L’arresto del presentatore in manette scortato da due carabinieri
Nei sette mesi in cella dal giugno 1983 al 17 gennaio 1984, quando andò ai domiciliari, il presentatore scrisse numerose missive alla compagna Francesca Scopelliti. Pubblicate per la prima volta in un libro arriva in edicola venerdì. Accusato di appartenere alla nuova camorra di Cutolo, la sua vicenda è stata il più clamoroso errore giudiziario del dopoguerra.
ROMA – “È stato atroce, Francesca. Uno schianto che non si può dire. Ancora oggi, a sei giorni dall’arresto, chiuso in questa cella 16 bis, con altri cinque disperati, non so capacitarmi, trovare un perché. Trovo solo un muro di follia”. Roma, carcere di Regina Coeli, 23 giugno 1983: Enzo Tortora, 54 anni, il famosissimo conduttore di Portobello, spedisce incredulo la sua prima lettera alla compagna Francesca Scopelliti. È finito in una retata di 856 persone, i magistrati di Napoli lo accusano di trafficare droga per la camorra: il più clamoroso errore giudiziario del Dopoguerra. Scrive: “Mi verrebbe da ridere, amore, se la cella non fosse vera, le manette autentiche, le notizie emesse sul serio. È come se mi avessero accusato di avere ucciso mia madre, e dicessero di averne le prove”. Tra quei giorni di giugno 1983 e il 17 gennaio 1984, quando sarà posto agli arresti domiciliari, Tortora invia 45 missive a Scopelliti. Ora sono un libro: ‘Lettere a Francesca’ (Pacini editore).
La Repubblica, 13 giugno 2016, continua a leggere: “Cara Francesca, mi sento umiliato fino al midollo”: le lettere di Enzo Tortora dal carcere
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