01-01-2007 ndr:
abbiamo deciso di “aprire” il nuovo anno con un interessante testo di Claudio Angelini che, nella sua “complessa semplicità”, indirizza prepotentemente il pensiero, al di là di un qualsiasi orientamento politico-sociale-religioso, verso una serie di riflessioni che “l’onestà intellettuale” non può ignorare.
di Claudio Angelini
Ha ancora un senso oggi parlare d’una poesia del religioso, del sacro? Se si hanno in mente certi modelli dei secoli scorsi, che pure una loro attualità mantengono, come, ad esempio, gli Inni Sacri del Manzoni, forse no. Oggi ha più senso semmai celebrare ciò che nessuno celebra, ciò che passa inosservato, che sfugge, perché fa molta più notizia il male che il bene… L’evento invisibile, insomma. Soprattutto perché oggi ci viene proposto come vero, come autentico, ciò che è solo apparenza.
Una volta chiesero, serbiamo nella memoria, al grande regista Kurosawa che cosa fosse per lui il male; lui aveva meditato sul problema. Ammiratore di Shakespeare, aveva in alcuni suoi film adattato testi del poeta inglese alla sensibilità dei suoi connazionali. Ci colpì la risposta: il problema del Male è connesso al Potere, perché il Potere falsifica e deforma ogni cosa. Sentimmo vere quelle parole; il potere umano indiscriminato dispone liberamente e impunemente, d’ogni diritto altrui, d’ogni bene più sacro, a cominciare da quello più grande, quello della vita. Questo avviene con la guerra, anzitutto, ma in tanti altri modi più subdoli, come l’alta mortalità nel mondo del lavoro, l’impunità di fatto consentita a certe categorie professionali, o la negazione stessa del diritto alla vita, che si può attuare nelle forme più insidiose e latenti. Dicevamo, ci viene proposto come autentico ciò che soddisfa la mera apparenza. O che comunque fa il bene materiale solo di pochi, ma fa il male morale di molti, perché molti, chi più chi meno, si abituano a pensare in un certo modo, cioè che il senso della vita consista nel fare liberamente determinate cose, senza eccessivi scrupoli. Ecco la gran differenza col passato, replichiamo a coloro che obiettano: è stato sempre così. Il progresso è un’arma a doppio taglio; il potere oggi dispone di formidabili mezzi per omologare le coscienze; e la risposta più errata forse la danno coloro che s’illudono di sconfiggere la violenza materiale o morale del potere con altra violenza materiale o morale, tanto per fare qualcosa. Ecco, una visione etica e religiosa del mondo deve trasformare gli impulsi di violenza in impulsi d’amore, perché alla base della civile convivenza, di cui cellula primaria è la famiglia, e all’interno d’uno stato e nei rapporti con gli altri stati, dovrebbe esserci più amore, che vuol dire, poi, non qualcosa di astratto, fantasioso, magari di sdolcinato, ma tolleranza, ma comprensione, rispetto dei più deboli, solidarietà e predisposizione al dialogo, all’incontro… Siano le vostre parole si, si, no, no, tutto il resto viene dal Maligno, dice Cristo, cioè viene dalla cupidigia, dall’egoismo, dalla superbia, dall’ipocrisia, che ingenera odio e violenza.
