Antologia di racconti erotici by italian women writers (tra cui la sottoscritta). A cura di Maxim Jakubosky per Ranning Press (New York). 10 autrici per 10 storie che non si faranno dimenticare!
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Leggete il mio racconto:
(sì, come il blog)
di Alina Rizzi
Sarà questo l’inferno che si dice:
volere ancora le cose
della vita e sentirsi in altre stanze
(Daria Menicanti, “Autunno”)
L’uomo è vecchio ma finge di non saperlo. Lei, nei suoi ricordi, è soltanto giovane, bella, vitale. Nulla di più di quello che l’uomo prova nei suoi confronti. Lei potrebbe essere una sua costruzione mentale, una follia. Forse lui inventa. Forse racconta a sé stesso un desiderio mai realizzato. Ma questo non è possibile scoprirlo: non ci sono indizi. L’uomo sta raccontando e non gli importa di essere ascoltato. Inizia dalla fine, perché ha bisogno di sciogliere i nodi.
– E poi mia moglie scoprì tutto,- sta dicendo.
– La solita telefonata anonima le comunicò date, luoghi e orari, con precisione meticolosa. Non credevo di avere molti amici, ma ho sempre sospettato nemici invisibili e avvelenati, pronti a slanci da serpi alla prima occasione propizia. Che arrivò naturalmente e nel momento peggiore, in cui lei, non chiedendo più niente, mi aveva legato così bene, così bene.
Mai più, disse mia moglie categorica, guardandomi dritto negli occhi.
Figuriamoci. Senz’altro ero d’accordo. Esercitava un suo sacrosanto diritto. Mai più, sicuramente, le risposi. Sta’ tranquilla. Del resto non si era trattato che di un gioco, una bravata, un’avventura. Una corsa eccitante e svagata dietro un paio di gambe snelle, dietro una gonna impudentemente corta, una bocca audace. Il colpo di testa di un ragazzino.
Immaturo, ingrato, porco, sibilò a denti stretti, senza muovere un solo muscolo del viso. Come negare? Accuse retoriche ma giuste, imputabili a qualunque cinquantenne. Sì, perché nel frattempo erano trascorsi più o meno otto anni. Una ragazzata lunga quasi un decennio, da non credere, una specie di regressione, tenuta saldamente sotto controllo però. Del resto se ne incontrano tante in minigonna e tacchi alti. Tantissime coi capelli tinti che sembrano veri, biondo miele, come naturali. Tutte con l’aria fatale quando è un cinquantenne, tra i cinquanta e i sessanta per la precisione, il pretendente. Aspiranti lolite in cerca di pigmalioni. Ma io davvero non ne ho mai avuto la stoffa: non so proteggere, rassicurare, consolare. Non ho neanche del gran tempo da perdere, per cui i patti sono stati chiari fin da subito. Ci si vede e basta, tutto lì. Che tanto la paura di invecchiare e poi di morire non passa ugualmente, anche se lei ha trent’anni di meno. Sarà per questo che quando mia moglie disse che doveva finire io non ci persi il sonno. Sapevo che sarebbe potuto capitare e alla fine è accaduto. Non mi è parso il caso di farne una tragedia, tanto che per semplificare a lei l’ho detto per telefono. Del resto detesto i pianti, le minacce o qualunque altra cosa sarebbe potuta accadere. Mi è sembrato tutto chiaro, pulito. Non c’era granché da discutere e così ho chiuso. Un bel taglio netto, come mozzarsi una mano o un braccio. Un gesto forte, efficace e di soddisfazione. Un uomo pragmatico non ha tentennamenti: è un manager dell’anima.
Il dolore, quello vero intendo, non era previsto. E’ subentrato un paio di mesi più tardi, forse tre, in modo improvviso e subdolo. Stavo attraversando la strada quando da dietro l’angolo di un palazzo sbucò una ragazza in minigonna, con le scarpe tipo trampoli. Non mi fermai, non ci persi un istante di più, eppure dentro lo stomaco o lì attorno, avvertii uno spasmo acuto, una fitta netta e profonda. E’ desiderio, mi dissi sicuro, tranquillo. Eccitazione, nient’altro. Sarò anche fedele ma non ho certo fatto voto di castità. Chi disdegnerebbe un corpo morbido e accogliente, uniformemente sodo, energico, vitale? Due ore in un motel qualunque e tornerei alle mie occupazioni più convinto di prima. Poi la ragazza si voltò e ne fui deluso. Non che lei, lei l’altra intendo, fosse un ideale di bellezza, non che fosse la perfezione. Era lei e basta. Gli occhi, la bocca, i seni, il sedere, le gambe, erano i suoi.
Comunque presi un caffè al bar di fronte e annegai il crampo allo stomaco. Con tutto quello che avevo da fare ci mancava di perder tempo in pensieri inutili.
