da socialpress
martedì 9 ottobre 2007 di Cinzia Cislaghi, Anna Camposampiero

Barrancabermeja, o, come viene abbreviata da queste parti, Barranca, è al centro della Colombia, nel Magdalena Medio; sorge sulle rive del fiume Magdalena, ed è crocevia tra Bogotà e la costa, Medellin e la zona orientale del paese.
Centro di interessi economici e geopolitici: qui ci sono il petrolio, il carbone, le coltivazioni di palma da cui ricavare biocombustibile.
Città contesa tra guerriglieri e paramilitari, caduta poi completamente nelle mani paramilitari nel 2001.
Barranca, con il 70% della popolazione che vive sotto la soglia di povertà, dove 15.000 persone se ne sono andate per paura e minacce, ma dove ne sono arrivate 25.000 negli ultimi 10 anni, sfollate da altre zone per gli stessi motivi. Barranca, dove i paramilitari si smobilizzano (processo con cui si reintegrano alla vita civile grazie alla legge di “giustizia e pace”) consegnando il mitra con la mano sinistra e riprendendolo con la destra per riciclarsi in servizi di sicurezza privata, che impongono i propri servigi stile “pizzo”, o dedicandosi all’usura e ai prestiti facili, chiedendo la vita in cambio di un mancato pagamento. Barranca, terra di sindacalisti, di operai, di resistenza sociale da sempre.
Tra le organizzazioni che resistono e lottano per una società migliore merita attenzione la OFP: Organizacion Feminina Popular.
“Es mejor ser con miedo… que dejar de ser por miedo”(“E’ meglio vivere con paura, che smettere di esistere per paura”): questa scritta sui muri de “La Casa de las mujeres -la casa delle donne”, nel barrio Primero de Mayo, riassume lo spirito delle donne della OFP.
Tante, di età e estrazioni diverse. Sono state minacciate, alcune uccise, hanno avuto e hanno bisogno di “accompagnamento”, guardie del corpo, rigorosamente non armate. Eppure, continuano con il loro lavoro di educazione, formazione, sostegno, difesa dei diritti umani.
La casa nel barrio Primero de Mayo è uno dei centri che queste donne coraggiose gestiscono insieme alle donne del quartiere: comedor popular-mensa popolare, spazio di formazione, punto di ritrovo. Ma grandissimo anche il lavoro di sostegno che le donne fanno, anche in rete con altre organizzazioni. Per le loro attività, per il solo fatto di essersi organizzate, hanno da sempre ricevuto minacce, in alcuni casi portate a termine.
Oggi le cose non sono cambiate molto, anche se sembra che rispetto al 2001 il livello di violenza sia diminuito. Semplicemente le azioni sono più “mirate”. Abbiamo incontrato alcune di queste donne. Ne abbiamo ascoltato le testimonianze.
In mezzo ai racconti dell’orrore di fratelli, figli, compagni, mariti, fatti sparire, desaparecidos, per poi riapparire nelle discariche o sulle rive del fiume, un atto di disumanità sottile. L’11 novembre 2001, nella zona nord della città, è stata fatta sparire una casa della OFP. La donna che ce ne racconta piange, non riesce a smettere. Come se avesse perso un figlio: un progetto, un processo di cambiamento lento che mette a rischio le loro vite, quelle dei loro famigliari, un impegno quotidiano e costante. Tutto riversato in una casa. E questo, chi ha compiuto l’atto, lo sapeva bene. Dopo varie minacce, una notte, verso le due, questa donna è stata avvisata che avevamo rubato la casa. Non capendo, lei ha chiesto cosa avessero rubato. E le hanno ripetuto: la casa. Si sono organizzate con altre organizzazioni locali, perché la loro forza e’ anche la costruzione di reti e il lavoro in comune, e sono andate a vedere cosa fosse accaduto. E lì, dove sorgeva la casa, non c’era più nulla. Il vuoto. Non hanno distrutto la casa. L’hanno fatta sparire. Anche le macerie. Una desaparecion forzada di una struttura fisica, di una vita di lavoro.
Lei stessa ha dovuto poi allontanarsi da Barranca perché ancora minacciata. Dopo la casa sarebbe toccato a lei. Ma dopo quindici giorni è tornata. Isolata, protetta, non se l’è sentita di abbandonare le comunità da cui ha sempre avuto appoggio… così è qui ancora a lavorare mettendo a rischio la sua vita, ricominciando da capo.
Lavorano in rete, con le altre organizzazioni locali. Ci racconta una ragazza che il fratello è sparito un martedì alle cinque di sera. Lei vagava piangendo chiedendo notizie. Una delle donne della OFP l’ha incontrata e, capito cosa era successo, ha organizzato gruppi di ricerca. Con la foto del fratello andavano in giro a chiedere, sapendo però già in che direzione dirigersi. C’è una fattoria, una “finca”, dove le “Aquile Nere”, (gruppo di paramilitari smobilizzato, appunto) portano le persone che non pagano i prestiti ricevuti. Vicino alla fattoria passa il fiume. E il fiume restituisce sempre i corpi. E’ qui che hanno trovato il corpo del fratello della ragazzina che racconta, dopo 8 giorni dalla scomparsa.
Una vita segnata. Un fratello morto, un padre che si è dato all’alcol dopo il fatto e una madre in depressione. E lei che si ritrova con la OFP. Le uniche che la stanno aiutando.
Denunciano le donne della OFP: storie di orrore quotidiano da queste parti, storie di resistenza quotidiana.
Non ci sono nomi in questo articolo, perché ognuna di loro vale per l’altra, perché ogni storia è storia di tutte. Ci sono le donne della OFP.

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