Una coalizione progressista mai così forte ha riconfermanto alla Casa Bianca il primo inquilino afro-americano
Barack Obama ha vinto in maniera netta ed inequivocabile, nonostante un clima generale piuttosto sfavorevole. La debolezza dell’economia ha garantito una significativa opportunità allo sfidante repubblicano, ma la coalizione sociale progressista del presidente ha retto in maniera inequivocabile. La nuova generazione degli americani figli dell’immigrazione e del melting pot statunitense ha premiato ancora una volta il suo rappresentate più autorevole, il figlio di un keniano.
COALIZIONE DIVERSA – Barack Obama ha vinto le elezioni presidenziali nonostante una sconfitta storica nella parte maggioritaria della società americana, il voto bianco. L’America conservatrice dei centri rurali, religiosa e fedele ai dogmi del libero mercato, si è mobilitata in maniera simile al 2004, quando garantì il successo ad un altro presidente poco popolare come George W Bush. Gli Stati Uniti sono però un paese molto diverso rispetto a otto anni fa, visto che le nuove generazioni sono nettamente schierate con la parte progressista dello spettro politico americano. La vittoria di Barack Obama è stata costruita grazie ad una nettissima vittoria nelle minoranze etniche. Gli afro-americani si sono mobilitati come quattro anni fa, quando c’era stata la storica occasione di eleggere per la prima volta un presidente di colore. Sono state però le altre minoranze etniche, ispanici ed asiatici americani, i giovani figli della grande ondata migratoria degli anni ottanta e novanta, a dare ad Obama il margine di vantaggio necessario per la sua vittoria. Tra i giovani il presidente ha vinto con il 60% delle preferenze, migliorando però la loro mobilitazione. Se quattro anni gli under 30 erano stati il 17% dei votanti complessivi, ora questa fascia di età è cresciuta al 19%, garantendo così al presidente un vantaggio ancora più netto. I latinos, gli americani di origine ispanica, ora sono il 10% dell’elettorato complessivo, e si sono schierati nettamente con il presidente, garantendogli un margine di vantaggio intorno al 40%.
VITTORIA DI MCGOVERN – Nelle settimane scorse è morto George McGovern, il candidato presidente dei democratici che nel 1972 fu umiliato da Richard Nixon. McGovern schierò nettamente a sinistra l’asse politico del partito erede di Andrew Jackons, tanto che la sua campagna fu soprannominata Acido, Aborto e Amnistia. I diritti delle donne, una visione liberale dei diritti sociali e una tendenziale ostilità all’assertività militarista sono ora il cemento ideologico della coalizione di Obama, che si basa su donne istruite, minoranze etniche attratte da una visione più interventista del governo, e dai giovani che non si riconoscono più nei valori conservatori dell’America conservatrice e religiosa. Dopo decenni di sconfitte i democratici progressisti hanno ora trovato una base sociale capace di essere maggioritaria, e di sostenere provvedimenti come la legalizzazione degli immigrati clandestini, o la riforma universalistica della sanità. La vittoria di Obama è una sconfitta netta del movimento Tea Party, che negli anni della crisi ha rappresentato la reazione rabbiosa dell’America più conservatrice. Questa fetta di società però non è più capace di costruire una maggioranza all’interno della società statunitense, come ha in parte mostrato anche la virata moderata di Mitt Romney. Per conquistare la nomination del Gop però l’ex governatore del Massachusetts aveva dovuto spostarsi molto a destra sui temi dell’immigrazione, alienandosi così una parte significativa dell’elettorato, deluso dagli scarsi risultati dell’amministrazione Obama. L’economia ancora in difficoltà ha aiutato Romney a rimanere vicino al presidente, ma il dogmatismo conservatore non gli ha permesso di conquistare una vittoria che era possibile in astratto ma non nel concreto della società statunitense (Andrea Mollica 07/11/2012)
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