di Angela Cacciatore

fenice - COME POTER RINASCERE DALLE CENERI...

Il Centro Antiviolenza La Fenice è stato inaugurato l’otto marzo 2008, nella Sala Consiliare della Provincia. E’ stato promosso dall’Assessorato alle politiche Sociali e dalla Commissione Pari Opportunità e finanziato con i fondi regionali di cui alla L.R. 31 del 20 – 10 – 2006.
Il Centro intende porsi quale punto di riferimento per il contrasto alle forme di violenza verso le donne.
Secondo una ricerca dell’Istat presentata nel 2007, sono stimate in 6 milioni 743 mila le vittime di violenza fisica o sessuale. Nella quasi totalità dei casi le violenze non sono denunciate. Alla violenza fisica si aggiungono altre forme, meno riconoscibili ma ugualmente insidiose, che spesso si combinano tristemente fra di loro.
Donne violentate, maltrattate, violate fisicamente e psicologicamente. Per quelle tra i 15 e i 44 anni la violenza è la prima causa di morte e di invalidità, ancor più del cancro, della malaria, degli incidenti stradali e persino della guerra.
È dentro le mura domestiche, ad opera di mariti, partners e familiari, che si consumano i drammi più dolorosi. Spesso le vittime hanno paura di denunciare (circa il 90%); non si fidano, si vergognano, pensano di non essere credute ed hanno poca fiducia nelle istituzioni. Soltanto il 7,4% lo fa.
Un terzo, poi, non parla mai delle violenze subite e quelle che decidono di raccontarlo, si confidano quasi sempre con un familiare o un amico.
Rompiamo il silenzio è il titolo che il Consiglio d’Europa ha deciso di dare alla conferenza dei Ministri della Giustizia dei 47 paesi membri, in corso in Norvegia, a Trombo. E’ un incontro che tende a trovare le misure migliori per prevenire tali reati, proteggere le donne e processare i colpevoli.
Non è presente all’appuntamento il Ministro Angelino Alfano, rappresentato dal consigliere diplomatico Marco Peronaci. A lui il compito di leggere l’intervento del Guardasigilli sulla recente legge in materia di stalking, un provvedimento le cui norme vengono estese anche ai casi di violenza domestica, ma che non mostrano la stessa efficacia se il persecutore è l’attuale coniuge o convivente.
La violenza domestica in Italia viene contrastata attraverso un’integrazione di norme.
Alla legge sullo stalking la tutela delle vittime è esercitata attraverso i codici penali e civili, ed in particolare dalla legge 154/2001, anche se la tutela italiana mostra il fianco alle strutture che dovrebbero accogliere le donne ed i loro figli, vittime di violenza.
Sono solo trentanove i “centri attrezzati” per queste esigenze, con 270 posti disponibili, a fronte di una richiesta di circa 6.000 casi!
Ekuo si è recato presso il Centro antiviolenza La Fenice, a Teramo, in Via Taraschi. Ha fatto il punto della situazione, a tre anni dall’apertura, con le psicologhe Anna Maria Pizzorno e Cristina Bellocchio sull’attività del Centro.

Ci sono stati dei cambiamenti strutturali in questo periodo?
Va rivelato che la nuova Amministrazione ha potenziato il Centro, perché inizialmente siamo partiti con una psicologa, un’assistente sociale ed un legale; oggi abbiamo incrementato lo staff con una seconda psicologa ed un’assistente sociale. Siamo tutte donne. Lo scopo che ci proponiamo è di contrastare la violenza, che è purtroppo ancora la prima causa di morte.

Che difficoltà avete incontrato nel vostro cammino?
Sono state inizialmente più difficoltà di carattere tecnico; poi i servizi sono stati migliorati. Abbiamo, ad esempio, aumentato il numero delle ore di apertura dello sportello – spiega Anna Maria Pizzorno -. Originariamente lo era due giorni alla settimana, ora siamo aperti dal lunedi al sabato.

Quali sono i risultati ottenuti?
I risultati sono ottimi. Alcune donne denunciano, altre si fanno refertare al pronto soccorso, altre vengono allontanate. Questo vuol dire che c’è tutta una procedura di attivazione della forze dell’ordine. Abbiamo, poi, casi di donne che semplicemente si separano, allontanandosi dal soggetto violento, anche senza fare una denuncia. Questo per noi è comunque un risultato.

In media quante donne si rivolgono al Centro?
Sono state più di 250 le donne che si sono a noi rivolte, fino ad oggi, ma abbiamo registrato quasi un numero doppio per quanto riguarda i contatti. Alcune donne sono state dirottate verso servizi diversi, non avendo, noi, specificità in taluni casi denunciati. Altre, poi, telefonano, vengono a prendere informazioni prima di prendere delle decisioni definitive. Di fatto, comunque, ne abbiamo seguite direttamente circa 250.

