I
LA VITA
IN CORSA
Si vive giorno per giorno, meccanicamente e con disagio.
Senza avere certezze e con affanno, per essere sempre al
passo e avere qualcosa da dire. Con l’ultima notizia di
gossip, l’ultima guerra, l’ultima di tutto che ci faccia essere i
primi a parlarne. Sempre bisogna essere all’altezza di
esprimere un’opinione, dire qualcosa che faccia effetto, che
faccia stupire, seppure verrà dimenticato il giorno dopo,
quando ci sarà ancora un motivo per dire, agire, mostrarsi
in sterili passerelle in una eterna rincorsa del nulla e
perdendo di vista se stessi, dimenticando nell’ansia di
esistere, cosa veramente vogliamo, cosa facciamo per
renderci la giornata vivibile a misura di noi stessi.
Si comincia dalla prima mattina: di corsa al lavoro, in
perenne ansia di evitare di far tardi e di apparire un
fannullone; poi, alle tredici sempre di corsa a mangiare
durante la pausa pranzo: un pezzo di pizza in piedi in
mezzo al marciapiedi o, se si è fortunati e si trova posto, un
primo più contorno in ristorantini affollati di tavoli messi
gli uni attaccati agli altri per risparmiare spazio. In fretta,
per carità, prima che arrivino le quattordici e trenta,ora di
riprendere il lavoro. Poi, alle diciotto si esce e subito a casa
tra un caos di traffico, le impiegate e le operaie in ansia di
preparare la cena, fare la spesa fra gli ultimi avventori. E
nel mentre, meccanicamente si pensa ai figli che non ci si è
goduti, alle ferie che chissà quando verrà l’estate, alle
trattenute, alle tasse, al marito, ai suoceri, alla pensione che
forse non daranno più, a dio che chissà se esiste ma
sicuramente non si interessa a te, alla tua vita fatta di
attimi perduti, di occasioni mai avute o forse perse, al
vestito nuovo che non comprerai mai perché tanto non ti
serve e poi costa troppo e inoltre sei ingrassata. Al
terrorismo, al terremoto, all’incertezza del domani e alla
precarietà del presente. Questo ed altro passa per la mente
senza che ci si renda conto che la tua giornata è volata e tu
non hai vissuto, occupati a stramaledire il traffico, le
macchine, il costo della benzina, il vigile che segna il tuo
numero di targa,una esistenza che rimane incapsulata in
una matrice che non si è mai scelta e che ci comprime con
regole, vaccini obbligatori, obbligo di essere in tiro
eccetera, eccetera, eccetera. O ancora, puoi essere un neo
cassa-integrato, un divorziato che non ce la fa a vivere con
gli alimenti che gli tocca passare alla mogli e che sta
imparando l’arte di sopravvivere del barbone; puoi esser
un mendicante, un immigrato che ormai sa di non
appartenere più al suo vecchio mondo e che ha molto da
ridire su questo in cui gli tocca stare, in una sorta di viaggio
senza ritorno; un terremotato che ha visto il suo mondo
sparire o un idealista che spera di costruirne uno nuovo, un
giorno.
II
Puoi essere chiunque, ma sempre rimani una figurina
stampata, una di quelle cartine carine, disegnate con tutti i
particolari, dove tu giorno per giorno ripeti frasi già sentite,
provi sentimenti ispirati dai film, emozioni di massa create
artificialmente, quasi sempre negative – tipo odio, paura,
insicurezza- o melense, che sanno di quell’amore sciropposo
pubblicizzato dai prodotti cinematografici americani, tutto
bacini, lacrime, sospiri e buoni sentimenti che vanno oltre la
vita,alla “GHOST”, per intenderci.
Ogni giorno senti confusamente che ti manca qualcosa, una
parte di vita rubata, o che non ti è stata permessa dagli altri o
che tu stesso hai avuto paura a percorrere; qualcosa che a
volte affiora nei sogni, nel desiderio di paesaggi e di colori che
nessun paese nuovo ti potrà mai dare. Allora provi una
“saudade” che nessuna nostalgia potrà mai descrivere e una
voglia di essere qualcuno che non sai bene chi sia.
Forse, semplicemente te. Un te assoluto, unico,
indimenticabile che traspira nei sogni e poi ti perdi durante il
giorno, mentre insegui di corsa la vita che comunque ti
precede in una gara impari.
La insegui sempre e dovunque: in quei piccoli tram da
bambola di Lisbona, nelle strade di Roma e nelle foreste
bruciate dell’Amazzonia. Sovente la trovi solo quando sei
imbottigliato nel traffico tra una maledizione e l’altra. Un vero
peccato.
Nessuno, per quanto ce lo assicuri, è in grado di insegnarci la
difficile arte della vita. Né i genitori, né lo stato, né la scuola,
né la storia. Ci possono dare regole, questo sì, ci possono
inculcare condizionamenti. Questo avviene normalmente.
L’educazione è il condizionamento principe. Ovvero, quello che
si vuole intendere per educazione, disattendendo il reale
significato di questo termine, che deriva dal Latino e significa
letteralmente “trarre fuori”, cioè aiutare attraverso una
opportuna disciplina a mettere in atto le inclinazioni
dell’animo e le potenzialità dell’intelletto, aiutando a
combattere la tentazione della pigrizia fisica, mentale ed
emozionale che troppe volte porta a non esercitarsi e a
lasciarsi andare. In tal senso gli educatori hanno una funzione
altissima e primaria.
Ciò nondimeno, attualmente questo avviene assai di rado e
poco o niente traiamo fuori da noi. Gli “educatori” si
accontentano, nel migliore dei casi, di creare o far seguire
regole più o meno severe, condivise da un gruppo che si
impone con il ricatto. O le segui o sei fuori dalla nostra vita
perché la tua eventuale ribellione ci creerebbe dolore, sdegno,
delusione.
Lo schema è identico in tutti i gruppi-nuclei, a partire da
quello famigliare, continuando con la scuola, gli amici, la vita
di quartiere, lo stato in cui viviamo ecc ecc.
Si confonde in tal modo il mezzo per il fine, la tecnica per la
creazione ultima che invero non può non esser squisitamente
personale e in quanto tale può anche discostarsi dalle regole.
Posto ciò,tale considerazione non può che far nascere una
domanda da prendere sul serio e sulla quale hanno discusso
pedagoghi, intellettuali, integralisti e anarchici:
le regole alla fine sono o non sono importanti ? Secondo la
mia personalissima esperienza,durante i primi anni della
fanciullezza, servono da validissimo supporto all’educazione
che intendiamo impartire e sono vitali oserei dire. Solo però
se non ci dimentica che chi abbiamo davanti non è solo
nostro figlio, un nostro nipote, il nostro fratello minore, un
nostro alunno ma una persona che un giorno dovrà essere in
grado di trovar da solo la propria nota personale, il proprio
stile, la propria essenza. Da solo ma anche grazie al nostro
apporto.
Un atleta, un artista o semplicemente un uomo qualunque
raggiungerà il massimo della sua espressività e del suo genio
solo quando avrà superato le regole alle quali è stato
allenato, per seguire la sua voce interna che gli indicherà la
strada da percorrere per realizzare la sua opera e quando
comprenderà, non sui libri ma attraverso la propria vita . Esse
lo hanno aiutato solo in quanto nel seguirle gli hanno messo
in moto la passione di vivere che gli consente di essere unico e
di non poter essere confuso con gli altri, né ora né mai.
Giada Melia Spinella segue
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