICHEMDipendenti donna: 6,4%Dirigenti donna: 5,5%Politiche: non ha piani di incentivazione della presenza femminile l’azienda chimica italiana, che comunque vanta una percentuale di dirigenti piuttosto alta, soprattutto in rapporto alla presenza complessiva. Offre orario flessibile, part time, telelavoro e convenzioni con centri sportivi e centri di vacanza per i figli dei dipendenti.SONYDipendenti donna: 56%Dirigenti donna 16%Politiche: part time e orario flessibile sono fra le opportunità offerte dall’azienda. PROCTERDipendenti donne: 30%Dirigenti donna: 26%Ha convenzioni con asili nido e centri sportivi, centri vacanza per i figli e una copertura sanitaria integrativa per tutta la famiglia. Offre inoltre un servizio di consulenza gratuita su temi legali, fiscali eccetera.

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