siccità, fame e guerra
La tragedia dimenticata di uomini e animali
Umberto Mazzantini

La tragedia ambientale ed umanitaria che tutti prevedevano è arrivata davvero: una “tempesta perfetta” che si nutre di siccità, fame e guerra sta devastando il corno d’Africa. Il 5 luglio l’Alto commissaria Onu per i rifugiati (Unhcr) si è detto «Particolarmente preoccupato per i tassi ineguali di malnutrizione osservati tra i nuovi rifugiati somali arrivati nei Paesi vicini, il Kenya e l’Etiopia, specialmente tra i bambini rifugiati».
La portavoce dell’Unhcr, Melissa Fleming, ha detto che «Più del 50% dei bambini Somali che arrivano in Etiopia soffrono malnutrizione grave, con un tasso leggermente inferiore (tra il 30 e il 40%) ma ugualmente inquietante per quelli che arrivano in Kenya. Il violento conflitto che fa strage in Somalia rende difficile, se non impossibile, per le agenzie umanitarie accedere a queste persone per fornire loro aiuto. Numerose famiglie ci hanno spiegato di aver finite tutte le loro risorse. Minacciate dalla fame, marciano per giorni, perfino per settimane, nel deserto ed all’arrivo il loro stato di salute è deplorevole».
Si tratta di una vera e propria strage degli innocenti: arrivano sempre più notizie di molti bambini sotto i 5 anni che muoiono di fame ed inedia durante la fuga: «Numerosi bambini si trovano in un tale stato di debolezza che muoiono entro le 24 ore dopo il loro arrivo, malgrado le cure urgenti e l’alimentazione terapeutica che ricevono immediatamente», spiega sconsolata l’Unhcr.
A Dadaab, il più grande campo e di rifugiati del mondo, frutto della fusione di alcuni campi in Kenya, dove vivono già 382.000 persone, i somali arrivano al ritmo di 1.400 al giorno. Ma anche il Kenya è alle prese con una grave siccità e con una pesantissima crisi economica. La stessa cosa vale per l’Etiopia, dove i rifugiati vengono registrati alla frontiera prima di essere trasferiti ad un centro di transito dell’Unhcr, dove ricevono cibo e cure. L’Alto commissariato Onu ha aperto un nuovo campo a Kobe, il terzo nel sud-est dell’Etiopia che presto avrà raggiunto il limite di 20.000 rifugiati. La Fleming dice che «Con le autorità etiopiche, in preparazione dell’afflusso continuo, abbiamo identificato un quarto sito e sono in corso discussioni sull’installazione ed i ripari per un quinto campo». L’Etiopia non vede però di buon occhio questa invasione di “nemici” somali che potrebbero andare ad ingrossare le fila della ribellione dell’Ogaden.
L’Onu sta tentando disperatamente di far fronte ad una situazione esplosiva con mezzi limitati e praticamente nell’indifferenza del mondo: un Boeing 747 carico di 100 tonnellate di aiuti umanitari è atterrato ad Addis Abeba proveniente dai depositi di emergenza dell’Unhcr di Dubai; un convoglio terrestre formato da 20 camion carichi di migliaia di tende ed altri beni di soccorso ha lasciato Gibuti il 4 luglio e oggi dovrebbe arrivare nella capitale Etiopica. L’Unhcr ha lanciato un appello perché arrivino i fondi per coprire i bisogni alimentari, di riparo, cure sanitarie e sicurezza dei profughi e si rivolge non solo ai governi, ma anche ai donatori privati «Per salvare delle vite in Etiopia e in Kenya».
Si tratta di un nuovo tipo di rifugiati che potremmo definire “ambientali di guerra”: dall’inizio dell’anno le violenze delle milizie e una devastante siccità hanno costretto più di 135.000 somali a fuggire dal loro spappolato Stato fantasma, solo a giugno 54.000 persone sono fuggite verso Kenya ed Etiopia. Cifre che fanno impallidire lo “tsunami” umano annunciato da Berlusconi a Maroni sulle coste italiane.
Secondo l’Unhcr un quarto dei 7,5 milioni di Somali sono ormai profughi interni o in altri Paesi. Guerra e siccità insieme hanno trasformato il sud e il centro della Somalia in una delle peggiori crisi umanitarie al mondo. Ormai il Corno d’Africa è punteggiato di campi profughi: più di 750.000 rifugiati sonali vivono tra Kenya (405.000), nello Yemen in piena guerra tribale/civile (187.000) e in Etiopia (110.000). I profughi interni in Somalia sarebbero 1,46 milioni. Una tragedia di dimensioni inimmaginabili della quale l’Italia non sembra accorgersi, anche se colpisce due nostre ex colonie, la Somalia e l’Etiopia.
Il tutto nel quadro di una grave siccità che sta devastando le aree aride e semi-aride dell’intero Corno d’Africa e che minaccia la sopravvivenza delle comunità pastorali, con morte di massa del bestiame e con l’aumento dei conflitti per risorse preziosissime come l’acqua e i pascoli.
Ormai i pastori vendono il bestiame a prezzi irrisori per comprare grano e la mancanza di latte e carne contribuisce a livelli di malnutrizione elevati. Oxfam spiega che «Il valore del bestiame, l’attività principale della gente in molte delle zone più colpite, è precipitato e i mercati del bestiame sono crollati, così le persone hanno molto meno potere d’acquisto rispetto al passato. Il tenore di vita della gente è già stato decimato, ma ora c‘è n rischio reale di perdita su larga scala del livello di sopravvivenza».
In alcune zone del Kenya e dell’Etiopia è morto almeno il 60% delle mandrie e gli aiuti delle agenzie umanitarie dovrebbero essere rivolte anche a fermare questa strage che è anche la fine di intere economie di sussistenza. Secondo un rapporto dell’International livestock research institute (Ilri) «l’alimentazione supplementare deve coprire gli stock di riproduzione per un tempo sufficiente, in modo che rimangano in buona salute.
La risoluzione dei conflitti per permettere ai pastori di spostarsi verso i pascoli essenziali deve essere fatto in anticipo, prima che un gran numero di animali abbiano bisogno del pascolo. Gli interventi tardivi sono costosi e inutili».”. In alcune zone del Kenya il prezzo del bestiame è sceso del 40% e in Somalia gli animali da allevamento valgono meno della metà del valore che avevano alla fine del 2010. Proprio un eccesso di offerta di capi di bestiame in alcune parti della Somalia ha causato la riduzione degli stock di ripopolamento dei piccoli ruminanti anche in Kenya. E’ in crisi anche ilò mercato dei dromedari. Nord del Kenya, Somalia ed Etiopia meridionale, che sono regioni prevalentemente pastorali, sono tra le zone più colpite dalla siccità. In Somalia, almeno il 65% della popolazione dipende dal settore zootecnico e a causa degli effetti della siccità, sempre più persone hanno fame e si impoveriscono ancora di più.

