Le ragioni perché il premio venga assegnato alla scrittrice (?) che ha scelto l’anonimato (e ha tenuto fede a questa sua decisione) sono moltissime.
Eccone alcune
di Pierluigi Battista
Ci sono molte buone ragioni perché il Premio Strega di quest’anno venga assegnato a Elena Ferrante. Roberto Saviano su Repubblica ha scelto questa: che finalmente, attraverso il riconoscimento della forza narrativa di una scrittrice (?) che non ha mai tradito una casa editrice piccola ma battagliera come e/o, si possono sciogliere i blocchi editoriali oramai cristallizzati, spalancare i cancelli delle scuderie. Altri diranno della qualità della scrittura della Ferrante, della sua meravigliosa capacità di raccontare storie intense e avvincenti. A me invece piace molto sottolineare, come semplice Amico della Domenica che spera sinceramente in un premio speciale, il valore del suo anonimato durato decenni. Non una trovata effimera. Ma una lunga sequenza di libri di qualità che non hanno mai deluso le aspettative delle lettrici e dei lettori, mai smorzato lo stupore e il piacere di chi li ha divorati nel corso degli anni.
So di lettori e di lettrici disperati perché con l’ultimo Storia della bambina perduta si è conclusa la tetralogia iniziata nel 2011 con L’amica geniale. E si ricorda ancora un film bellissimo ‘95, L’amore molesto di Mario Martone, tratto da un suo romanzo. Tenere così alta la tensione per tanto tempo, con tanti romanzi e tante storie, conservando l’ombra misteriosa dell’anonimato (poi, certo, tutti dicono di sapere chi è), ha qualcosa di speciale. Che merita un trattamento speciale, scavalcando burocrazie e regolamenti.
Doris Lessing, già all’apice della fama, decise di spedire all’editore un libro firmato con lo pseudonimo di Jane Somers perché voleva che i suoi libri fossero apprezzati non per il nome riverito dell’autrice ma per la bellezza del romanzo in sé. Fu scoperta, ma quel manoscritto è diventato un libro, oggi venerato, conosciuto come è Il diario di Jane Somers. Provate a immaginare che Doris Lessing non fosse stata scoperta e che Jane Somers avesse poi scritto tanti libri in sequenza unanimemente apprezzati come libri di Jane Somers. Potrebbe un codicillo regolamentare impedire che Jane Somers, senza rivelarsi, sia premiata in una competizione nata per riconoscere il valore della buona letteratura? Romanzi che si sono imposti per la forza della loro scrittura e non per la fama dell’autrice che chissà quante pressioni avrebbe potuto esercitare per lanciare i suoi libri: un successo tutto da ascrivere al merito e non ai riflessi del potere. Non merita un premio?
Il romanzo comincia seguendo le due protagoniste bambine, e poi adolescenti, tra le quinte di un rione miserabile della periferia napoletana, tra una folla di personaggi minori accompagnati lungo il loro percorso con attenta assiduità. L’autrice scava nella natura complessa dell’amicizia tra due bambine, tra due ragazzine, tra due donne, seguendo la loro crescita individuale, il modo di influenzarsi reciprocamente, i buoni e i cattivi sentimenti che nutrono nei decenni un rapporto vero, robusto. Narra poi gli effetti dei cambiamenti che investono il rione, Napoli, l’Italia, in più di un cinquantennio, trasformando le amiche e il loro legame. E tutto ciò precipita nella pagina con l’andamento delle grandi narrazioni popolari, dense e insieme veloci, profonde e lievi, rovesciando di continuo situazioni, svelando fondi segreti dei personaggi, sommando evento a evento senza tregua, ma con la profondità e la potenza di voce a cui l’autrice ci ha abituati. Si tratta di quel genere di libro che non finisce. O, per dire meglio, l’autrice porta compiutamente a termine in questo primo romanzo la narrazione dell’infanzia e dell’adolescenza di Lila e di Elena, ma ci lascia sulla soglia di nuovi grandi mutamenti che stanno per sconvolgere le loro vite e il loro intensissimo rapporto.
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