L’apparenza esteriore come “valore” nella femminilità superficiale.
Analisi critica di Chiara Zamboni
Che credito ha la bellezza femminile ai tempi di Berlusconi?
Apparentemente molto alto: sembra si possa scambiare facilmente bellezza con potere, denaro, lavoro e la bellezza femminile é una moneta al rialzo rispetto ad altre monete sui mercati che contano di più. Si é verificato però un ribaltamento misogino che osservo a partire da me e che mi ha impressionato.
Guardando soprapensiero delle ragazze camminare per strada, alcune vestite e truccate stile modelle degli inserti femminili del “Corriere della sera” e di “Repubblica”, accanto ad altre vestite in modo casuale, delle prime ho pensato: dai, come le escort. Identiche. E l’immaginazione é filata via veloce. Poi mi sono bloccata per l’attacco di stupidità che il pensiero fluttuante rivelava. Perché identiche alle escort sì, ma anche identiche a tante mie studentesse all’università e a tante giovani amiche, che amano vestirsi così.
Mi sono detta poi: il pensiero era sì stupido, ma rivelatore di quanto i comportamenti della classe politica amplificati dai media, anche nella forma della critica, trasformino la percezione che abbiamo degli altri. Che lo si voglia o no, il modo di apparire della classe al potere, il suo modo di comportarsi, il linguaggio adoperato – e le donne e gli uomini che gli sono vicini – ha effetti profondi sull’immaginario e sulla percezione della realtà.
Mi sono anche resa conto che quella misoginia serpeggiante nei confronti delle ragazze disinvolte e impeccabilmente alla moda, dopo mesi di notizie sulla querelle Berlusconi, non aveva toccato solo me ma anche altri. Soprattutto uomini.
Mi sono allora domandata quale sia la molla profonda che guida certe studentesse, che incontro ogni giorno all’università, ad essere così sapientemente truccate e vestite. Belle per una pratica sul proprio corpo molto esercitata, pazientemente costruita sui modelli della moda, interpretati in modo non banale. Mi sono detta che rispondere a questa domanda poteva fare luce anche sul particolare tipo di bellezza, che é poi un certo atteggiamento nei confronti del mondo, che certe ragazze esibiscono per avere in cambio denaro e lavoro nello scambio con gli uomini di potere.
La risposta che mi sono data é che sono accomunate da una coazione
all’essere perfette. Un perfezionismo per il quale non c’e’ piu’ la vecchia distinzione ormai antiquata: bella, ma stentata agli esami. Queste ragazze sono perfette sia nel modo di curare il loro corpo sia nel modo di preparare gli esami. Insomma, impeccabili in tutto. La loro linea d’ombra si disegna altrove: tra una solarità mostrata nella visibilità pubblica, che deve risultare perfetta, e una contrazione di sé e del proprio corpo, che in genere chiamiamo depressione, e che le porta ad essere distruttive di sé, degli altri, e delle relazioni, alla prima avvisaglia di cedimento.
Nell’ultimo film di Woody Allen, “Basta che funzioni”, a mio parere irrimediabilmente misogino, il protagonista sessantenne decide di divorziare dalla moglie architetta, bella, intelligente, raffinata. Il matrimonio non va male, ma non ha più una sua storia. Dopo qualche tempo da scapolo, entra nella sua casa e nella sua vita una ragazza giovane, carina, ingenua, che sembra non ragionare con la sua testa, ma con quella degli uomini che ama.
Le giovani donne perfezioniste, che conosco, assomigliano -potenzialmente- alla moglie con lavoro, intelligenza, bellezza molto costruita. E’ questo genere di donna ad entrare in depressione, quando qualcosa crolla. Una delle battute del protagonista sulla moglie é: non avendo super-io ha dovuto costruire il suo io. Battuta significativa sotto molti punti di vista. Dopo anni di neoliberismo che ha invitato a puntare sul proprio io, a farsi manager di se stessi – e le donne sono effettivamente la novità più interessante nell’attuale mercato del lavoro – le donne hanno affinato le tecniche di perfezionamento dell’io in ogni aspetto che le riguardi: capacità a scuola e all’università, modellamento del proprio corpo, dinamicità.
In genere ormai lo so: quando mi trovo di fronte una studentessa vestita e curata alla moda é quasi automaticamente anche molto preparata. Il fatto é che Allen ha ragione, oggi il super-io non é vincolante. Non c’é un simbolico che faccia ordine in modo complesso, e che venga fatto proprio in modo inconscio. Non a caso non circola molto il senso di colpa come riparazione di una qualche trasgressione.
La “fine” del patriarcato come sappiamo ha portato disordine sotto il cielo, oltre che vantaggi notevoli per le donne. Uno degli elementi del disordine – indice comunque di libertà – é che non ci sono più verità date, ma ogni verità va guadagnata ogni volta da capo. Ed un altro é che il simbolico dominante é estremamente povero, semplificato, rozzo.
Così per queste giovani donne la bellezza é una moneta circolante scambiabile con molte cose. In genere vale sul mercato del lavoro, ma anche dell’amore e della sicurezza. Solo alcune vanno ad uno scambio diretto con il potere. Comunque per tutte quelle che hanno fatto della pratica di modellamento del corpo un punto di forza, la bellezza é un elemento tra gli altri di costruzione del proprio io. Di costruzione di un curriculum pubblico. E’ il genere di ragazze – ne conosco alcune – che sono più esposte alla linea d’ombra della depressione, alla contrazione distruttiva di sé e degli altri, quando qualche crepa si presenta irrimediabile nel loro progetto di vita centrato sulla costruzione di un io perfetto.
Di fronte ad un simbolico dominante così povero e rozzo, quello che possiamo fare é invitarle a trovare parole di verità riguardo alla loro esperienza e al loro desiderio. Solo così il simbolico si può arricchire di potenzialità, di modi d’essere, di stili di pensiero che in modo molteplice siano alternativi a quello unidimensionale dato dal potere e dall’industria della moda. Solo quando c’é un riconoscimento di sè nell’immagine che lo specchio ci riflette e nello sguardo degli altri – quando cioé c’é armonia tra il nostro corpo e il suo lato inconscio – allora il rapporto con la moda e i modelli di bellezza risulta un gioco affascinante. Altrimenti é alienazione.
Problema, va da sé, del tutto estraneo alla produzione industriale del settore.
Chiara Zamboni
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