Esmeralda Tyli
La sua è la prima laurea in Letteratura italiana contemporanea dell’Università di Tirana; “Si è trattato del primo caso in quest’ambito. Ricordiamoci che negli anni Ottanta in Albania c’era ancora la dittatura. Anche se meno evidente rispetto al periodo precedente. Stava crollando in quel momento ma, al pari dell’animale morente, il colpo di coda della bestia era ancora forte. Così come forti erano i suoi strumenti, la censura in primo luogo. Ovviamente, una buona parte della mia tesi era stato censurato”. Nonostante le difficoltà nel reperire i testi, Esmeralda Tyli riesce a studiare su tutti quei libri che la macchina dello Stato iscrive nelle proprie liste di proscrizione; “Posso dire di essere stata molto fortunata. Tramite alcuni contatti con la Biblioteca Nazionale riuscivo a leggere quotidiani che, come Il Corriere della Sera e Il Manifesto, arrivavano da me per vie traverse”. Anche sotto gli occhi puntati del regime, la coraggiosa ostinazione nel difendere il diritto alla libertà e all’informazione accomuna ciascun membro della famiglia di Esmeralda: “Il telegiornale, anche se filtrato, in casa mia era sacro. Ricordo come, sin dagli anni dell’infanzia, seguissi i programmi televisivi delle tribune politiche. Sebbene all’inizio non capissi poi molto di quello che ascoltavo, la pazienza di mio nonno Veis Sejko, che insieme a mia nonna è stato il pilastro della mia vita, mi aiutava ad avvicinarmi alla soluzione”.
Quel Veis Sejko, uno dei più importanti saggisti e studiosi del folclore e dell’autonomia albanese. Eposi i kreshnikëve (L’Epos dei Martiri) è il suo capolavoro, dedicato all’arte folcloristica di Malësia e Madhe non solo in Albania ma anche in Serbia, Croazia e Bosnia-Erzegovina. Colpito dalla censura della dittatura comunista sin da giovane, tanto da dovere scrivere utilizzando lo pseudonimo di Mark Mikelini, Seiko ha fatto della conoscenza il fondamento filosofico della sua vita. E proprio dalla sua fine intelligenza Esmeralda sembra avere ereditato l’ostinata caparbietà, l’amore per lo studio e per la scrittura. Al pari di suo nonno, che faceva rumore sulla macchina da scrivere, Esmeralda utilizza le parole come strumento di critica e di indagine. Articolista per Albanianews e Opinionet.net, è attenta analista di politica e migrazione con in tasca il progetto di iscriversi di nuovo all’università, questa volta nella facoltà di scienze politiche.
Un anno dopo la laurea, il 19 luglio del 1990 l’arrivo a Trieste; “Ero la prima in assoluto a Trieste. Per dieci giorni posso dire di essere stata la preferita di quella città”. E, rispetto agli altri che, come lei, hanno lasciato l’Albania, Esmeralda si ritiene fortunata. “Sono nata e cresciuta bilingue. L’Italia, dunque, non era quella sconosciuta come, invece, si prospettava per molti dei miei connazionali. Grazie al forte legane con mio nonno, al tenermi al corrente della realtà politica italiana, conoscevo perfettamente il buio periodo che il Bel Paese stava passando. Ecco, di certo l’Italia non era per me un sogno americano da realizzare o una terra promessa. Ma ero sicura fosse il paese dove volevo vivere. Per prima cosa perché c’era in Albania una dittatura che non riuscivo a sopportare e che non sapevo contrastare. Poi perché venire in Italia poteva significare cambiare vita. Infatti l’Italia ha rappresentato la mia patria di crescita”.
Il lavoro al C.A.R.A. di Settimo Torinese, poi Roma; “Roma è casa. Mi sento romana di nascita. Tuttavia, rispetto a Torino, le associazioni sul territorio incontrano maggiori difficoltà nel coordinare il loro lavoro. A tale riguardo, credo che lo strumento che consentirebbe di raggiungere un nuovo livello d’integrazione sia far conoscere tra loro le diverse comunità di migranti. Non solo, come si potrebbe pensare, tra cittadini italiani e migranti. E questo è proprio uno degli obiettivi del Forum dell’Immigrazione del Partito Democratico, di cui sono militante e sostenitrice. Il Forum romano è un ramo del forum nazionale; ha progetti ben strutturati nei confronti di tutte le comunità di cittadini non-italiani, in modo particolare nei confronti della comunità Rom che, dalla giunta Alemanno, ha sempre ricevuto un trattamento offensivo. Ovviamente tra livello nazionale e regionale, pur nelle specificità dei singoli casi, il Forum mantiene la stessa linea di condotta. E questo permette che le iniziative siano continue, che si arrivi a formare una solida catena”.
