Stella: «Con il loro arrivo gli italiani hanno regalato una straordinaria ricchezza»
Simona Giacobbi
simona.giacobbi@hotmail.it
TORONTO – Emigrazione. La fuga dalla povertà, i ricordi di uomini e donne che hanno lasciato l’Italia ormai più di quarant’anni fa e i problemi politici che gravano sul Paese. L’Italia di allora e quella di oggi. Due Italie che sembrano così lontane, ma solo in termini di tempo. Perché a riunirle ci pensa Gian Antonio Stella, una delle firme più illustri del giornalismo italiano, editorialista, inviato di politica, economia e costume per Il Corriere della Sera e vincitore di prestigiosi premi giornalistici. Sarà a Toronto domani [20-10-07, n.d.r.] in occasione del 50esimo anniversario delle Acli canadesi e della Settimana della Lingua Italiana nel mondo, per far conoscere quell’Italia povera, quella miseria dalla quale molti fuggirono tanti anni fa, e come da allora l’emigrazione sia cambiata.
GIACOBBI – Partiamo dalla tua visita a Toronto. Presenterai il tuo nuovo libro, che ha riscosso un successo enorme, “La casta”, scritto con Sergio Rizzo.
STELLA – «Sì, è un libro che ha avuto un successo incredibile e che ha suscitato l’interesse di molti giornalisti, anche stranieri. Ed ha avuto un certo impatto sulla società italiana. Non so se i nostri politici diventeranno più virtuosi. Non sono molto ottimista. Ma credo che qualcosa cambierà. Di certo è un libro che ha segnato un punto di non ritorno. C’è un prima e un dopo. Io e Sergio Rizzo crediamo di aver fatto un buon lavoro. Inoltre, presenteremo, a Toronto, uno spettacolo che mi sta molto a cuore sull’emigrazione italiana. In Italia abbiamo fatto oltre 350 serate. Siamo stati anche a Berlino, Parigi e in Venezuela. Sarà accompagnato da una raccolta iconografica straordinaria che ha dato vita anche a un museo, l’unico nazionale italiano, che ho fondato con la Fondazione Napoli Novantanove a Camigliatello, in Calabria, e una raccolta di canzoni straordinarie dell’emigrazione. La grande colonna sonora è eseguita da Gualtiero Bertelli e dalla Compagnia delle Acque che nella musica popolare italiana non ha rivali».
Con “La casta” ritorni al giornalismo d’inchiesta. È un dossier dal quale non traspare un’immagine molto positiva dell’Italia, a partire dalla sanità privata ai privilegi delle istituzioni parlamentari. Puoi fare qualche esempio concreto?
«Ci sono alcune cose che un cittadino canadese, statunitense, o francese, insomma di Paesi seri, non accetterebbe mai. È inaccettabile che regalare soldi a un partito politico oggi in Italia venga tassato 51 volte di meno che regalare soldi alla ricerca sulla leucemia infantile. È inaccettabile che il nostro Quirinale costi quattro volte più di Buckingham Palace, otto volte di più della presidenza della Repubblica tedesca, 27 volte di più di quella finlandese. È inaccettabile che fosse stato deciso di abolire le province ma che, invece, ne nascano sempre di nuove e servano per distribuire poltrone. E inaccettabile che per distribuire poltrone ci siano comunità montane a livello del mare, come quella di Palagiano il cui comune è a 39 metri sul mare e la montagna più alta è di 86 metri, 12 in meno del campanile di San Marco a Venezia. Ecco, tutto questo scredita la politica italiana e rende difficile governare».
Un giornalista non rivela mai le sue fonti. Ma come ti sei mosso? E quale periodo analizzi?
«Dal dopoguerra in poi. È un degrado vistoso, quello della politica italiana. Io e Sergio ci occupiamo di questi temi da trent’anni. L’ultima operazione di setaccio è durata qualche mese, ma c’è dietro un bagaglio di anni di lavoro».
Che cosa si può fare per porre fine al fenomeno casta?
«Temo che l’Italia dovrà prendere uno spaventone. Dovrebbe succedere qualcosa, l’esclusione da alcuni processi europei, il fallimento dell’Alitalia, l’irruzione massiccia di un gruppo straniero per l’acquisto della Fiat o della Ferrari… Purtroppo il mondo politico, oggi, non ha la forza di autoriformarsi. Non ce l’ha a destra, e neanche a sinistra».
L’Italia, infatti, sta soffrendo. È colpa delle caste?
«Non c’è dubbio. L’Italia è un Paese bloccato. Dove chi ha la licenza di taxi o quella commerciale tiene bloccato tutto. Non vorrei che parlare di tante caste, togliesse i riflettori da dove stanno, cioè dalla casta della politica che non è in grado di governare il Paese. Questo è il nostro problema più grande».