La seconda volta, in cui il dolore si ripresentò, sempre con la sua maschera accomodante, guidavo fuori città. L’appuntamento di lavoro aveva dato i suoi frutti, ero rilassato e soddisfatto, per quanto lo si può essere in certe mattine di settembre in cui il sole trascina con sé lembi di estate già sprecati. Guidavo senza troppa fretta, percorrendo sempre la stessa strada, quella che attraversa come un fiume le campagne piane e silenziose, quando notai l’auto. Era distante dal ciglio della strada ma perfettamente visibile, sulla riva d’un corso d’acqua. Contro l’abitacolo, in pieno sole, lei irrimediabilmente bionda e lui soltanto più alto, avvinghiati, stretti, affannati, febbrili. Fu un pugno nello stomaco, una sorpresa insopportabile. Il tempo di riconoscerne i gesti ed erano già svaniti, fuggiti via insieme al fiume, i platani, i cespugli ancora fioriti, l’aria calda e fragrante, il sole limpido, il cielo disteso e accogliente.
Mi accorsi che stringevo il volante con forza, che avevo accelerato senza volerlo. Vattene pensavo, lascia perdere, non è cambiato niente, non ti interessa, non ti riguarda. Era così infatti, non mi riguardava. Stavo benissimo. Il dolore dentro, sotto le costole, non era affar mio. Potevo benissimo ignorarlo, non era davvero un dramma. Anche se il posto era quello, più o meno. Ricordo che c’era un fiume simile, probabilmente lo stesso. Ed era estate, faceva caldo. Giugno o settembre non fa grande differenza. Lei aggrappata alla mia giacca, le labbra morbide e insaziabili, le palpebre tremanti. Respiravo dentro i suoi capelli, le mani dappertutto, il sangue come un rombo nei polsi. Amore, sussurrava contro la mia bocca. Zitta, zitta, zitta! Che bisogno c’era di parole? Non dirle, non ora né mai, non farlo. Ma rideva. La lingua, i denti piccoli, il collo riverso. Liquida e calda.
A dicembre era già troppo tardi. Lei annidata sotto la mia pelle mi succhiava forza e determinazione. Invadeva le mie sicurezze come una malattia, corrodeva le mie protezioni. Lei scalpitava dentro il mio petto e d’improvviso si abbandonava dolcemente, languida e cedevole. Dimenticare e resistere, questo era il mio obiettivo. So essere molto determinato, so sempre cosa fare.
Se telefonai era per non avere dubbi, per rassicurarmi. In fondo cosa mi costava? Non compromettevo niente con una telefonata. E poi dopo un anno tante cose cambiano e capita di aver nostalgia più dei ricordi che della realtà. E la nostalgia distorce le cose e le persone, cambia i colori e i toni. Non è affidabile. Meglio accorciare le distanze allora, meglio l’impatto brutale ma realistico, che spazza via ogni speranza, che ripulisce il passato e smorza i rimpianti. Era una soluzione: sono sempre stato molto razionale. Per questo telefonai. E appresi che si era trasferita in un’altra città, forse in un altro stato. No, non seppero essere più precisi, non avevano informazioni al riguardo, erano semplicemente i nuovi inquilini.
Bene. Respirai di sollievo. Tutto si era risolto così come avevo previsto. Era stato facile e sbrigativo. Anche avessi voluto fare ulteriori indagini non avrei saputo neppure da dove iniziare. E comunque non ero mia intenzione indagare ulteriormente. Le cose si erano sistemate nel miglior modo possibile, per entrambi sicuramente.
Potevo tornare ad occuparmi un po’ più seriamente del mio lavoro e della mia famiglia. Della mia vita in sostanza, della mia solita vita, che poteva ancora andare bene. Del resto non si può vivere dentro la pelle di qualcun altro, dentro l’esistenza di chicchessia.
Per la verità qualche indagine la feci, fin dove mi è stato possibile. Dissero che si era trasferita in Inghilterra ma che sarebbe rientrata prima o poi. Non era una soluzione definitiva la sua, era senz’altro intenzionata a tornare dopo un certo periodo.
Benissimo, pensai. Meglio per lei. Anche se non capivo cosa c’era andata a fare all’estero. Non stava bene a casa sua? Comunque, mi dico spesso, prima o poi tornerà. Magari nella stessa città, è molto probabile. Oppure altrove. In realtà non fa differenza per me. Non posso certo passare la mia vita al telefono nella speranza di rintracciarla in un qualunque paese. Quante probabilità avrei? Comunque non è escluso che torni dove ha abitato per tanti anni, sarebbe la scelta più logica. Potrebbe addirittura cercarmi un giorno, giusto per sapere che fino ho fatto. Per curiosità. Non ci sarebbe nulla di strano. Ovviamente io non me ne starò qui ad aspettare che chiami, non ho quindici anni e se voglio compagnia femminile so dove trovarla. Non ho problemi ad incontrare giovani donne carine e intraprendenti. In ogni caso non mi interessa ciò che farà della sua vita. Non mi riguarda, così come non mi riguardava allora. E poi è passato davvero molto tempo e le cose cambiano. Se chiamerà la saluterò con piacere, tutto qui. Infondo perché non dovrebbe chiamare? Siamo stati assieme sette anni e avremmo potuto starci ancora altri sette o dieci o venti se non fosse accaduto ciò che sappiamo. Stavamo bene insieme, questo non intendo negarlo. Lei sarebbe d’accordo, credo. Dunque chiamerà, ne sono certo. Io malattie non ne faccio per nessuna, figuriamoci, alla mia età. Però sono qui. Se chiama sono qui.
Non esco quasi mai. E senz’altro non l’ho scordata.
Del resto perché dovrei scordarla? Perché? Avrei dovuto?
Alina Rizzi
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