Qual è la tipologia di donna che più frequentemente subisce violenza?
Abbiamo una statistica. In genere sono d’età medio–alta, dai 40 anni in su. Ma sono dati che scaturiscono da un campione diretto. Ciò non esclude che ci siano minorenni o donne molto giovani. La maggior parte ha un’età abbastanza elevata – continua Anna Maria Pizzorno – probabilmente affrancata dal ruolo di madre che può iniziare a pensare, finalmente, anche a se stessa. Il problema comune che abbiamo riscontrato è la mancanza di lavoro o un lavoro precario, part–time…

A che ceto appartengono più frequentemente?
Essendo un problema veramente trasversale, non c’è una predominanza di un ceto su un altro. Abbiamo donne laureate, diplomate ed anche compagne o mogli di professionisti.

In che modo favorite un percorso d’indipendenza, di affrancamento economico delle donne?
Non abbiamo una risposta precisa da dare. Stiamo un po’ facendo il punto della situazione ma ancora non abbiamo un quadro completo. Ci sono donne, ad esempio, che sospendono la frequentazione del Centro e spariscono per due o tre mesi. Poi tornano e portano a termine il percorso…

Ci sono dei progetti varati ad hoc per aiutare chi ha subito violenze?
La Fenice non ha questa finalità – risponde decisa e convita la Pizzorno -.

Quali sono quindi le vostre finalità?
Ognuno di noi ha un compito specifico. Gli assistenti sociali fanno accoglienza. La prima fase, il primo momento, sono molto delicati.
Il soggetto non sa ancora se frequentarci davvero. In seguito attiviamo una rete familiare ed amicale con interventi di tipo logistico: la polizia, il pronto soccorso, i servizi sociali… Le psicologhe iniziano un lavoro di ricostruzione dell’io, poiché chi si rivolgono a noi ha perso completamente l’autostima, non riuscendo, talvolta, neppure a seguire una logica strutturale di un discorso. E’ piano piano che si cerca di ricostruire un’identità. Il percorso per il lavoro non è un’attinenza del Centro.

I piani varati dal Comune, dalla Provincia e dalla Regione non sono fondamentali per ritrovare serenità e libertà?
Sì e no. Da un certo punto di vista, rischieremmo di bollare queste donne per sempre. Nel momento in cui sono più sicure di loro stesse, dovrebbero riuscire ad affrontare il mondo esterno con tutte le specifiche difficoltà che presenta. La donna deve camminare con le proprie gambe. Noi non accettiamo richieste di tipo “manipolativo”.

In che misura i problemi economici incidono sulle difficoltà?
Tantissimo. Molto spesso è il partner che mette la donna nella condizione di non avere un lavoro, per rafforzare il proprio predominio. Non si tratta solo di donne che non hanno trovato lavoro, infatti, ma che non si sono neanche mai attivate per trovarlo! Ciò accade anche per le relazioni sociali: molto spesso il partner violento, per averle completamente succubi, le allontana da parenti ed amici. Mi piace ricordare – puntualizza Anna Maria Pizzorno – che nei casi di donne sole, si può ricorrere alle case di accoglienza.

I posti letto che avete a disposizione sono sufficienti per ospitare le donne vittime di violenza?
Noi abbiamo avuto raramente necessità di fare un allontanamento di questo tipo. Ma all’occorrenza abbiamo trovato posto sia alla Caritas, sia in altri Centri. La donna, comunque, viene tenuta lì per un periodo determinato, non a vita, perché l’obiettivo è sempre quello di svincolarla. Questo provvedimento viene preso solo ed esclusivamente nel caso ci possa essere pericolo per la vita della vittima. In seguito viene attivata la rete parentale o di amicizie perché possa trovare ospitalità e conforto in ambienti migliori.

Ma nel caso in cui questa rete non esista qual è il loro destino?
Immaginiamo che continui a stare nei Centri fino a quando non venga trovata una soluzione. Non sappiamo con precisione cosa succeda dal momento in cui viene inviata a stare in un centro di accoglienza.

Ma non mantiene rapporti con voi?
Non sempre. Comunque raramente chiedono l’alloggio. Ricordiamo il caso di una ragazza slava che ci ha fatto una richiesta di questo tipo, ma in seguito abbiamo scoperto che aveva la madre con un appartamento a disposizione. Il problema era che non voleva tornare lì. Queste situazioni non le avalliamo. Del resto basterebbe trovare un lavoro anche come semplice badante, con vitto ed alloggio, ed il problema sarebbe risolto.

Sabato 30 Aprile 2011. http://www.ekuo.it

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