Conoscenza e dialogo, quindi, le due parole chiave. La capacità di ascolto perché “solamente conoscendosi si supera la paura. La conoscenza reciproca fa si che non ci siano muri divisori. E, subito dopo, la comunicazione è immediata. Un dialogo umano, naturalissimo. Si scoprirà come si parli con accenti diversi delle stesse cose, tutti e tutte insieme per gli stessi diritti. Inoltre, i luoghi comuni sull’immigrazione cadrebbero immediatamente. Non s’immagina mai, per esempio, quanto alto sia il grado di scolarizzazione degli immigranti”. E, nella creazione dell’immagine del migrante, Esmeralda ritiene che i media svolgano un ruolo centrale; “Quando sono arrivata in Italia, ancora non si poteva parlare di una stampa così negativamente battagliera nei confronti degli immigrati. È solamente in un secondo tempo che alcune testate, di destra in particolare, hanno cominciato a creare dei bersagli mediatici. L’idea che ne è venuta fuori è che, da qualunque paese provenga, lo straniero è sempre un male da allontanare”.
“Il problema dell’Italia è la memoria corta. Ha scordato la sua lunga storia di migrazione, l’infanzia clandestina. Ha dimenticato la migrazione interna, da sud verso nord. La memoria storica è quasi nulla.”. Esmeralda non risparmia certo le critiche nei confronti delle politiche italiane; “Le politiche per l’integrazione in Italia sono completamente assenti. Il paese ha trattato l’immigrazione come un’eterna emergenza. E, nell’immaginario collettivo, chi produce l’emergenza deve essere ostacolato. L’immigrazione è letta come un problema quando, invece, è una risorsa. Inoltre, è uno degli elementi che consente di stabilire il tasso di sviluppo di una società”.
Come scordare il terribile episodio dello stadio di Bari, di cui oggi non si parla praticamente più, emblematico esempio di quanto l’Italia sia stata incapace di affrontare i flussi migratori dall’Albania. All’inizio dell’agosto del 1991, anche grazie al lavoro di alcuni media che teatralmente definiscono la migrazione “esodo biblico”, i flussi vengono assunti dal sentire politico e comune come un’emergenza nazionale. L’immagine della nave, attraccata al porto di Bari, carica di giovani albanesi che cercano di scendere buttandosi in mare o calandosi dalle cime d’ormeggio, colpisce l’opinione pubblica internazionale. I migranti sono dirottati nello stadio della città, con la promessa di ottenere permesso di soggiorno e lavoro. Senza servizi igienici, bagnati con gli idranti della polizia e riforniti di cibo dagli elicotteri, vi rimangono per circa una settimana. Il 14 agosto lo sgombero da parte della polizia; parte degli albanesi condotta nei campi di raccolta, parte dispersa in varie città italiane e, infine, rimpatriata in Albania con voli militari. “Lo stadio di Bari può essere visto come l’emblema della maniera con cui l’Italia tratta l’immigrazione. E purtroppo l’Europa non è intervenuta in quella che è stata una gravissima violazione dei diritti umani. Anche se non avevo conoscenti su quella nave, mi sono sentita vicina a ognuno di loro”.
L’incapacità italiana di affrontare positivamente l’immigrazione non è certo storia recente. Già a partire dagli anni Ottanta, i primi flussi migratori non producono alcun piano di inserimento sociale ma frettolose iniziative legislative. Sono del tutto assenti provvedimenti che possano facilitare l’integrazione sociale sul piano delle politiche professionali e lavorative, della cultura, della scuola e dell’abitazione: “Manca ancora oggi una stabilità legislativa. Sono assenti leggi fisse, definite. E di qui il passo verso la mancanza di stabilità nella vita di un immigrato è breve. È come se si firmasse un paradossale contratto a tempo indeterminato a essere immigrato”.
In primo luogo, quindi, è necessario uno stabile iter legislativo che garantisca l’integrazione e l’accoglienza dei migranti. In secondo, fare cadere i muri divisori che hanno colpito le prime ma che interessano anche le seconde generazioni. Ed è qui che Esmeralda lancia una sottile critica verso la letteratura della migrazione, in quanto “il rischio è quello di creare una ghetizzazione anche nella cultura”. E, proprio per sottolineare la mancanza di senso delle divisioni tra italiani e stranieri, Esmeralda vuole tenere entrambe le cittadinanze: “È importante stringere insieme le due mie radici. Anche se, credo, invecchierò qui”.
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