(Nella speranza che sia per sempre una storia che appartiene al passato)
di Luca Telese
Edizioni Sperling&Kupfer 2006
“Un Libro che fa male, ma che va letto”
di Walter Veltroni
Si intitola Cuori neri (Dal rogo di Primavalle alla morte di Ramelli. 21 delitti dimenticati degli anni di piombo) ed esce il 24 gennaio. È il libro che il giornalista Luca Telese, cronista parlamentare del Giornale e firma di Vanity Fair, dedica al «lato B» appunto degli anni di piombo, alla storia, poco raccontata, dei militanti dell’estrema destra uccisi dalla violenza di quel periodo. A Walter Veltroni, che da sindaco del centrosinistra ha dedicato due mesi fa a Roma una strada proprio all’ultimo di quei ragazzi «dell’altra parte», Vanity ha chiesto di leggerlo in anteprima. Ci sono due passaggi di Cuori neri che potrebbero reggere, da soli, tutto il ragionare che Luca Telese fa su quella stagione orribile della nostra storia. Raccontano due momenti successivi alla sparatoria di via Acca Larenzia, quella in cui vennero uccisi tre militanti dell’estrema destra: Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta, freddati sul colpo dalla stessa mitraglietta «Skorpion» con cui sarebbe stato assassinato Aldo Moro, e Stefano Recchioni, che morì più tardi per le ferite riportate. Il primo è il momento in cui l’assemblea degli studenti di un liceo accolse con un applauso la notizia che «anche il terzo fascista di Acca Larenzia» era morto. Il secondo momento è quello in cui, con una decisione coraggiosissima per i tempi, Radio Popolare, nota emittente «del movimento», aprì i microfoni in diretta a quanti (ci furono, e non pochi), pur dichiarandosi di sinistra e antifascisti «militanti» telefonarono per condannare l’uccisione di tre giovani, «diversi da noi ma ragazzi come noi». Tra l’applauso agghiacciante e le prime, timide voci di dissociazione dalle spietate certezze del tempo, si dipana un pezzo importante della ricostruzione che Telese fa di quegli anni, che chiunque abbia l’età per averli vissuti conserva dentro un bozzolo di angoscia. Il rogo di Primavalle, 16 aprile 1973; l’assassinio dei militanti missini di Padova, giugno ’74; Mikis Mantakas, febbraio, e Sergio Ramelli, aprile ’75; Alberto Giaquinto, Francesco Cecchin. Fino all’ultimo dei delitti «politici», l’uccisione di Paolo Di Nella, il 2 febbraio del 1983, un mese e mezzo prima del decimo anniversario della morte orribile di Virgilio e Stefano Mattei, ventidue e otto anni, bruciati vivi nella più povera delle borgate romane. Dieci anni della nostra vita, dieci anni scanditi, per una intera generazione, dall’impegno politico e dalle aspirazioni a una società più giusta e più moderna, ma attraversati da una sensazione continua di ansia, di paura per sé e per gli amici, i familiari, i compagni di fede. Giorni di speranze che piano piano affogavano nel senso di impotenza di fronte a una spirale di odio e di violenza che pareva non doversi fermare mai più. Telese dedica il suo libro alle vittime di destra, ma la violenza dei nostri anni di piombo indossava i panni dell’ideologia di una parte e dell’altra e da una parte e dall’altra scivolava, inesorabilmente, nel terrorismo. Morirono ragazzi di destra e di sinistra, in quel decennio, e uomini politici e magistrati, giornalisti, professori universitari, sindacalisti, agenti di polizia e carabinieri. Morirono persone perché avevano preso un treno o partecipavano a un comizio, perché erano nel momento sbagliato nel posto sbagliato, magari davanti a una bacheca dell’Unità a cercare un cinema. Fa male, il libro di Telese. Rievoca lutti mai davvero elaborati (basta leggere alcune fra le interviste ai familiari e agli amici delle vittime), eventi mai del tutto chiariti, responsabilità mai accertate, colpe mai punite. Ma è un libro che va letto, perché va tenuta viva la traccia, per quanto dolorosa sia, di una stagione che ci sembra tanto lontana ma che forse lo è meno di quanto appaia. Certo, a nessuno dei nostri ragazzi verrebbe mai in mente, oggi, di prendere una pistola e sparare a un «nemico» perché ha idee diverse dalle sue. L’Italia è cambiata, è più civile, più matura, più abituata al confronto delle idee, ed è così perché la dura partita degli anni difficili è stata vinta, alla fine, da chi credeva nella democrazia. Oggi possiamo, come è stato fatto, intitolare a Roma una strada a Paolo Di Nella come c’è già una piazza che ricorda Walter Rossi, ragazzo del «movimento» freddato alla Balduina nel ’77, e come ci sarà una via per Valerio Verbano, il giovane di sinistra massacrato sotto gli occhi della madre nel febbraio del 1980. E possiamo commemorare i fratelli Mattei, chiedere a tutti di piangere insieme i morti di quegli anni in nome di quella che il Presidente della Repubblica ha chiamato la memoria «intera» del Paese. Ma la violenza la si respira nell’aria, il terrorismo viene «da lontano», sì, ma si nutre di fanatismi che non sono del tutto estranei a certe pieghe della nostra società. E allora la memoria è un dovere.
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