di Elio Camilleri

Buscetta diceva che la donna era lo “stampo” dell’uomo, cioè aveva la forma che il maschio che le stava accanto aveva voluto per lei: ubbidiente, sottomessa, silenziosa, rispettosa dell’autorità del capo famiglia. Dentro la Sicilia era così ed anche in tante periferie agresti del nostro Paese, ma dentro Cosa nostra la cosa era sicuramente più “sentita”, perché dentro Cosa nostra la prima regola è il silenzio e, quindi, l’omertà che pure comprende, oltre al “non parlo” anche il “non sento” e il “non vedo”.
La donna siciliana ha, così, sofferto un condizionamento in più ed è stata costretta a rimuovere un ostacolo in più per liberarsi dalla soggezione e dalla sottomissione.
Ed è stata la violenza mafiosa che ha letteralmente smosso quella naturale disposizione al rifiuto della violenza da parte della donna: la risposta alla violenza ha preso l’iniziale forma del tentativo della vendetta come nella vicenda di Serafina Battaglia che, poi, già dal 1962, intraprese una lunga ed infruttuosa iniziativa giudiziaria contro gli assassini del marito. Erano tempi ancora molto lontani e non ancora pronti ad accogliere le sacrosante richieste di giustizia e vale la pena ricordare che il giornalista Mario Francese ed il giudice Cesare Terranova che vollero aiutarla perirono anch’essi sotto il piombo mafioso.
Una battaglia contro la mafia combattuta per tutta la vita e terminata con una sconfitta che ha aperto, però, la strada ad altre battaglie, che ha visto altre donne colpite negli affetti più cari a denunciare i colpevoli, subendo nuove e terribili altre minacce.
La storia di Lia è il segno, il marchio della violenza mafiosa nella sua espressione assoluta e non ci sono altre cose da dire se non proporla alla conoscenza ed alla memoria.
Le storie di Pietra Lo Verso, di Giacoma Filippello, di M. C. di Michela Buscemi sono state storie di infinito dolore, storie di laceranti sconfitte, ma anche di grande coraggio che sono state di esempio e di sprone per continuare a lottare.
Felicia Bartolotta ha lottato e almeno lei ha visto condannare l’assassino di Peppino, Tano Badalamenti.
E così dalle “schegge” riportate in questo contesto si vede che la ribellione come risposta alla violenza mafiosa non sempre ha portato ad esiti vittoriosi per quelle che sono state le vittime, ma ha diffuso il seme della conoscenza della violenza mafiosa, della memoria della lotta combattuta dalle vittime e, passo dopo passo, alla presa di coscienza della necessità di un intervento più adeguato ed efficace da parte dello Stato e delle sue istituzioni.
Di storie come queste non ne capitano più: Cosa nostra è cambiata e adesso si occupa di ben altro, ma queste storie sono la nostra storia e quella che viviamo con i nuovi contesti e con i nuovi problemi e con i nuovi interessi della mafia che ha la straordinaria capacità di cambiare pelle, ma che continua a vomitare morte e violenza.

Elio Camilleri

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