Quali sono state le prime reazioni al tuo libro?
«Le prime, di sufficienza: un libro ironico, approfondito, fastidioso, ma non pericoloso. Poi con il successo, hanno cominciato a spaventarsi e a reagire in modo stizzoso, come l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga che ha fatto un’interrogazione parlamentare per chiedere al ministro del Tesoro di indagare sulla mia vita privata, quanto guadagno, se ho mai evaso le tasse o se ho mai fatto abusi edilizi. In un Paese serio tutto questo avrebbe sollevato l’indignazione collettiva, anche di tutti gli organi di stampa. In Italia non è successo».
Nei tuoi libri “L’orda. Quando gli albanesi eravamo noi” e “Odissee” parli di emigrazione, di Italia povera, di quello che fecero tanti italiani, che ora vivono qui a Toronto, che partirono con la valigia di cartone in cerca di fortuna. Che ritratto dai di questi emigranti?
«Credo che dobbiamo essere orgogliosi della nostra emigrazione italiana. È stata straordinaria. Abbiamo regalato figure formidabili a tutti i Paesi che ci hanno accolto. Abbiamo però portato, purtroppo, qualche problema. Anche in Canada. Ma questi problemi, che è inutile fingere di non vedere, sono minimi rispetto alla straordinaria ricchezza che ha regalato l’emigrazione italiana».
Si trattava di una fuga dalla miseria. Che cos’è cambiato da allora?
«Era un’Italia disperata. Nessuno, ora, se la ricorda. Era un’Italia terribile, affamata, analfabeta, violenta, dove si uccideva statisticamente 16 volte di più rispetto ad oggi. Dove alla fine dell’Ottocento l’età media delle persone che morivano era di sei anni e mezzo. La mortalità infantile era spaventosa. Era un’Italia dove centinaia di persone vivevano in tuguri, insieme ai maiali e al pollame. Un’Italia profondamente diversa. È giusto ricordarla in modo poi da poter leggere i fenomeni di oggi con l’occhio giusto».
Anche perché, in fondo, seppur inferiore, il flusso di emigranti continua. E mi riferisco a un flusso giovane.
«Esatto. Questa è un’emigrazione soprattutto intellettuale, di ragazzi che cercano quello che l’Italia troppo vecchia non offre. Basti pensare che l’Italia, oggi, ha solo nove docenti universitari sotto i 35 anni. Una percentuale miserabile che dice tutto. Non ci sono giovani in parlamento, nelle professioni, nelle università, nella ricerca. I nostri giovani, giustamente, se ne vanno da un Paese che è troppo egoisticamente racchiuso intorno a una popolazione tra le più vecchie del mondo. Basti dire che l’età media del mondo è di 26 anni, quella dell’Italia è di 42».
Quando gli albanesi eravamo noi. Una provocazione o un semplice dato di fatto?
«Rifacessi adesso il titolo, direi “quando i rumeni eravamo noi”. Perché oggi creano molti più problemi loro. Questo significa che non bisogna mai accettare stereotipi come dati di fatto. Gli albanesi si sono ormai inseriti. Anche se alcuni di loro delinquono, come lo fanno americani, inglesi o francesi. Bisogna avere un po’ di pazienza. I canadesi, gli statunitensi, i francesi, gli inglesi, i tedeschi hanno avuto un po’ di pazienza con noi italiani. E noi dobbiamo fare lo stesso. L’aspetto più bello degli italiani, e che ci rende fieri, è venuto fuori fino in fondo. Bisogna avere un pizzico di pazienza con chi arriva all’inizio».
E cosa racconteresti dell’Italia di oggi a un emigrato che non ritorna da quarant’anni?
«Che l’Italia è un Paese pieno di ricchi, pieno di poveri e pieno di finti poveri. Un Paese male governato, ricchissimo di potenzialità e che butta via un sacco di risorse in diecimila stupidaggini e privilegi».
Sento un po’ di pessimismo nelle tue parole….
«Credo che gli italiani siano gente in gamba ma meritano di più».
Lo spettacolo “Odissee. Italiani sulle rotte del sogno e del dolore” sarà presentato domani [20-10-07, n.d.r.] alle 7.30 pm al Teatro della Dante Alighieri Academy in collaborazione con il Centro Scuola Columbus Centre e l’Acli. L’ingresso è gratuito. Alle 5.30 pm Stella sarà al Columbus Centre per presentare “La casta”.
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L’intervista di Simona Giacobbi a Gian Antonio Stella “Emigrazione, due Italie a confronto” è stata pubblicata sul Corriere Canadese di Toronto, 19 ottobre 2007, e viene qui riprodotta per gentile autorizzazione.
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