Nasce con i fondi europei una fabbrica a Stinfalia, in Grecia, il lago della fatica di Ercole
Investire nel miglioramento ambientale e nella conservazione della biodiversità, dunque, dà i suoi frutti. Ambientali, e insieme economici
Una panoramica della palude dui Stynfalia
Visto dall’alto il lago di Stinfalia, nel Peloponneso, sembra solo un enorme canneto. Cambiamenti climatici e agricoltura hanno quasi prosciugato lo specchio d’acqua famoso per la sesta fatica di Ercole, che qui uccise uno stormo di uccelli dagli artigli di bronzo. Oggi però, nella Grecia in preda alla crisi infinita, da Bruxelles oltre alle richieste di rientro dal debito arrivano anche risorse per investire nella natura e renderla motore di sviluppo economico. «Puntiamo a costruire uno stabilimento per produrre pellet partendo dalle canne in eccesso del lago e dagli scarti agricoli. I soldi derivanti dalla vendita del combustibile naturale serviranno per gestire il lago, dando nuovo impulso al turismo e creando posti di lavoro», spiega Christina Pelekanaki, esperta ambientale della Banca del Pireo e coordinatrice del progetto Life Stymfalia, finanziato con 1 milione di euro dalla Commissione europea. Per rinaturalizzare il lago e controllare il territorio, grazie al progetto sono già stati creati cinque posti di lavoro, e altre cinque persone potranno essere assunte di qui al 2017: un’esperienza che alla Green Week 2015, svoltasi a Bruxelles nei giorni di una delle tante trattative tra Tsipras e Juncker, ha sollevato molto interesse.
Dalle pianure agricole del Peloponneso ai mari di mezza Europa, dove dal 2013 grazie al progetto Healthy Seas avviato dall’azienda italiana di fibre sintetiche Aquafil, insieme alla ong olandese European centre for nature conservation e al produttore di calzini sportivi Star Socks, vengono raccolte decine di tonnellate di reti da pesca ormai fuori uso (31 tonnellate solo nel 2014) e recuperate per produrre calzini e bikini. A dimostrazione di come da un rifiuto possa nascere un’economia che non grava sull’ambiente, ma ne migliora la qualità: «Oggi collaboriamo con comunità di pescatori in Belgio, Paesi Bassi, Grecia, Italia per recuperare le reti, che spesso rimangono a inquinare gli oceani, mettendo a rischio la vita degli animali. E anche quando vengono recuperate, spesso finiscono in discarica», racconta Hanneke Wijnja dell’ECNC.
Investire in qualità ambientale paga, anche in aree antropizzate come la Pianura padana. Nella “Bassa”, il Centro ricerche sulle produzioni animali di Reggio Emilia ha coordinato un progetto Life che ha coinvolto una dozzina di allevamenti di suini e bovini, con l’obiettivo di ridurre la concentrazione di azoto e fosforo che dal cibo animale passa ai reflui, e poi al suolo e alle acque. «Insieme alle aziende abbiamo studiato diete con livelli più bassi di azoto, che hanno permesso agli allevatori di risparmiare e hanno portato a una minor presenza di questo elemento nelle deiezioni animali, diminuita nel caso dei suini del 16% e nei bovini da latte del 3%. Inoltre, per evitare casi di utilizzo eccessivo sui terreni di liquami zootecnici, ricchi di azoto, abbiamo anche avviato una redistribuzione dalle aziende che ne hanno in eccesso ad altre che ne sono sprovviste», spiega Marco Ligabue, ricercatore del CRPA e coordinatore di Aqua, finanziato dalla Commissione europea con 1,3 milioni di euro e premiato tra i migliori progetti Life durante la Green Week 2015.
Investire nel miglioramento ambientale e nella conservazione della biodiversità, dunque, dà i suoi frutti. Ambientali, e insieme economici. La Commissione calcola che solo la rete di aree protette Natura 2000, pari al 18% del territorio europeo, «fornisca molteplici servizi ecosistemi alla società, per un valore stimato tra i 200 e i 300 miliardi di euro l’anno». Più di 4 milioni di posti di lavoro in Europa dipendono dagli ecosistemi in buona salute. E ancora, l’impollinazione degli insetti, che ha ricadute dirette sull’agricoltura, vale in Europa 14 miliardi di euro l’anno, mentre dalle aree marine protette derivano effetti positivi pari a 1,5 miliardi di euro l’anno.
Un network Natura 2000 «ben gestito produrrà benefici che supereranno i costi per il suo mantenimento», spiegava la Commissione in una pubblicazione del 2013, quando il commissario all’Ambiente era ancora lo sloveno Janez Potočnik. Ora che però il suo posto è stato preso dal maltese Karmenu Vella e l’aria è cambiata, ci si chiede se a palazzo Berlaymont la pensino ancora allo stesso modo. E le preoccupazioni si fanno più profonde perché per le politiche ambientali europee questo non è un momento qualsiasi: a Bruxelles è infatti in corso la revisione sia delle cosiddette direttive Habitat e Uccelli, due pezzi di legislazione considerati da molti efficaci e di qualità, sia della strategia per la Biodiversità al 2020. Delle prime, si sta valutando il contributo effettivo alla tutela della biodiversità e il rapporto costi-benefici. Rispetto alla seconda, la revisione di medio termine già prevista prevede un’analisi degli obiettivi raggiunti e del lavoro ancora da fare. Che rimane moltissimo. Il rapporto sullo stato dell’ambiente in Europa, diffuso di recente dalla European environmental agency, parla chiaro: il 60% delle specie protette e il 77% degli habitat sono in uno stato di conservazione sfavorevole. «L’Europa non è sulla buona strada per raggiungere l’obiettivo fissato per il 2020 di arrestare la perdita di biodiversità», spiegano dall’EEA.
Se dalla Commissione tutti ci tengono a puntualizzare che la revisione delle politiche non si tradurrà in un abbassamento degli standard o in una deregulation, le preoccupazioni degli ambientalisti – e non solo – rimangono. L’idea di molti – compresa la vice direttrice del ministero dell’Ambiente tedesco Elsa Nickel, che ammette: «Sull’implementazione delle regole a livello nazionale abbiamo da fare molti compiti a casa» – è che più che toccare le leggi, ci si debba preoccupare della loro effettiva applicazione. Anche in vista dei prossimi appuntamenti internazionali, dalla COP di Parigi di fine anno al summit sulla biodiversità in Messico nel 2016. E non c’è da stupirsi se contro le mosse della Commissione si schiera anche un’esperta di ambiente della Banca europea degli investimenti: «La green economy e lo sviluppo sostenibile non sono tra le priorità della Commissione Juncker. In gioco c’è la credibilità internazionale dell’Europa», riflette Eva Mayerhofer. (07/08/2015 veronica ulivieri)
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