di Cristiana Bullita
Auguste Comte
Auguste Comte, positivista francese del XIX secolo, sostiene che lo sviluppo ontogenetico del singolo individuo, quello filogenetico dell’intera umanità e il progresso di ciascuna branca della conoscenza umana attraversano le stesse fasi.
La prima, detta stadio teologico, corrisponde per la specie umana al tempo primitivo dell’astrologia e delle religioni antiche, nel quale l’uomo cerca di spiegarsi i fenomeni della natura ricorrendo agli dei e alle sfere celesti. Esisterebbe uno stadio teologico anche per il singolo individuo, e tale sarebbe l’infanzia, popolata notoriamente di maghi, di fate, di orchi, di draghi.
Nello stadio metafisico, invece, tutti i fenomeni sono generati da alcune entità e forze imprecisate, da essenze e astrazioni personificate. Ad esempio, l’anima vegetativa fa crescere le piante, la simpatia unisce i corpi, la virtù dormitiva dell’oppio addormenta. Tale fase sarebbe propria dell’individuo nel periodo della giovinezza.
Infine, nello stadio positivo, finalmente la ragione viene coniugata con l’osservazione dei fatti e smette di elaborare costruzioni fantastiche. Tale dovrebbe essere, tipicamente, il pensiero dell’età adulta.
La nuova legge 107/2015, sedicente riforma epocale della scuola, solleva seriamente il dubbio che il legislatore non sia mai approdato a una fase positiva del pensiero (Comte ne sarebbe sconcertato, e non solo lui). Infatti, la norma parla di valorizzazione del merito e demanda al dirigente scolastico il compito d’individuare i docenti degni della gratificazione economica denominata bonus, sulla base di criteri elaborati da un apposito Comitato di valutazione. Dunque, s’intende premiare i meritevoli, e il proposito ha in sé una certa intrinseca suggestione, perché evoca il giusto riconoscimento di un’abilità o di un risultato. Però sfugge l’evidenza che il valore professionale di un docente, la sua “bravura”, cioè la preparazione, la competenza, la scrupolosità nello svolgimento delle sue mansioni sono elementi di cui non si può avere un riscontro oggettivo, perché non possono essere definiti con precisione, né quindi misurati.
È esperienza comune che la stessa capacità – professionale o di altro tipo – e lo stesso impegno vengono considerati in modo diverso non solo nelle varie società umane con costumi, norme di vita, convinzioni e comportamenti pratici differenti, ma anche in diversi e più limitati contesti, quali sono le singole istituzioni scolastiche. Un docente può essere ritenuto valido perché i suoi principi ideali e metodologici bene si attagliano a una determinata situazione ambientale, o può essere giudicato inadeguato perché non in armonia con il sistema dominante. In mancanza di una definizione univoca, di indicatori e di strumenti oggettivi di misurazione del merito, qualcuno ha addirittura proposto l’uso della reputazione per valutare la qualità degli insegnanti…
Nel contesto scolastico, però, ma anche altrove, merito e reputazione non sono altro che entità astratte, concetti dai contorni troppo sfumati per farli assurgere a criteri di distribuzione delle risorse economiche e di potere. Merito e reputazione, non meno dell’anima vegetativa, dell’etere, della res cogitans sono soltanto ipostatizzazioni, astrazioni dalla realtà fenomenica di concetti e qualità a cui viene arbitrariamente conferita una consistenza ontologica. E così dall’operato di un certo insegnante viene astratto il merito, che sussisterebbe in re, come forma dell’agire professionale, e post rem, nell’intelletto del dirigente scolastico che lo riconosce e lo premia. E intanto di un altro docente, magari meno prono verso il potere, viene valutata negativamente la reputazione.
Sarebbe forse il caso che chi si occupa di scuola si decidesse a uscire dalla nebbia metafisica e ideologica in cui brancola, per approdare a un pensiero più pratico e concreto, e finalmente libero dal vizio demagogico.
Commenti