ca - CORNO 
 D'AFRICA, E' ARRIVATA LA TEMPESTA PERFETTA:

In Kenya, l’insicurezza alimentare della popolazione riguarda 3,5 milioni di persone e migrazione di bestiame di grandi dimensioni dal nord-est del Kenya e dalle zone aride somale del sud Gedo verso Juba e la regione di i Bay nel sud della Somalia, possono portare all’esaurimento precoce di pascoli e acqua in queste aree. La soluzione potrebbe essere quella di comprare il bestiame e sovvenzionando mercati del bestiame per ridurre le scorte, come sta facendo anche l’Hoca Kenya, ma un programma governativo in questo senso è stato bloccato per mancanza di fondi. Secondo le Ong l’intero programma kenyano in realtà è stato un fallimento fin dal principio: il governo acquistava gli animali ad un prezzo superiore a quello offerto dalle agenzie umanitarie: 3.000 scellini (34 dollari) per una capra o pecora, mentre le Obg offrivano la metà. Inoltre il programma non era destinato al bestiame delle zone più colpite dalla siccità. I pastori avevano iniziato a vendere al governo i capi di bestiame per poi mettere i soldi in banca per acquistare altri capi «Dove piove».
Quella che sta vivendo il Corno d’Africa è una tragedia umana, ambientale culturale. In alcune aree, prati, pascoli e rotte migratorie che venivano tradizionalmente utilizzati in caso di emergenza non sono più disponibili, dopo essere stati venduti o assegnati dagli Stati ad industrie turistiche o ad imprese agricole su vasta scala, questo secondo OIxfarm «Ha minato la capacità dei pastori di affrontare le siccità ricorrenti».
In Kenya, almeno 113 persone sono state uccise in scontri per le risorse tra gennaio e fine maggio, contro 106 decessi nello stesso periodo del 2008, 138 nel 2009 e 68 nel 2010. Secondo l’Hoca Kenia, l’alto tasso di omicidi del 2008 e 2009 è avvenuto in condizioni di siccità straordinarie, simile all’attuale situazione.
Conflitti e siccità hanno colpito anche l’istruzione: almeno 10 scuole nelle zone di Isiolo, Samburu e Turkana nel nord sono state chiuse. Dade Boru, segretario esecutivo dell’Unione degli insegnanti Isiolo, traccia un quadro preoccupante: «Centinaia di bambini hanno smesso di andare a scuola, molti si sono trasferiti con i loro genitori a fare i guardiani per il pascolo, alcuni sono sfollati a causa della mancanza di acqua». Le famiglie che hanno visto decimato il loro bestiame non hanno più soldi per pagare le tasse scolastiche.
Intanto nell’area di Isiolo arrivano bande di pastori armati e gli scontri sono all’ordine del giorno.
Come non essere d’accordo con il rapporto dell’Ilri che conclude: «Dato che sappiamo che la siccità è un pericolo sempre presente nelle terre aride dell’Africa orientale e centrale, la programmazione dei soccorsi dovrebbe concentrarsi sull’intero ciclo della siccità compresi i periodi normali e di recupero, piuttosto che a sull’allarme e l’emergenza. Questo perché qualsiasi area o comunità è … sempre, in qualche fase relativa ad una siccità in corso, recente o imminente».
Ma anche per il Corno d’Africa vittima della violenza degli uomini e della natura che si ribella ci vorrebbe un governo mondiale che nessuno riesce ad intravedere tra i disperati campi profughi e il deserto disseminato di esseri umani e bestie che non ce l’hanno fatta.

pubblicata da INFORMAZIONE LIBERA il giorno giovedì 7 luglio 2011 alle ore 21.06

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