riflessioni di Claudio Angelini

Conservavamo, fra le tante nostre carte, un articolo comparso sul Corriere della Sera del 30-7-02, non certo recente, quindi, a firma di Emanuele Severino, che avevamo ritagliato, letto con interesse, e abbondantemente chiosato, ripromettendoci di scrivere intorno ai suoi contenuti delle nostre riflessioni. Fummo poi presi da altre cose, e il pezzo giacque obliato in qualche anfratto cartaceo, fino a quando qualche fortuito movimento lo ha giorni fa riportato sotto i nostri occhi. Il suo titolo, che suona come una sfida a sensi cristiani, è: “La risurrezione non è la prova di Dio”. Lo abbiamo riletto, e poiché il tempo liturgico (scriviamo queste righe a inizio di novembre) cade opportuno al credente per tornare a meditare sui propri destini ultimi ed (eventualmente) rinnovare la propria fede e speranza nell’immortalità e nella resurrezione, abbiamo da esso colto l’occasione e tratto lo spunto per farlo. Dice dunque Emanuele Severino che la risurrezione di Cristo non è prova della sua divinità, perché la risurrezione appartiene (si noti l’uso del presente indicativo, non del condizionale) all’essenza d’ogni cosa. E che prova ne ha, Severino? In religioni precristiane, egli ci informa, il dio muore e resuscita (Osride, Dioniso, Tammuz, Baal); inoltre, ricorda Severino, secondo Eraclito tutti i viventi si tramutano in morti, e i morti a loro volta si tramutano in viventi. Non sono dunque prove inoppugnabili? Non ce n’è abbastanza per dire che la resurrezione è nell’essenza, nella natura delle cose? Il cristianesimo perciò, sottintende Severino, non s’è inventato niente; gli antichi già sapevano tutto. Avevano già capito, come dirà la scienza molto più tardi, che nulla si crea e nulla si distrugge, e che la materia non s’annulla, ma si trasforma. E quindi, anche quella che compone un essere vivente, un essere umano, “con veci eterne” è destinata ad “altri sensi”. Questo è infatti uno dei cardini della filosofia materialista, o immanentista. La materia si dissocia nei suoi elementi componenti, e si ricicla in altre forme di vita. Intesa in questo modo, la vita sulla terra è infinita; tutto muore in quanto si “dissocia”, ma poi “risorge” in altre forme. E’ vero, dunque; la resurrezione fa parte dell’essenza delle cose, tutto è in tutto. Bella consolazione, per l’individuo! Ma Cristo è venuto a rassicurarci proprio di questo, che ognuno di noi è sostanza unica e irripetibile, è individuo, formato d’anima e corpo; e se il corpo si dissolve, risorgerà però ricomposto con gli elementi medesimi che lo costituivano. Risorgerà, ma quando sarà compiuto il tempo assegnato al mondo, per rivivere in uno “spazio” che non è più il mondo. Stando a Severino, invece (e si può desumere solo dall’insieme del discorso, che nei particolari non è affatto chiaro), l’ipotetica risurrezione dei corpi in questo mondo sarebbe solo l’inizio d’una nuova storia, di una nuova era dell’umanità, in cui l’uomo è ormai divenuto immortale e destinato a rimanere nel tempo e nello spazio. Se la scienza che va incontro alle necessità del corpo, dice Severino, è l’economia, ebbene ciò di cui il corpo ha supremamente bisogno è liberarsi della propria corruttibilità e, vincendo la morte, vivere in eterno. È la fede comune, egli aggiunge, alle tre religioni monoteiste, cristianesimo, ebraismo, islamismo. Ma ognuna di esse, vogliamo osservare, parla della resurrezione come d’un evento che darà inizio a una nuova vita fatta solo di spirito, oltre la dimensione della materia Dopo tutto, dice Severino, il fatto che Cristo sia risorto non dimostra che egli sia Dio; potrebbe aver solo anticipato una legge di natura ancora sconosciuta ma destinata a divenire universale, spiegabile scientificamente. Insomma, ci sembra che Severino voglia sostituire, novello positivista, a una fede trascendente una “fede” immanente, fondata sulla scienza. Ma quanti ci hanno già provato, prima di lui! Non ha davvero il pregio dell’originalità, tale sua proposta, o modo di pensare. Anzi, diciamo che le considerazioni concentrate nella tesi di Severino sono di quelle che solitamente non lasciano traccia, in campo speculativo, anche se sempre forte è la tentazione, in ogni “secol superbo e sciocco” come il nostro, di spiegare tutto con la scienza, dalle cose visibili alle invisibili. Se la cultura laica, incalza Severino, ha avversato la risurrezione di Cristo come segno, prova, della sua divinità, è perché anch’essa, sostiene il Nostro, ha sopravvalutato l’avvenimento. Perché deve coincidere