(DIRE) Bologna, 18 dic. – Le donne nelle carceri italiane ed emiliano-romagnole sono molto meno rispetto agli uomini, ma hanno tante difficolta’ e problemi in piu’, soprattutto per quanto riguarda la salute mentale: tra il 74 e l’85% delle detenute in Emilia-Romagna, ad esempio, ha problemi relazionali. Nelle cinque carceri della Regione (Bologna, Modena, Piacenza, Forli’, Reggio Emilia) ci sono (a fine del 2006), 100 donne contro circa 2.850 detenuti maschi. Tuttavia ed e’ lo stesso Nello Cesari, provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria dell’Emilia Romagna, a confermare che “hanno molti piu’ problemi degli uomini”. E’ il volume “Donne e carcere”, curato dalla cooperativa sociale “Verso casa” e presentato oggi alla Facolta’ di Scienze Politiche dell’Universita’ di Bologna a presentare la prima ricerca a livello europeo sulle donne detenute pure se limitato al territorio regionale. I dati riportati nel libro (riferiti al 2004), contano 102 donne nelle case circondariali dell’Emilia-Romagna, la meta’ delle quali straniere, con una cultura medio bassa e con scarse, quando non scarsissime, prospettive di lavoro. L’eta’ media delle detenute e’ di 35 anni, la maggioranza, prima di entrare in carcere aveva un domicilio proprio, il 37% era nubile e conviveva con un partner stabile. Il 70% ha figli, in media due (a Forli’ la percentuale e’ piu’ bassa, il 59% ma i figli sono tre a testa) con una media di 16 anni d’eta’ (a Bologna quasi tutti i figli delle carcerate sono invece maggiorenni). Il numero dei bambini con meno di 10 anni e’ circa del 40% del totale.
Nonostante i figli e il fatto che abbiano avuto dei rapporti sentimentali prima della prigione, le donne, quando entrano in carcere vedono “frammentati, quando non distrutti, i rapporti interpersonali, la rete di conoscenze, i vincoli”, spiega direttrice della casa circondariale della Dozza
di Bologna, Manuela Ceresani. I rapporti con l’esterno, una volta entrate nelle case circondariali, si fanno rari: secondo il rapporto della coop “Verso casa”, il 56% delle donne non ha rapporti con nessuno e non riceve telefonate, chi ha contatti e sfrutta la sala colloqui, ma la giudica un luogo inadatto alle relazioni interpersonali. A Bologna, pero’, il 71% non ha rapporti con nessuno dei familiari; a Modena il 55% (ma qui sono preponderanti le straniere); a Piacenza i rapporti sono assenti nel 38% dei casi, settimanali nel 20%, mensili nel 38%. Va meglio a Forli’, invece, i contatti con i familiari coinvolgono il 55% delle detenute. Inoltre, a livello regionale, solo meta’ delle detenute ha la famiglia che le puo’ sostenere una volta scontata la pena. Senza contare che il tipo di lavoro svolto prima dell’ingresso in carcere era di badante, colf, baby sitter; nella migliore delle
ipotesi invece la carcerata era commessa o addetta alla ristorazione.
E poi arrivano i problemi di salute, che peggiorano proprio in carcere: stare dietro le sbarre “e’ anche causa di patologie- conferma Cesari- perche’ l’essere umano non e’ forte e messo in una condizione di non liberta’ quasi sempre vede acuiti i problemi psichici”. A Bologna, secondo la ricerca, il 74% delle donne ha problemi relazionali e quello prevalente e’ psicologico-emotivo, il 19% dei quali si e’ presentato dopo l’ingresso alla Dozza. Ma altre patologie che si sono aggravate sono quelle cardiovascolari, ginecologiche e respiratorie. E ancora: a Forli’ il 73% delle detenute tende a isolarsi, a Modena l’80% e a Piacenza l’85%. Una particolarita’ di Modena e’ poi il presentarsi di problemi osteomuscolari. Tuttavia, la voglia di riscatto sembra non scemare: il 33% delle donne carcerate in Emilia-Romagna ha la licenza media e il 45% lavora in prigione. A Bologna, Forli’ e Modena la carcerate frequentano corsi scolastici o ricreativi. A Piacenza, almeno nel 2004 la maggioranza non frequentava corsi, ma molto probabilmente, dice il rapporto, perche’ non ce n’erano. I rimedi per migliorare le condizioni anche psicologiche delle carcerate aggiunge Cesari, ci sono: i corsi ricreativi e formativi. Cosi’ come, in molti casi, “basterebbe applicare la legge per permettere a molte donne con figli di stare a casa, magari agli arresti domiciliari, perche’ continuino ad accudire i figli. Non ci sarebbe bisogno di indulto e di amnistie”. L’indulto, peraltro, conclude il provveditore, “ci ha colto di sorpresa. Ma ci siamo mossi subito: da 167 siamo passati a 319 mila euro per arrivare da 57 a 107 borse lavoro della durata di sei mesi, per il reinserimento nel mondo produttivo”.
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