notte - DEL 
 CORPO
un assaggio Frecciaa 6 - DEL 
 CORPO

PREFAZIONI

La poesia di Fausta Genziana Le Piane si muove costantemente tra coscienza e impulso profondo, tra racconto e illuminazione, tra un‘immagine scheggiata, puntiforme, esplosiva, e un’immagine invece distesa, meditata e per così dire panoramica. Con una fiducia nel potere salvifico dell’avventura verbale che non sottovaluta affatto “l’inganno delle parole”, ma che istintivamente trova conforto nell’impulso creativo profondo, metafo-rizzato a più riprese ora nel “sgrido/che genera il mondo” ora nella “rotta della linea della vita” ora nel “raggio verde/dell’oriz-zonte”.
La dinamica vitale di questa poesia, oltre che la sua energia intellettuale, è la contrapposizione costante dell’altro (cosmo-mondo-storia) all’io (persona) rap-presentata nella metafora capitale del mare (il mare della vita in cui si compie il gioco d’azzardo del destino e in cui, alla fine, l’unica vera consolazione è “l’aver dato/il nome adun amore”). E non è un caso che “mare”, “desiderio”, “cuore”, siano le parole chiave di un percorso quasi esoterico per mettersi “al riparo dal mondo” accettando di indossare perfino “la maschera della notte”, ma con lo scopo a un certo punto dichiarato di salvare il mondo dal male.
In questo senso, la poesia è anche l’impulso e l’effetto di un imperativo etico ad eliminare dal proprio io quanto c’è di ac-

condiscendenza, compiacimento, imitazione, compromesso, liberando perciò la propria espressività da tutti i vizi e vezzi “egotisti”. La parola poerica materializza contemporaneamente l’immagine, la sensazione, la scopersi, la riflessione, strappando il vissuto non solo al rischio della dimenticanza ma al buio dell’indifferenza e all’usurpazione della violenza. E questa trascrizione è lontana dallo spontaneismo, dalla confessione, ma va nel senso del ragguaglio necessario e sufficiente che viene dal profondo. E’ il modo per entrare dentro quel “cerchio magico” che da sempre la creatività riesce a conquistare con le sue improvvise rivelatrici illuminazioni e con le sue altrettanto rivelatrici distensioni.
È una vena elegiaca di tipo esistenziale, questa; mossa per intermittenze tra vuoti di angoscia balenante sul limitare della notte e ritorni di coscienza. Un‘elegia in cui tutto, anche i riferimenti alla natura e alle stagioni, è emblematico della condizione interiore di mobilità e inquietudine. Con l’originalità di una particolarissima presenza della memoria, attualizzata sempre all’hic et nunc e fatta rivivere al presente (che è il tempo verbale dominante) come nella realtà sempre e soltanto in fieri, mai veramente del tutto compiuta e perciò stesso aperta, positiva, ritrovata.

Paolo Ruffilli

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La maschera, per nascondere e rivelare. Poiché da quest’avventura il corpo e il cuore escono uccisi (“la superficie scartavetrata di un cuore in disuso” in Vento di Sahara,) c’è la necessità di nascondersi. Attraverso il trucco (vedi “il rossetto”, vedi “la polvere di riso” della Geihia), che è già una maschera. Attraverso l’oggetto maschera, come Medusa, io mi nascondo tanto che non ti avrò permesso dì avvicinarti a me. Ma ci sono ben altre maschere:

sono tutti i personaggi usciti dai miti conosciuti da noi tutti. E poi c’è la notte. Da sola, già maschera. Alleata dei Romantici, permette di nascondersi (Medusa di notte), di meglio avvicinare gli altri. Includendo nell’oscurità ogni cosa, lei fa uscire i sentimenti degli esseri che l’io poetante anima. Rivelarsi: in fondo, è di questo che si tratta. Qui, come altrove, la maschera, qualunque essa sia, lascia vedere ciò che nasconde: amori uccisi, fraternità contrariate (vedi i rapporti lupo-luna/luna-rospo). Speranze disilluse. Tutto ciò potrebbe essere riassunto in un sola figura di stile: l’ossimoro. Fausta Le Piane non ne abusa, ma si capisce bene che vi si riconosce. Così quando parla di “mute parole” o “di muti richiami” della parola che non può essere detta. Della parola mascherata e che crea una sofferenza lunga quanto “un lampo perenne”. Poiché l’ossimoro, figura di stile che maschera e rivela, contiene nella contraddizione, le fonti della sofferenza come le speranze di uscirne presto fuori.

Patrick Blandin
Università di Tolosa – Francia


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Consumato
da due dita
sottili e nervose,
aspirato con voluttà
da umide labbra,
ridotto in cenere
nel letto disfatto.

 

TERRA SENZA MARE

Questa notte
il desiderio ha bendato
i tuoi occhi stanchi,
Ulisse,
facendoti naufragare
sull’esile spiaggia
di una terra senza mare.
Vuota e polverosa
la stanza di Penelope
ti insulta
per la lunga attesa
e ti indica un letto prostrato
in cui l’amore non è più possibile.
Le tue labbra soffrono
con lenti movimenti
come immerse in un acquario
e suturano con mute parole
lembi di antiche ferite.
Volti di mille incontri,
confusi,
dietro le lastre di vetro
sfumano ai bordi del tuo globo.

E già sai che il tuo andare è finito.

 

CABINA TELEFONICA

Nella rossa cabina telefonica
alla periferia della città,
una giapponesina si china
a raccogliere una lacrima,
mentre una voce al telefono
grida
geroglifici di parole
gettate
contro gelidi pali
della luce elettrica,
spaventapasseri d’acciaio
che si danno la mano
sul filo
di un perpetuo girotondo.

… per informazioni: Fausta Genziana Le Piane email 5 - DEL 
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