di Gabriella Quattrini
commento di Claudio Angelini Jero
La vita, ogni vita individuale, è parte d’un illimitato, affascinante mistero che tende a coincidere con l’universo stesso, se non fosse che, a detta di molti, anche l’universo non ha in sé la ragione e il fine del suo esistere, essendo somma, e non causa, di tutti i possibili modi di vita. Non addentriamoci in questioni astruse, per carità; la premessa ci serve solo per affermare, a proposito del volumetto “e l’alba parlò” di Gabriella Quattrini (Terre Sommerse editore, pagg. 20, € 5), che con esso l’autrice probabilmente tocca l’apice della sua parabola creativa con una felice sintesi di contenuti, ovverosia visione della realtà, e padronanza di stile. Temperamento forte nel suo romanticismo fatto di sentimenti profondi, e nello stesso tempo dolce quanto basti a non tradire la sua natura squisitamente femminile, Gabriella mostra, nei vari brani in prosa e in verso di cui si compone l’opuscolo, una personalità ricca d’esperienza, che si tramuta in determinate, salde convinzioni. Ella sa, ad esempio, che la ragione è molto importante, nella vita di ciascuno di noi, perché serve a stabilire confini e dare fondamenta alla nostra volontà, senza dei quali non potremmo neanche configurarci come individui. Con l’aiuto reciproco derivante dal vivere in società gli esseri umani soddisfano alle loro esigenze materiali (alimentazione, salute) e morali (libertà, conoscenza). Ecco; la ragione, sotto forma di scienza, medicina, legge, serve a mantenere strutture e infrastrutture dell’esistenza associata; diciamo in senso lato che serve a mantenere la vita, ma… Guardata da tal visuale la vita può dar l’impressione d’un contenitore, d’un alloggio, d’un apparato puramente esteriore che ci consente d’agire, di muoverci, di sopravvivere, ma che dobbiamo riempire. Di che, di arredi? Non basta; dobbiamo riempirlo con la bellezza, o importanza, di ciò che facciamo; solo così, esso avrà un significato, per noi, e verrà a far parte di noi. Gabriella Quattrini non ha dubbi, poi, su quale sia la sostanza, la parte essenziale d’ogni esperienza vissuta: essa è l’amore. Guai, pur nella semplice vita d’ogni giorno, farsi trascinare dall’abitudine e perdere l’occasione d’amare, che pure, in tante forme e modi, non mancherà di presentarsi; l’occasione capiterà ancora, certo, ma saranno la nostra mente e il nostro cuore, ormai offuscati e resi ottusi dal conformismo, a non saperla più distinguere. La nostra cara Gabriella, nel pensiero finale del suo libriccino, che rivolge con devoto affetto al poeta Giorgio Carpaneto, uno dei suoi maestri, dice d’invidiargli la fede, dal momento che lei si definisce “tendenzialmente agnostica”. Ma, aggiungiamo noi dal nostro punto d’osservazione, anche molto nostalgica di credere che al fondo di tutto il bene che ella non solo immagina, ma fa, ci sia un’esigenza, un piano universale (il concetto da cui abbiamo preso le mosse) d’amore e di ordine di cui l’uomo non è che piccola rappresentazione, o se si preferisce, microcosmo, ma a cui può dare il proprio modesto, e pur prezioso, contributo. E’ una sorta d’impegno che si contrae sin dalla nascita. Se non vogliamo che la nostra vita fugga via senza lasciar traccia, né a noi come appagamento per qualche dovere compiuto, né agli altri come ricordo di qualche bene ricevuto, dobbiamo essere forti, accettare, come dice Gabriella, ogni “anomalia” che magari era lì ad aspettarci che venissimo al mondo, come è successo a lei. Del resto, vivere una “vita giusta”, nel senso che comunemente si dà all’espressione, cioè facile, convenzionale, compromissoria, è cosa di cui è capace ogni più scialbo individuo. Una persona che valga qualcosa è attratta proprio dalle difficoltà che la condizione umana riserva, e in esse, come pure nelle cose apparentemente più comuni, è capace d’intuire, di scorgere, dei valori latenti. Come quando, all’alba, Gabriella, da piccola, aprendo una finestra, si sentiva