“Interessante editoriale di Polito sul Corriere. Che questo governo presenti dei toni nostalgici direi che è indubitabile, il punto è che a volte essere intelligenti significa anche saper tornare indietro. Dal futile, come il calcio, dove l’eccesso di stranieri nelle squadre ha ridotto la nostra Nazionale a un insieme di scamorze, fino a cose più importanti come le partecipazioni statali in settori strategici. L’Italia, per esempio, ha creato negli anni la più importante rete di cavi del mondo, cavi sottomarini che collegano le due sponde dell’Atlantico, ma non solo. Di lì passano tutte le informazioni. Un crocevia mondiale di dati sensibili, realizzato con i soldi degli italiani. Un tempo si chiamava Italcable ed era della Sip. Poi è diventata Sparkle, di proprietà di Telecom Italia. Ora che Telecom è stata assorbita dalla sorella minore TIM, a sua volta scalata recentemente da stranieri, si pone un problema di sicurezza nazionale. Sparkle deve tornare a essere pubblica. E questo è solo uno degli esempi. Ma ve ne sono tanti di settori in cui lo Stato sarebbe bene fosse sempre protagonista, dai lavori pubblici all’acqua pubblica. Per fortuna la rete di Autostrade non ha fatto la fine della rete Italcable. Nel senso che la struttura è rimasta di proprietà pubblica; i Benetton con la loro Atlantia sono solo gestori. (w. m.)”

bma - BEL 
 MONDO ANTICO, IL GOVERNO DELLA NOSTALGIA
Una classe degli anni ‘60

di Antonio Polito
I Cinque Stelle sognano questo ritorno al passato come il futuro: l’utopia di un governo «etico» che insegna ai cittadini la strada verso il Benessere Collettivo
Il fastidio che Salvini ha esternato per le file milanesi davanti a Starbucks, vero e proprio demone di una modernità cosmopolita, è pari solo al disprezzo con cui Di Maio giudica il lavoro domenicale nei centri commerciali. Frappuccino e outlet, insieme con Erasmus e Ryanair, sono stati tra i simboli dei millennials, la generazione nata a cavallo dei due secoli, educata a una nuova libertà dei consumi e dei costumi, che ha colonizzato e omologato le grandi capitali europee. Ma ora che Lucio Dalla non c’è più, basta con «Milano vicino all’Europa». Oggi il messaggio è: statevene a casa, benedetti ragazzi, fatevi il caffè con la moka e santificate il giorno di festa, come si faceva un tempo, quando non c’erano tutte queste distrazioni. In cambio ai nostri giovani si offrono corsi scolastici meno turbati da tutta la fastidiosa retorica sul merito e sulla competenza. Così il governo sta rinviando la riforma che faceva valere il test Invalsi e l’alternanza scuola-lavoro per l’ammissione all’esame di maturità.
Quando i nostri giovani faranno la fila per il sussidio – quando la faranno, perché la promessa di un reddito di cittadinanza uscirà abbastanza ammaccata dalle pieghe del bilancio – dovranno spenderlo nei giorni feriali e nel negozio sotto casa. Se tutto va male, in clima di mille proroghe, potrebbero tornare anche i “lavori socialmente utili”, dei quali ha parlato Di Maio: un’antica invenzione dei turbolenti anni ’80 a Napoli, diventata nel tempo una vera e propria scuola di disoccupazione a vita, pagata dallo Stato. Rischia comunque di essere una necessità per i ragazzi che dovessero perdere il lavoro a causa della chiusura domenicale dei negozi (si calcolano 40mila posti in meno).
Il troppo tempo libero della nostra gioventù, diciamoci la verità, giustificherebbe anche il ritorno della naja: farebbe bene a tutti un anno passato a imparare un po’ di disciplina e a farsi gavettoni. E infatti Salvini ci aveva anche pensato. L’esercito di leva potrebbe essere una forma di reddito di cittadinanza con le stellette. Ma per ora non si può fare: costerebbe troppo e servirebbe a nulla.
Più sbocchi occupazionali potrebbero esserci invece nel calcio, se solo le società condividessero la nostalgia del Capitano (sempre Salvini) per i tempi in cui gli stranieri erano massimo due per squadra. Il nostro campionato, con meno Ronaldo e più Zaza, tornerebbe il più bello del mondo, come ai tempi in cui le partite cominciavano tutte alle 15 e si sentivano alla radio.

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