Documento presentato il 3 luglio da Maria Lepri del GRParlamento Radio Rai per conto della Commissione Pari Oppportunità dell’Usigrai (sindacato giornalisti Rai) all’audizione presso il Ministero delle Comunicazioni nell’ambito delle audizioni per il rinnovo del contratto di servizio della Rai, presente il ministro Gentiloni.

CONTRATTO DI SERVIZIO – Commissione Pari Opportunità USIGRAI

Premessa: Il servizio pubblico fornisce nel complesso una rappresentazione dell’immagine della donna distorta e lontana anni luce dai modelli reali che si riscontrano nel vivere quotidiano.
Sono del tutto assenti, per fare un esempio, le competenze femminili. Negli spazi dell’informazione e dell’approfondimento, come nei talk show sull’attualità, si dà voce esclusivamente agli uomini. Economiste, politiche, scienziate, dirigenti d’azienda, docenti universitarie sono invisibili. Per le giornaliste del servizio pubblico, in particolare, è umiliante non poter fornire alle utenti e agli utenti un’informazione che dia dignità alle donne.
Se si fa eccezione per la categoria “cronaca” dove le donne compaiono da vittime o da carnefici, e per il “gossip” le donne trionfano solo in un genere di programmi, quelli di “infotainment”, ovvero di informazione e divertimento. E, naturalmente, si tratta di un solo tipo di donne: giovani, di bella presenza, possibilmente poco vestite e impegnate a discutere di temi leggeri e frivolezze. Modelle, soubrette, donne di spettacolo. Donne che propongono una sola via al successo e all’affermazione personale.
La donna vera con i suoi problemi da affrontare nella cura della famiglia, nel doppio lavoro, nella fatica a fare carriera, che si impegna nel volontariato, che studia e che investe nelle proprie competenze e capacità per emergere e affermarsi, non ha alcuna rappresentazione nella
comunicazione che offre il servizio pubblico. Non esiste.
E questa realtà, da anni così evidente, è un elemento che caratterizza negativamente l’offerta del servizio pubblico, sia dei telegiornali, sia dei radiogiornali. Di più: è un elemento negativo che incide sia nella perpetuazione degli stereotipi sessuali che fortemente penalizzano le donne,
e sia sulla formazione culturale delle giovani generazioni di donne e di uomini cui viene additato un modello di successo femminile a senso unico, e talvolta anche deleterio. Essere belle e disponibili, possibilmente taglia 42, mettere in mostra il corpo. In altre parole: pensarsi come oggetto
sessuale e del desiderio maschile.
Del resto è anche vero che l’universo della comunicazione Rai è del tutto in mano agli uomini come testimonia l’irrisoria presenza delle donne nella dirigenza aziendale: dai Tg, ai Gr ,alle reti, alle posizioni chiave delle risorse umane, delle risorse artistiche….E’ anche conseguenza di ciò, crediamo, che l’immagine della donna che la comunicazione Rai rappresenta sia quella più vicina all’immaginario maschile piuttosto che alla realtà concreta che le donne vivono.
L’atto di indirizzo della Vigilanza del 1997 che chiedeva alla Rai di promuovere a livelli di potere e di responsabilità le risorse femminili dell’azienda è rimasto in questi dieci anni lettera morta.

Proposta: Le ricerche nazionali ed europee, ripetute nel tempo, evidenziano l’assoluta mancanza di progressi e miglioramenti del quadro delineato.
Attendersi un processo di “auto riforma”, dall’interno, del servizio pubblico appare irrealistico. Ecco perché crediamo che il Contratto di Servizio possa rappresentare uno degli strumenti per spingere la Rai a imboccare atteggiamenti “virtuosi”.
Tanto per iniziare chiediamo che nella stesura del nuovo Contratto sia fatta un’operazione di pulizia linguistica che tenga conto che oltre metà della popolazione italiana è costituita da donne. Basterebbe ad esempio scrivere “totalità delle utenti e degli utenti, telespettatori e telespettatrici”
tanto per non relegare l’universo femminile a una categoria minoritaria da preservare.
La rappresentazione corretta e rispettosa del ruolo e della dignità della donna dovrebbe essere tra i “compiti prioritari del servizio pubblico” (articolo 1 comma 3) e andrebbe esplicitato anche tra i punti della “qualità dell’offerta” (articolo 2 comma 1) con l’obbligo da parte della Rai a”promuovere l’affermazione di modelli culturali che aiutino a rimuovere gli stereotipi sessuali e favoriscano il giusto riconoscimento del ruolo delle donne nella famiglia, nella società e nei luoghi di lavoro”

1) Al di là dei principi, pur essenziali da affermare, crediamo che a fronte della gravità del problema sia necessario prevedere l’istituzione di un Osservatorio – affidato a terzi (università, centri di ricerca, Osservatorio di Pavia) – per monitorare quale rappresentazione di genere fornisca la Rai
nell’ambito della sua offerta, e per segnalare le distorsioni al fine di correggerle. Un Osservatorio di genere le cui relazioni siano pubbliche e accessibili. E’ evidente che l’istituzione di un simile Osservatorio comporti dei costi a fronte di un “utile” che è di tipo esclusivamente “sociale” e che pertanto non possa essere a totale carico dell’azienda. Se si conviene sulla gravità del problema e sull’utilità sociale dello strumento sarebbe quindi opportuno mettere in campo quantomeno una
compartecipazione dei costi con una parte congruente a carico dello Stato attraverso i ministeri interessati. Da sottolineare l’irripetibile occasione offerta dai fondi messi a disposizione da Bruxelles nell’ambito del Patto europeo per la parità (“2007 anno delle pari opportunità”) capaci di coprire fino al 50% dei costi complessivi dei progetti presentati per Stato Membro (tramite l’Organismo nazionale di attuazione che ogni Stato dovrà istituire per organizzare la propria partecipazione all’anno europeo).

2) L’impegno dell’azienda ad attribuire ruoli di responsabilità alle donne dovrebbe essere annoverato al comma 4 dell’articolo 1: “promuovere le capacità ideative, creative e dirigenziali delle donne riservando una quota delle nomine interne alle risorse femminili di cui dispone”.

Alessandra Mancuso
Coordinatrice Cpo Usigrai

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