DONNE RINUNCIANO AL 2° FIGLIO
ISTAT: LIEVE RIPRESA DELLE NASCITE, MA LA MEDIA E’ DI 1,33 FIGLI
(DIRE) Roma, 17 gen. – Vorrebbero avere almeno due figli, ma, il piu’ delle volte, sono costrette a farne uno solo. A frenarle sono sia motivi di lavoro che economici. Resta dunque nel cassetto, il piu’ delle volte, il desiderio delle donne italiane di essere madri una seconda e, magari, una terza volta. E’ questa la fotografia che emerge dalla seconda indagine campionaria dell’Istat sulle nascite in Italia, dal titolo “Essere madri in Italia nel 2005”. E’ anche per questo che, ad oggi, il modello familiare prevalente rimane quello del nucleo con un solo figlio. Una piccola ripresa nelle nascite, a dire il vero, secondo l’Istat c’e’ stata: dagli anni ’90 ad oggi il numero dei parti e’ tornato a crescere. Ma la media di figli per famiglia rimane bassa: nel 2005 erano 1,33 figli per ogni donna in eta’ feconda (tra i 15 ed i 49 anni). Si tratta, spiega l’Istat, di uno dei livelli piu’ bassi osservato nei paesi sviluppati. Nello stesso tempo, cambiano le modalita’ temporali scelte dalle coppie per avere figli: oggi, alla nascita del primo figlio, l’eta’ media della madre ha raggiunto la soglia dei 29 anni, mentre per molti anni si era attestata attorno ai 25. Si fanno meno figli, dunque, e sempre piu’ tardi. Una situazione che non rispecchia, pero’, i desideri delle donne che, secondo al rilevazione dell’Istat, vorrebbero diventare madri almeno due volte.
Nelle aspettative delle donne italiane, secondo l’indagine Istat, il modello familiare dominante si conferma essere quello con due figli in oltre il 61% dei casi. Il 26% delle donne vorrebbe arrivare persino a 3 figli o piu’, mentre solo il 12% dichiara di volere un solo figlio. Esiste comunque un divario nei desideri delle italiane determinato dall’eta’: la proporzione di donne che intende avere un solo figlio cresce rapidamente a partire dai 25 anni di eta’ e per le donne con piu’ di 40 anni e’ del 18%. Livelli elevati si registrano anche per le madri piu’ giovani: il 15% delle donne con meno di 25 anni non ha intenzione di avere altri figli in futuro (erano l’11% nel 2002). Ulteriori indicazioni sulle scelte riproduttive delle donne, possono derivare dall’analisi delle motivazioni fornite dalle madri per non avere un altro figlio. Il campione di madri, distinte per numero di figli, e’ rappresentativo delle 536 mila donne che hanno avuto un figlio nel 2003. Di queste madri, il 51% ha avuto il primo figlio, il 38% e’ all’esperienza del secondo e l’11% ha avuto il terzo figlio o un figlio di ordine successivo. Le donne che non vogliono avere altri figli in futuro sono pari al 40% delle intervistate, in leggero aumento rispetto al 2002 (erano il 37%).
Ma cosa frena le italiane quando si tratta di avere un secondo o terzo figlio? Le intervistate non hanno dubbi: i motivi economici (20,6% dei casi), l’eta’ avanzata (14,5%) e il lavoro (9,5%) sono tra le principali ragioni per chi ha gia’ avuto il primo figlio. Rispetto al 2002, segnala l’Istat, si osserva, qualunque sia il numero di figli avuti, un aumento del numero delle madri che indica il costo della prole come motivo prevalente per non volerne altri. Tale incremento e’ particolarmente accentuato per le madri al primo figlio e per quelle al secondo (piu’ 5%). Nelle primipare si osserva inoltre una crescita anche della proporzione di donne che ritiene troppo avanzata la propria eta’ per avere altri figli (piu’ 3,5%).