pervasa da un inebriante odore di gelsomino, che non avrebbe più ritrovato tanto intenso nella sua vita. Gli anni si sono rincorsi, ella è divenuta mamma, suo figlio è un importante musicista. In che misura, lei ha contribuito al suo successo? O, non avrebbe per caso desiderato di tenerlo ancora per sé? E’ un rischio che si corre, nel rapporto madre-figlio. La madre sente di potergli dare tutto finché egli è nel suo grembo; ma poi, lui diventa altra persona; sarebbe innaturale lasciargli un sia pure vago rimpianto della vita prenatale. Come si vede, Gabriella Quattrini evoca in questo piccolo grande memoriale parecchie delle situazioni difficili cui è esposta una donna che al giorno d’oggi non intenda per nulla al mondo rinunciare a costruire una propria vita affettiva e nello stesso tempo non sia disposta a sacrificare i propri naturali talenti, o in campo artistico o in qualsiasi altro. Ha forse avuto, Gabriella, un rapporto non sempre facile con sua sorella, l’attrice Paola, cui peraltro è legata da grande affetto? Curiosa, l’operazione di “transfert” cui Gabriella accenna in un altro dei brani in prosa del suo libro, in cui ci svela il suo cuore; quanto le è sempre piaciuto il personaggio di Blanche, tratto da “Un tram che si chiama desiderio”, interpretato dalla sorella Paola! Ogni volta che lo ha visto a teatro, ha sentito forte il bisogno di andare ad abbracciare Paola a fine spettacolo. Ma era Paola, che voleva abbracciare, o Blanche? Si tratta, chissà, di nostalgia di sogni adolescenziali, che la nostra amica, scrittrice e poetessa, e attrice non meno brava anche lei, sente incarnati particolarmente in quel personaggio? Pervicaci, comunque, questi sogni, perché Gabriella è donna che al sogno non rinuncerebbe mai, potete starne certi. Ne volete solo una piccola prova? Eccola, presa da un componimento in versi: “All’ombra della tua visiera” (lettera al primo Amore, mai spedita): “ Nello smeraldo mare, senza fondo, / … lo sguardo all’ombra della tua visiera / … “annodata” a un cielo ancora bianco / verrò da te, leggera come vela.” Ma per caso questa capacità, quella di affrontare situazioni diverse e complesse, ricorrendo solo alla continua carica vitale che sa dispensare il sogno, non sarà anch’essa sogno, illusione? E’ un interrogativo che resta, che la ragione non sa dissipare; ma, dicevamo sopra, la ragione è l’involucro della vita, non ne è la virtù, la sostanza trainante e segreta…Ne abbiamo conferma nel brano che l’autrice intitola: “Al barbaro negriero”, in cui accenna a un nemico insidioso e tremendo: la depressione. Quanta fatica, tenerla a bada giorno per giorno! E’ come pagare un tributo vitalizio, per usufruire d’un bene, la vita, che così sembra come preso in prestito da qualche usuraio; ma non importa, bisogna proseguire, convinti di questo fatto straordinario: vivere può riservare delle emozioni, delle gioie stupende e inenarrabili, ma esse hanno un costo, e sono tutti gli altri momenti che mettono a dura prova la nostra sopportazione. Proseguire, dunque, finché…una bella donna, con labbra sensuali, voce suadente e incedere regale ci convinca a seguirla, magari mentre stiamo rincorrendo l’ennesimo sogno. E, come dice Gabriella con stupenda immagine, accolga il nostro invito a toglierci dal cuore l’amore residuo, a riporlo con le sue bianche mani nel cuore d’un bimbo che ne abbia bisogno, perché di esso possa vivere ancora… Per la nostra scrittrice ed artista la vigilia dei nostri sensi, per dirla con Dante, non s’interrompe mai. Il suo libro di emozioni trasfigurate, e rassicuranti, per quanto sofferte, riflessioni, poco prima di concludersi, registra questa invocazione: “Ma nel momento in cui ti maledico, per timore ch’io possa, in qualche modo, spezzare il filo, mi mostri l’altra faccia… di filosofa, scienziata, artista… E io torno ad amarti più di prima. “Titolo del brano: “Lettera alla vita”.
Claudio Angelini Jero
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