Dal sito rinnovato di Ladynomics alcune osservazioni sul valore aggiunto che le donne potrebbero portare in tutte le economie
Articolo di Giovanna Badalassi
Dai, è passato. Anche quest’anno abbiamo scollinato l’#8marzo, e, dato il periodo, lo abbiamo festeggiato in parecchie un po’ incarognite (chissà come mai..), mangiando mimose in pinzimonio e condividendo articoli come non ci fosse un domani. Giusto per non perdere il passo, ora che siamo lanciate, ripartiamo da un cavallo di battaglia del binomio donne e economia:
l’insuperabile, terribile, mefistofelico, cattivissimo PIL.
E diamo pure la buona notizia: montagne di studi hanno dimostrato in ogni modo come il PIL aumenterebbe di un bel po’ (tanto) se si raggiungesse la parità tra donne e uomini. Il matrimonio tra donne e economia è infatti una situazione win-win: ci guadagnano tutti!
A livello mondiale l’ultimo richiamo è di Christine Lagarde, Direttrice Generale del Fondo Monetario Internazionale la quale in una recente intervista ha detto che alcuni paesi potrebbero aumentare il proprio PIL addirittura del 35%, se arrivassero alla parità di genere. Certo, occorrerebbe rimuovere gli ostacoli di natura culturale e anche legale: l’88% dei paesi al mondo ha ancora oggi delle restrizioni al lavoro femminile nella costituzione o nelle proprie leggi, in 59 paesi manca ancora la legge contro le molestie sul posto di lavoro, e in 18 paesi è legalmente consentito impedire alle donne di lavorare.
L’aumento del PIL grazie al lavoro delle donne è infatti dovuto non solo al loro stipendio, tasse e contributi, ma, in una visione più generale, ad una crescita complessiva del sistema: gli studi del FMI hanno rilevato ad esempio come persino il sistema bancario sarebbe più stabile con un numero più elevato di donne nei CdA.
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