di Chiara Lico | 12 settembre 2017
Lo ritrovo per caso, inaspettatamente. Come gli attimi regalati, le intese impreviste, i ricordi riaffiorati. Lo osservo senza toccarlo, all’inizio, poi allungo la mano e lo afferro. “E’ più piccolo”, il mio primo pensiero. Sorrido, perché è la mia mano che adesso è più grande.
Si intitola Arturo e Clementina. Ha la copertina rigida, l’illustrazione al centro ritrae due tartarughe che si guardano negli occhi. Mi sforzo, ma non riesco a ricordare quanti anni avessi quando mi è stata regalata questa storia pubblicata per la prima volta nel marzo del 1976, firmata da Adela Turin e Nella Bosnia.
Non resisto, lo sfoglio e piombo in una lettura che mi travolge. Mentre scorro le pagine, con illustrazioni meravigliose, arriva la notizia che a Napoli una ragazza è morta dopo un litigio con il fidanzato: non accettava di essere lasciata, si è aggrappata alla macchina mentre lui metteva in moto e si è lasciata trascinare sull’asfalto.
La sua agonia è durata meno di 24 ore.
Arturo e Clementina sono due tartarughe, compagne di vita. Tra i due è lui, Arturo, l’intraprendente. Vuole vedere il mondo, conoscere nuove realtà, spaziare in altri universi. E’ irrequieto, è smanioso. E così propone a Clementina di partire e andare via. Lei tentenna all’inizio, ma lui la rassicura: “Porteremo con noi tutto il nostro mondo”. E così accadrà. Ma sarà Clementina a caricare su di sé – uno dopo l’altro, una pagina dopo l’altra – tutti gli oggetti che costituiscono il loro piccolo grande focolare.
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