In Cina sono in una società su due

Non bastano le cifre a raccontare un Paese o i cambiamenti di un Paese. Però sono utilissime a farsi domande, meglio ancora se si ha a che fare con la Cina. Ecco allora che un rapporto del Credit Suisse sulle donne nelle aziende mostra la loro avanzata – e la flessibilità, la creatività, l’efficienza che portano – rivelando elementi dello sviluppo cinese che altrimenti forse sfuggirebbero.
Se nel 2005 soltanto il 6,5% delle aziende cinesi aveva almeno una donna nel consiglio d’amministrazione, oggi siamo a una società su due. Il 50%. Vale a dire un incremento del 3,5%.
Il campione non è enorme, 58 gruppi, cionondimeno il dato colpisce. La Cina è inserita tra i Paesi dell’Asia ancora in via di sviluppo, ma anche nel suo fronte avanzato capitalista, cioè a Hong Kong (che appartiene sì alla Repubblica Popolare ma ha una sua autonomia, una sua moneta, sue istituzioni finanziarie), s’è registrato un incremento: più 22,9%, e oggi oltre la metà delle aziende hanno almeno una donna nel board. A Singapore, prospera città-Stato a maggioranza cinese ed eticamente confuciana ma che cerca di attrarre manager anche da fuori, ecco un più 23,4%. Tra i Paesi assimilati alla Cina tengono quasi il suo passo la Malaysia, dove un quarto della popolazione è cinese mentre metà è malese di religione musulmana, con un più 38,5% e donne quasi nel 43% dei consigli d’amministrazione; e la Thailandia, dove ben 4 società su 5 hanno una donna nel board (più 35,6%).
I Paesi più maschilisti sono Giappone e Corea del Sud: entrambi avanzati, entrambi confuciani. Nell’arcipelago il campione è ampio, 312 aziende, e solo l’11,2% può contare su una presenza femminile nel suo management. Peggio ancora la Corea del Sud: su 105 aziende monitorate, nessuna sette anni fa aveva una donna nel board, oggi solo il 3,8%.
E la Cina? Il primo istinto è quello di compiacersi di un ruolo femminile riconosciuto e in espansione. Ma occorre avere qualche cautela, nel valutare. Nelle aziende di Stato le leve decisionali non spettano al management propriamente detto: donne o non donne, vanno ricondotte alla politica, e la politica è ancora maschile. Al punto che c’è una certa eccitazione sottotraccia mentre matura l’ipotesi che nel prossimo comitato permanente del politburo (i nove che davvero comandano) possa entrare una donna, con ogni probabilità Liu Yandong . Eppure, il dato statistico segnalato dallo studio del Credit Suisse resta tutto intero, e lo si può interpretare, al netto dello scetticismo che alcuni esprimono circa la reale valorizzazione delle donne in Cina.
Lo legge per noi il demografo Zheng Zizhen, dell’Accademia delle Scienze sociali di Canton. Per lui uno dei fattori dietro l’avanzata delle donne nelle aziende “è l’educazione: da quando fu fondata la Repubblica Popolare, nel 1949, gli uomini e le donne hanno avuto un’equa opportunità di educazione. Magari all’interno delle famiglie, soprattutto quelle più povere, si dava ancora precedenza ai figli maschi – mi ha spiegato Zheng – ma dal punto di vista dell’educazione pubblica i maschi e le femmine sono uguali in tutti i sensi. E nelle scuole molto spesso sono le donne a rivelarsi, più forti grazie ai loro talenti innati: sono più attente e si concentrano più facilmente. Così sul lavoro: sono attente, disciplinate e al contempo intraprendenti. Spesso si vedono coppie in cui le donne sono più autorevoli, guadagnano di più e pagano il conto per gli uomini. Potrebbero contare altri fattori, come il guanxi, ovvero la rete di relazioni personali, ma alla fine nella società cinese è l’educazione che conta”.
E l’impennata degli ultimi sette anni segnalata dallo studio “è effetto del ricambio generazionale che comincia a farsi sentire. Le madri colte poi educano meglio le figlie. Sono bastate due generazioni per far sì che le cinesi diventassero sempre più capaci”.
E’ vero che la Cina esprime spesso fenomeni, tendenze e modalità non esattamente replicabili altrove.
Ma questa lettura dell’avanzata delle donne può valere anche per l’Italia, dove la presenza femminile nei consigli d’amministrazione delle aziende è passata – nel campione di 28 aziende del Credit Suisse – dal 10,7% del 2005 al 57,1 di adesso (più 46,4%)?(9.08.12, Marco Del Corona)

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