Sui media nazionali gira insistentemente una ricerca olandese secondo la quale le temperature di set point del raffrescamento sono impostate sul comfort maschile. Colpa del differente metabolismo, affermano. Ma c’entra anche l’abbigliamento.
Con il caldo gli articoli sul condizionamento dell’aria assumono rilievo sui media nazionali, tanto da meritare la prima pagina quando solleticano le questioni di genere. E’ accaduto nei giorni scorsi a seguito di una ricerca sull’annosa questione del perché le donne avvertano maggiormente il freddo nei locali climatizzati.?La ricerca Università di Maastricht intitolata “Energy Consumption in Buildings and Female Thermal Demand,” pubblicata su Nature Climate Change avrebbe dimostrato che gli attuali protocolli di condizionamento si basano su ipotesi antiquate, implicitamente criticando lo standard ASHRAE 55 ”Thermal Environmental Conditions for Human Occupancy”.?I ricercatori hanno sottoposto 16 donne a esperimenti di laboratorio per giungere alla conclusione che, a causa del fatto che il metabolismo delle donne è più basso di circa il 35% rispetto a quello degli uomini, la temperatura in ambiente determinata dagli impianti di condizionamento dell’aria nella stagione estiva privilegerebbe gli uomini, comportando anche un ulteriore ingiustificato consumo di energia.?Per quanto, come da tempo noto, il metabolismo femminile è inferiore a quello maschile, i risultati della ricerca non tengono conto della vera causa della differenza nella percezione termica tra uomini e donne: l’abbigliamento. D’altra parte, ASHRAE, l’associazione statunitense del condizionamento dell’aria, ha vivamente contestato i risultati della ricerca olandese e così anche AiCARR, l’associazione italiana di condizionamento dell’aria.?ià nel 2011 AiCARR Journal aveva pubblicato un articolo in cui si sottolineava l’importanza di una corretta valutazione dell’abbigliamento nella definizione delle condizione e delle strategie di regolazione degli impianti.
L’analisi statistica del PMV
Come noto agli addetti ai lavori, la valutazione delle prestazioni degli impianti viene fatta sulla base di un indice, il PMV, che tiene inoltre conto di tutte le combinazioni dei fattori ambientali interni, termici e personali, al fine di dterminare condizioni ambientali termiche accettabili per la maggioranza degli occupanti all’interno dello spazio confinato. ?Bjarne Olesen, presidente della commissione che ha elaborato l’ultima versione dello Standard ASHRAE 55, spiega che l’indice PMV è standardizzato dalla norma ISO 7730, che esiste dal 1982. La base della ricerca per stabilire i criteri di comfort per l’ambiente interno e l’indice PMV è stata realizzata sottoponendo a sperimentazioni in camera climatica più di 1.000 soggetti, di cui il 50% uomini e il 50% donne “In tutti gli esperimenti, durante i quali i soggetti svolgevano lo stesso lavoro sedentario e indossavano lo stesso tipo di abbigliamento, non si sono mai riscontrate differenze tra la temperatura preferita tra uomini e donne “.
Quanto c’entra l’abbigliamento?
La conclusione del professore Olesen, è che è tutta una questione di abbigliamento: “La ragione per cui, in qualche settore di ricerca si determina che le donne preferiscono temperature in ambiente più alte rispetto agli uomini è attribuito al livello di abbigliamento. Le donne si adattano meglio con il loro abbigliamento alle condizioni estive rispetto agli uomini che indossano giacca e cravatta. Quindi se il termostato è impostato per soddisfare gli uomini, le donne si lamentano di avere troppo freddo. “?Già nel 2011 un articolo di d’Ambrosio Alfano e Vio su AiCARR Journal n.4 sottolineava l’importanza di una corretta valutazione dell’abbigliamento nella definizione delle condizioni e delle strategie di regolazione degli impianti, dimostrando che c’è un legame diretto tra abbigliamento, sensazione di comfort e risparmio energetico. Non a caso, sono sempre più diffuse, soprattutto negli edifici pubblici, iniziative volte ad imporre ai lavoratori l’utilizzo di certi accorgimenti nel vestirsi: si pensi all’obbligo a non indossare la cravatta nella stagione estiva in alcuni uffici in Giappone.
Secondo gli autori di AiCARR, il sistema edificio-impianto deve essere sempre correttamente progettato e nella progettazione dell’impianto bisogna considerare anche la possibilità di non usare i valori di resistenza termica statica dell’abbigliamento media stagionale previsti dalla normativa (Icl pari a 0,50 clo nella stagione estiva e 1,00 in quella invernale), ma quelli realistici in funzione della destinazione d’uso dell’edificio e/o degli ambienti e, eventualmente, anche la possibilità di informare gli utenti sulla necessità e l’importanza di vestirsi in maniera corretta. In questo senso, il corretto uso dell’abbigliamento costituisce un elemento di regolazione “fine” al quale non è pensabile delegare la realizzazione delle condizioni di comfort.
Tuttavia il lavoro dei ricercatori Olandesi mette a fuoco un tema centrale per il lavoro futuro sul comfort termico: utilizzare anche analisi biofisiche e vincoli fisiologici alle associazione statistica per affinare la domanda termica a gruppi omogenei di sottopopolazioni e degli individui. (Agosto 2015)
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