con Dio, sembra egli domandarsi, ciò che la conoscenza ancora non riesce a spiegare? La resurrezione di Cristo è per il credente una “verità storica”, e quindi incentivo a credere nella divinità di Cristo. Ma una verità storica, ragiona Severino, non può essere anche una verità innegabile, o assoluta. Questo è esattamente il discrimine, secondo noi, che denuncia la fragilità del pensiero severiniano, che da qui in poi dà più vistosi segni di sbandamento. Infatti, tutto ciò a noi pare assurdo; una verità storica è tale proprio perché è innegabile, ma la resurrezione di Cristo non è solo una verità storica. La storia è tutto un tessuto, una serie di verità parziali, nessuna delle quali, quindi, assoluta. L’assoluto è qualcosa al di fuori della storia, che trascende la storia, pur comprendendola tutta. Che cosa autorizza a pensare che la storia fra mille, duemila anni, ammesso che non si fermi prima, estenda in modo talmente vasto e inconcepibile il proprio “tessuto fattuale” da non proceder più per serie di verità parziali? Questo significherebbe ammettere un mutamento, uno stravolgimento totale della realtà fisica che invece, da milioni di anni, procede sempre secondo le medesime leggi, pur con eventi diversi di epoca in epoca. Se non si ammette questa “Verità” che trascende quella fisica, non è dato trovare un legame che regga e giustifichi tutte le verità relative di cui è fatta la storia. Forse Severino non se ne rende conto, ma in ciò che dice lascia trapelare l’esigenza d’una Verità assoluta che, si voglia o no, s’identifica con Dio. La resurrezione di Cristo dunque è una verità storica, ma poiché trascende, o anticipa, o annulla, ogni conoscenza fisica e umana, va oltre la verità storica. Cristo dice che anche tutti gli uomini risorgeranno. E gli ultimi eventi non saranno in contrasto con le leggi fisiche create da Dio, ma le porteranno a perfezione. Nondimeno, anche in altre religioni, o credenze pagane, aveva detto Severino, il dio muore e resuscita. E qualcuno ha mai documentato la risurrezione di questo dio? La fantasia umana può inventarsi ciò che vuole, anche in ambito religioso, ma non può davvero con altrettanta facilità escogitare leggi e norme religiose di valore universale, che superino lo spazio e il tempo. In altre parole, non può sostituirsi a una religione rivelata. La resurrezione di Cristo è testimoniata, come accadimento storico, da documenti inconfutabili su un piano testuale e oggettivo quali sono i Vangeli, i quali tuttavia non obbligano nessuno a interpretare l’evento, di per sé straordinario, come verità di fede. Tale interpretazione dev’essere una libera scelta di chi legge, e riflette serenamente sui fatti in essi riportati. Sorprende semmai che proprio Severino, il positivista, attribuisca valore quasi scientifico ad antiche testimonianze scritte che, pur manifestando esigenze primordiali dell’animo umano, non possono definirsi in altro modo che fantasie miste a speranze ambiziose, quando non artificiose cosmogonie elaborate da classi sociali, o caste (come quella sacerdotale) mosse da avidità di potere. Se così non fosse dovremmo in maniera analoga credere, che so, che bisogna traghettare il Nilo per giungere nell’aldilà, o che occorre comprarsi il “Libro dei morti” prima d’essere giudicati da Osiride? La realtà è invece che il cristianesimo, come religione e quindi visione dell’aldilà, non è affatto incompatibile con la scienza. Qual è allora il costrutto di certe affermazioni di Severino, quando ad esempio dice che l’uomo è infinitamente al di sopra del senso d’una vita solo terrena (quindi materialista), perché è riduttivo credere nella risurrezione della carne? In che modo è al di sopra? Al riguardo, Severino tace. Forse perché nel silenzio, e nel raccoglimento, l’animo umano si nobilita. Chi ammette la verità storica della risurrezione di Cristo, conclude Severino, non poggia sulla roccia dell’indiscutibile, ma rimane nella fede, e nell’incertezza, a suo dire, che accompagna ogni fede. E’ vero, è difficile che una fede arrivi a essere salda come una roccia, ma se è fede, sarà pur sempre fede, non incertezza. Il dubbio, che è cosa diversa dall’incertezza, potrà sfiorare la fede, metterla alla prova, ma col risultato di rinforzarla, se essa già esiste. Quali sono invece le certezze “rocciose” su cui poggia Severino, quelle secondo cui Osiride, o Dioniso, o Baal, sono risorti? Preferiamo credere che un giorno noi, e i nostri morti, risorgeremo in Cristo.

Claudio Angelini
http://www.claudioangelini.it

Categorizzato in: