Un nuovo stile per un nuovo messaggio

La ricerca di autenticità artistica e umana, che ha giocato un ruolo importante per Albert Camus nella vita e nell’arte, lo induceva ad un’attenzione meticolosa rivolta allo stile. Ne aveva parlato a più riprese, non solamente in riferimento alle proprie opere ma anche nel corso della sua lunga esperienza di lettore e di critico dei lavori di altri scrittori. Ha riflettuto molto sul linguaggio, al punto che sapeva come poterlo maneggiare in modo che fosse chiaro e portatore di messaggi universali. Nel rispetto delle riflessioni e delle affermazioni teoriche quali quelle che si trovano, ad esempio, nel saggio Su una filosofia dell’espressione, l’autore ha dovuto realizzare il passaggio dal Logos platonico e cartesiano a Agape, dalla comprensione della realtà alla unione, alla comunione, alla comunicazione.
Aveva affermato:”E’ una specificità dell’arte quella di fissare in formule eterne ciò che fluttua nelle apparenze”(1).
Questa ricerca di autenticità implicava la necessità di dire la verità. In nome della verità nella sua ultima opera, Il primo uomo, Albert Camus si è permesso una confessione completa e ha parlato a bassa voce. Non era semplice trovare un linguaggio trasparente, immediato, diretto, come quello dei poemi omerici o dei romanzi russi, dove aveva trovato la vita “in presa diretta”.
Il linguaggio che Camus riuscì a conquistare è un linguaggio lontano dalla logica, dalla retorica; è un linguaggio vivo, caloroso, senza artifici, che non ha nulla della fredda oggettività dei reportages o dei romanzi naturalisti nè, tantomeno, del compiaciuto esibizionismo da macelleria di tanta letteratura di successo.
Albert Camus si era proposto di trovare un’arte che equilibrasse il silenzio e la verità, che aveva intravisto durante gli anni luminosi dell’infanzia algerina, con una giustizia e un amore, che avrebbe conquistato strada facendo. Il rifiuto di una realtà piatta, banale, di routine, dolce, ma inerte, passiva, quale la viveva sua madre nel quartiere povero di Belcour, lo esponeva al grave rischio del rifiuto, dell’odio. Dall’altra parte del Mediterraneo c’era la possibilità dell’azione, il superamento dell’inerzia. E se ne andò allora, e volse le spalle a quella realtà, ma trovò la realtà artificiale, creata dagli uomini “civilizzati”, una realtà sulla quale ne La caduta aveva esercitato la sua ironia:”Parigi è un vero trompe-l’oeil, un magnifico scenario, popolato da quattro milioni di figurine dedite alla fornicazione e alla lettura dei giornali”. Pascal aveva detto che il cuore ha delle ragioni che la ragione non ha. C’era ben altro da fare oltre alla caccia ai piaceri e agli articoli di cronaca ! Tra la testa e il sesso c’era il cuore, che desiderava dare e ricevere amore. Per Albert Camus il cuore era rimasto là, in Africa, vicino a quella donna vestita sempre di grigio e di nero. Nella sua vita egli aveva veramente amato solamente il suo destino, la sua “stella”, ciò che la vita gli aveva dato, non ciò che lui aveva scelto.
E tutti i suoi amori sono presenti in carne ed ossa nella sua autobiografiaconfessione, in un modo nuovo, con la plasticità e l’evidenza degli eroi omerici e dei personaggi dei romanzi russi. Non è accidentale che l’ultima sua lettura fosse un romanzo di Tolstoj.
Jean Grenier, suo professore di Filosofia, aveva detto la cosa più bella che si possa dire di un artista; Jean Grenier aveva affermato che le opere di Albert Camus non hanno bisogno di commenti. Ed è vero. Esse possono stimolare riflessioni, ma non hanno bisogno di commenti, come tutte le cose belle, che portano in se stesse la loro evidenza.
L’ultimo Camus solleva il velo del pudore, dell’aridità voluta delle opere giovanili (Lo Straniero) e parla. Guarda il film della sua vita con un sentimento di tenerezza per il bimbetto che era e che ha conquistato, ridiventando se stesso. Non è il film in nero e bianco delle idee contrapposte, degli antagoismi ideologici, né la freddezza delle memorie d’archivio. Sono i profumi e i cattivi odori, i colori, i suoni,le melodie degli inni sacri e delle emozioni, le parole della nonna, così dura, così saggia, così affezionata al nipotino, che puniva violentemente ma che amava, a modo suo. E poi i primi piani sulla madre, sempre sola, isolata, silenziosa, raccolta nel suo mondo, dove il bambino non poteva entrare, tranne che per rubare un lieve contatto fisico.
L’ultimo Camus realizza l’arte dell’unione completa. Ha superato ogni barriera ideologica e formale. E’ tutt’uno col mondo, col suo mondo interiore. Le parole e le immagini riflettono e perpetuano per il lettore il viaggio dal Logos a Agape.

(c) Antonia Chimenti, Toronto, 23 aprile 2006

(1) Carnets, 1, Gallimard, Paris, 1973, p.25

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