UNA NEO-MADRE SU CINQUE LASCIA, O PERDE IL POSTO
IL 40% HA DIFFICOLTA’ NEL CONCILIARE FIGLI E LAVORO
(DIRE) Roma, 17 gen. – In Italia famiglia e lavoro possono essere ancora difficilmente conciliabili. Secondo l’Istat, che oggi presenta i risultati della seconda indagine campionaria sulle nascite, tra le donne che nel 2003 sono diventate madri, una su cinque ha perso o lasciato il lavoro. Di quelle che invece continuano, il 40% afferma di avere difficolta’ nel conciliare i temi della prole con quelli dell’ufficio. Sta ovviamente un po’ meglio chi puo’ contare all’aiuto dei nonni. Tra le neo-mamme (50 mila quelle intervistate nel 2003 dall’Istat) era sul mercato del lavoro (ne aveva uno o era in cerca di occupazione) il 63,3%. “Conciliare scelte riproduttive e lavorative significa non dover subordinare una scelta all’altra. Dai risultati dell’indagine emerge, tuttavia- spiega l’istituto di statistica- che il diritto di scegliere e’ solo teorico per molte donne con figli piccoli”. Quasi una madre su 5 lascia o perde il lavoro dopo la nascita dei figli: “Il 18,4% di tutte le madri occupate all’inizio della gravidanza non lavora piu’ al momento dell’intervista”. In particolare, il 5,6% e’ stata licenziata o ha perso il lavoro per scadenza del contratto o per chiusura dell’attivita’. Il 12,4%, al contrario, si e’ licenziata “per via degli orari inconciliabili con i nuovi impegni familiari, o per potersi dedicare completamente alla famiglia”.
Ma un conto e’ lavorare e avere un figlio al Nord, altro al Sud. E la differenza la fa anche il livello di
istruzione delle madri. Non lavorano piu’ dopo la nascita dei figli il 25% delle mamme residenti al Sud contro il 15% di quelle del Nord. E’ piu’ frequente che una madre lasci o perda il lavoro quando ha un grado di istruzione inferiore. E’ cosi’ per il 32% di quelle che hanno al massimo la licenza media; tra le laureate, invece, sono solo il 7,8%. Se la maggior parte delle donne (il 72,5%) prosegue l’attivita’ lavorativa che svolgeva in gravidanza, l’indagine Istat mostra che una parte molto rilevante (il 40,2%) dichiara di avere delle difficolta’ nel conciliare la vita lavorativa con quella familiare. Gli aspetti piu’ critici sono “la rigidita’ nell’orario di lavoro (nel senso di non poter entrare piu’ tardi o uscire anticipatamente se necessario, o usufruire di ore di permesso privato, ecc.) e lo svolgere turni, lavorare la sera o nel fine settimana”. Ovviamente, queste difficolta’ “sono minori per le madri che possono usufruire delle reti di aiuto informale”. Afferma di avere difficolta’, infatti, il 38% delle madri che puo’ contare sull’aiuto dei nonni, contro il 46,5% di chi invece deve ricorrere all’asilo nido pubblico e il 47,2% di chi affida il bambino ad una baby-sitter.
MAMME ITALIANE, POCHI FIGLI E SEMPRE PIU’ TARDI
NONNI RISORSA PER I PRIMI ANNI DI VITA, IN CASA LAVORA LA DONNA
(ANSA) – ROMA, 17 GEN – Le donne italiane fanno sempre meno figli, ne desiderano al massimo due e li vogliono dopo aver completato gli studi e trovato lavoro. Con il risultato che l’eta’ media in cui si diventa mamme nel nostro Paese e’ salita fino a 29 anni. E se crescono l’utilizzo del part time o dei congedi parentali, la necessita’ di lavorare porta a utilizzare sempre piu’ i nonni (52,3%) come soluzione per affidare i piccoli (1-2 anni), anche perche’ gli asili nido sono presenti in modo discontinuo sul territorio, in particolare con differenze tra il Nord e il centro, e il Sud del Paese. E’ l’analisi che l’Istat fa nel suo rapporto ”Essere madri in Italia”, frutto di una indagine condotta nel 2005 su un campione di circa 50 mila madri di bambini nati nel 2003 (il 10% del totale). Il rapporto evidenzia anche uno squilibrio legato al lavoro in casa: il 63% delle madri occupate ha dichiarato di
non ricevere alcun aiuto per i lavori in casa, il 52% di chi e’ aiutata lo e’ da una collaboratrice domestica, mentre solo il 17% lo e’ dal partner. Nel nostro Paese nascono in media 1,33 figli per ogni donna in eta’ feconda ”uno dei livelli piu’ bassi di fecondita’ osservato nei paesi sviluppati, ed e’ il risultato di una progressiva diminuzione delle nascite che e’ in atto da circa un secolo”. Tenendo anche presente che l’inversione che si e’ avuta dalla seconda meta’ degli anni Novanta e’ legata alla presenza sempre piu’ numerosa di famiglie immigrate. