Le vittime di abusi non rischieranno più di incrociare i loro ex
L’esterno del Tribunale di Milano
Una stanza dell’ “accoglienza” per la vittima che deve testimoniare. Uno spazio tranquillo, in attesa dell’ingresso in aula, per chi ha subìto violenza e si presenta a Palazzo di giustizia davanti ai giudici. Una camera dove attendere il proprio turno con la certezza di non dover incrociare lo sguardo con l’ex partner accusato di abusi o con i suoi parenti. Una stanza del genere a Milano ancora non c’è, ma il presidente del tribunale Roberto Bichi s’è impegnato pubblicamente ad allestirla. Lo ha promesso ieri intervenendo al convegno organizzato dal Tribunale e dall’Ordine degli avvocati (con la consigliera Silvia Belloni) sul tema della violenza contro le donne e il confronto tra i modelli di intervento tra Messico e Italia. E ha fornito, Bichi, alcuni dati interessanti sulla durata dei processi. «Un dibattimento per maltrattamenti in famiglia o per stalking – ha ricordato – in primo grado si conclude in media nel giro di dieci mesi. Per un processo di violenza sessuale ne servono anche di meno, appena sei». Il problema, semmai, è che i giudici della corte d’appello hanno tuttora oltre un migliaio di processi pendenti sul tema.
Ieri intanto, dopo i saluti dei vertici giudiziari e di quelli forensi, il confronto sui temi della violenza tra immigrati, in particolare sudamericani, è stato trattato con gli interventi di numerosi consoli di stanza in città, naturalmente da quello del Messico Marisela Morales (già procuratore generale di quel Paese), a quello dell’Ecuador, da quello della Colombia a quelli di Repubblica Dominicana, Bolivia, Argentina e Perù. È proprio ai consolati, del resto, che in molti casi si rivolgono le immigrate che subiscono violenza o maltrattamenti da mariti o compagni, evitando in prima battuta la denuncia alla polizia per il timore di conseguenze quando non sono in regola con il permesso di soggiorno. «Molte di loro non sanno – ha ricordato il giudice Fabio Roia – che in realtà la legge prevede proprio la possibilità della concessione del permesso di soggiorno alla vittima di violenza».
E la Lombardia, ha ricordato l’assessore regionale Giulio Gallera, «è stata la prima regione a dotarsi di un piano di contrasto alla violenza che sviluppa e consolida un modello di procedure e la definizione di un percorso personalizzato di uscita dalle situazioni di rischio». Una “rete” nella quale potranno convergere anche i rappresentanti dei diversi consolati.
(Milano, 5 dicembre 2015, MARIO CONSANI, mario.consani@ilgiorno.net).
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