Di Rosanna Sciacca
La nascita del Regno d’Italia rappresenta un grande evento della storia moderna europea. Al di là delle contrastanti tesi storiografiche sul Risorgimento, è un fatto che l’unità italiana veniva ad alterare vecchissimi equilibri geo-politici sanciti in Europa nel lontano 1648, con la pace di Westfalia e riaffermatisi con il Congresso di Vienna nel 1815. Si inseriva, così, nel contesto europeo, da secoli dominato da Francia, Gran Bretagna, Russia e Impero asburgico, un nuovo Stato, l’Italia, la cui dimensione politica, economica e militare, per quanto molto meno rilevante rispetto a quella degli altri Paesi europei, era certamente superiore ai piccoli Stati preunitari della nostra penisola. [1]
Il 17 marzo 1861 nasceva il Regno d’Italia: quel giorno si chiudeva ufficialmente un lungo percorso di unificazione e, insieme, iniziava un nuovo cammino altrettanto difficile, tortuoso, ancora non concluso, verso il completamento dell’unità e il consolidamento dello Stato [2] A volte la storia va oltre le aspettative dei suoi protagonisti: così, il modo in cui si realizzava l’unificazione dell’Italia, “dalle Alpi all’Etna”, coglieva di sorpresa la stessa classe dirigente piemontese e le diplomazie europee che assistevano con stupore agli eventi. Si concretizzava un disegno politico che pochi avevano ritenuto possibile: tra questi, Giuseppe Mazzini. La sua mente visionaria, già dagli anni trenta dell’Ottocento, aveva creduto a tal punto in un progetto unitario su basi repubblicane da dedicarvi gran parte della sua vita, sacrificando, con insurrezioni quasi tutte fallimentari, quella di molti giovani, animati dalla fede nelle sue idee politiche. Eppure, i democratici mazziniani, nonostante avessero creato l’ “humus” favorevole alla causa nazionale, non saranno gli artefici diretti del processo di unificazione che verrà guidato dalla monarchia sabauda e dal suo primo ministro, il conte di Cavour. Questi, fiducioso nella prassi politica parlamentare, considerava il sistema liberale come l’unico antidoto all’estremismo rivoluzionario tendente facilmente a sfociare in forme dittatoriali; forte del consenso dei ceti borghesi e terrieri più attivi, sostenuto da doti politico-diplomatiche non comuni, riuscirà a padroneggiare gli eventi anche in momenti difficili e di profondo sconforto.
I fatti sono noti. Tutto avveniva, a ritmo incalzante, in poco più di un anno: dall’aprile al luglio 1859, il Re Vittorio Emanuele II conduceva la guerra contro l’Impero asburgico e, grazie all’aiuto consistente e decisivo delle truppe francesi, entrava trionfante a Milano insieme a Napoleone III, il cui intervento a fianco del Piemonte era stato faticosamente ottenuto da Cavour un anno prima nella cittadina termale di Plombières. La Lombardia veniva così annessa al Piemonte.
Nel gennaio del 1860, dopo l’inaspettato ritiro di Napoleone III dalla guerra, il primo ministro piemontese negoziava con la Francia, in cambio di Nizza e della Savoia – territori di lingua francese – il granducato di Toscana, i ducati di Modena e di Parma: le popolazioni emiliane, romagnole e toscane nel marzo dello stesso anno, con un plebiscito, proclamavano la loro volontà di unirsi al Regno di Piemonte.
Intanto, nel maggio del 1860, nel giro di poche settimane, in Sicilia, si consumava la fine del regime borbonico attraverso l’impresa dei Mille di Garibaldi. Pur patrocinata dai democratici, la spedizione non era stata avversata da Vittorio Emanuele che sperava di condurre a compimento il programma di ampliamento del suo Regno, mentre Cavour ne seguiva gli eventi, preoccupatissimo per un’iniziativa rivoluzionaria che se gli fosse sfuggita di mano, avrebbe potuto avere gravi ripercussioni interne e internazionali.
Il 20 agosto dello stesso anno, Garibaldi, diventato già un mito, sbarcava in Calabria e il 7 settembre faceva il suo ingresso trionfale a Napoli, atteso da una folla festante. Qui lo avevano raggiunto Mazzini e Cattaneo per convincerlo ad abbandonare la causa monarchica; contavano, altresì, sulle sue capacità strategiche per spingere l’esercito garibaldino fino a Roma e “detronizzare” il Papa. La qual cosa non solo avrebbe significato la vittoria dei mazziniani e la sconfitta del progetto liberale, ma avrebbe comportato il rischio di una reazione militare di Napoleone III, il difensore della Santa Sede. Pertanto Cavour era costretto ad una scelta obbligata: mandare incontro a Garibaldi e ai suoi uomini l’esercito piemontese, guidato dal Re, rischiando, addirittura, uno scontro fra soldati italiani, pur di evitare una guerra europea che avrebbe messo a repentaglio quanto si era guadagnato.