Ma ciò che è vero e grande come principio di fede, non lo è, non è applicabile se si vuole vivere nella realtà del mondo; è la grande “contradictio” che la storia umana ha sempre conosciuto e che doveva culminare, col Rinascimento, nel pensiero di Machiavelli; lo stato ha le sue leggi; la morale e la religione hanno altre leggi, altre norme. Viene così sancito nella valutazione del comportamento umano il criterio della doppia verità. In epoca moderna Hegel, nella sua dialettica, arriva a rinnegare il principio di non contraddizione aristotelico, pur di rendere accettabile l’idea che la politica della forza ha mille volti e mille forme, che si negano e ripropongono all’infinito. Ebbene, non sembri strano; tutto questo ci siamo sempre sforzati di capirlo, ed entro certi limiti di ammetterlo; ma abbiamo anche sempre creduto che politica e religione non agiscono su piani perennemente divergenti; la cosa non avrebbe alcun senso, bensì su piani che tendono necessariamente a convergere. La verità è una, e ad essa tende tutto il travaglio della storia umana; ma dunque è una non secondo un modello consegnato, affidato, all’uomo, o se volete inventato da lui, in maniera immutabile, fissa, indiscutibile. Guai, se fosse così, sia in un’ottica laica che religiosa! Il fanatismo, il dogmatismo, sarebbero in agguato, a immobilizzare ogni progresso, ogni libertà. La verità è una secondo un modello che si compie, che si attua nel tempo, e che sarà compiuto alla fine dei tempi, per i credenti e forse anche per i non credenti, benché la loro teoria su questo punto non sembri chiara. E forse è maturato il termine, in questi primi anni di secolo, e di millennio, per dire che ogni complesso di disposizioni, di leggi emanate da un’autorità politica non apporta giovamento ai fini della sicurezza, del semplice benessere materiale dell’individuo, se in palese contrasto con alcuni primari valori spirituali, la cui importanza, nel tempo, secondo una visione cristiana, è destinata ad aumentare sempre di più. Fatto sta che, credenti o non credenti, la ricerca del compimento della verità impegna tutti, in questa vita, che non è un mero divertimento per nessuno, come diceva il Manzoni. Impegna tutti, laici e credenti, ad esempio, a far sì che si riduca sempre più nel mondo lo spazio occupato dal dolore, dall’ingiustizia, dalla sopraffazione. Impegna tutti, laici e credenti, a promuovere, a rispettare di più la dignità e la libertà dell’uomo, senza discriminazione alcuna di razza, classe o religione. Se è vero, come riteniamo, che la verità si compie a poco a poco nella storia, allora la verità è destinata a identificarsi totalmente con la libertà: la Verità vi farà liberi. L’uomo sarà veramente libero quando non opprimerà più l’altro uomo, quando sarà libero dalla superbia, dall’odio, dalla violenza. Ma in questo, nella capacità d’amare e di porsi come esempio, sta la vera forza alternativa del credente, e in particolare di colui che si dice cristiano.
Un’ultima considerazione, sulla poesia. Siamo nell’era della comunicazione, a tutti i livelli, come si suol dire. Eppure, l’arte della parola, che è comunicazione per eccellenza, e cioè la poesia, è decaduta. Ma l’arte è nelle cose, nella natura; aspetta solo d’essere osservata, interpretata, dall’uomo. L’uomo forse è troppo distratto, non ha più tempo, né modo, di osservare la natura, e di ascoltare infine se stesso per dare un senso a ciò che ha ascoltato, e comunicarlo agli altri. Ha della natura, della realtà, ormai un concetto quasi esclusivamente fruitivo, edonistico. Eppure, l’arte è, tra le altre cose, ricerca d’una complicità d’esperienza, per così dire, che altrimenti non si conclude, rimane sterile; come la gioia, che non è veramente tale se non è comunicata. Noi crediamo, contro il punto programmatico d’un celebrato poeta, Montale, che la parola poetica sia proprio quella che possa aprire una prospettiva nuova su una quantità di mondi, cioè aspetti dell’universo, insospettati e affascinanti, grazie ai quali l’uomo conosca meglio se stesso, e i suoi simili, e li ami di più. C’è un verso stupendo di Friedrich Hölderlin che dice: “… poeticamente abita l’uomo…”. Il filosofo Heidegger, grande umanista nonostante sostenga che l’uomo viene dal nulla, e che tutto, con l’uomo, torna nel nulla (difatti rifiutiamo la sua interpretazione nichilistica della realtà, e i fraintendimenti politici che ne sono conseguiti) non meno stupendamente commenta: “Abitare sulla terra significa già dimorare sotto il cielo, e quindi rimanere davanti ai divini. Entrambe le cose implicano una appartenenza alla comunità degli uomini. C’è un’unità originaria entro la quale i Quattro: terra e cielo, i divini e i mortali, sono una cosa sola”. (Martin Heidegger, da “Saggi e discorsi”, nel saggio: “Costruire, abitare, pensare”).
Claudio Angelini
Commenti