Quindi, l’esercito sabaudo, con il consenso della Francia, varcava i confini dello Stato della Chiesa e invadeva l’Umbria e le Marche, annesse, tramite plebisciti, al Regno di Piemonte. Infine, aggirando il territorio laziale, si dirigeva verso Sud dove, a Teano, il 26 ottobre, avveniva lo storico incontro tra Garibaldi e Vittorio Emanuele II. La guerra tra garibaldini ed esercito regio era scongiurata. Con realismo politico, il generale aveva consegnato il Meridione al re, rinunciando, per il momento, a Roma e Venezia.
Cavour aveva temuto la spedizione dei Mille, ma non si era posto apertamente contro Garibaldi, aspettando il momento opportuno per intervenire e volgere l’iniziativa dei democratici in favore dei moderati. Fintanto che Garibaldi fosse stato fedele alla monarchia, “bisogna(va) appoggiarsi, e appoggiarsi con molta fermezza su di lui” [3]. Nel momento cruciale dell’impresa, il 9 agosto, Cavour scriveva all’amico e collaboratore Costantino Nigra:
“Mio caro Nigra, ve lo dichiaro senza enfasi, preferisco vedere scomparire la mia popolarità, perdere la mia reputazione, ma veder fare l’Italia […] Se domani entrassi in lotta con Garibaldi, potrei avere in mio favore la maggioranza dei vecchi diplomatici, ma l’opinione pubblica europea sarebbe contro di me, e l’opinione pubblica avrebbe ragione, poiché Garibaldi ha reso all’Italia il più grande dei servigi che un uomo potesse renderle: ha dato agli Italiani la fiducia in se stessi.” [4] Erano stati mesi di trepidazione e ansia, di gioia e di sfiducia per Cavour. Più volte i suoi piani gli sembravano, all’improvviso, sfumare. Così nell’estate del 59: la notizia dell’inatteso ritiro dalla guerra dell’imperatore francese lo aveva “acceso d’ira indomabile”; uno stato d’animo a cui era seguito un senso di scoramento:
“Mi ritrovo sul lago, sfinito e sfiduciato. Non più sorretto dalla speranza di riuscire ad impresa più gloriosa e più nobile di quante siensi tenute mai. […]Sento un tale spossamento che mi rende avvertito essere purtroppo per me cominciata la vecchiaia: vecchiaia prematura, cagionata da dolori morali d’impareggiabile amarezza” [5].
Tre mesi dopo la proclamazione dell’unità d’Italia, all’età di cinquantuno anni, Cavour moriva.
Rosanna Sciacca
Note:
[1] A tal proposito si veda: G.Pescosolido, Conferenza presso Liceo Orazio di Roma, 20/01/2010 “L’Italia unita e l’Europa: istituzioni, economia, democrazia”
[2] Il CdM, il 17 marzo 2012, ufficializzava la notizia che il 17 Marzo sarebbe stata la Giornata dell’Anniversario dell’Unità d’Italia, in quanto si tratta di “una data dal forte valore simbolico per l’Italia e rappresenta il punto di arrivo nel percorso dell’unificazione nazionale e, al tempo stesso, il punto di partenza del cammino verso il completamento dell’unificazione del Paese.” http://www.repubblica.it/politica/2012/03/09/news/unit_d_italia_c_la_festa_dal_cdm_via_s_al_17_marzo-31247198
[3] C.Cavour, Lettere edite ed inedite, raccolte e illustrate da Luigi Chiaia Torino, 1883-87 in: A. Desideri, Storia e storiografia, 1985, D’Anna, Firenze.
[4] ibidem
[5] Cfr: R.Romeo, vita di Cavour, 1984, Laterza, pag. 331. Si tratta della lettera a Bianca Ronzani.
Bibliografia di riferimento:
A.Scirocco, In difesa del Risorgimento, Il Mulino, Bologna, 1998.
Giardina –Sabbatucci – Vidotto, Nuovi profili storici, vol.2, Laterza, Roma-Bari, 2010
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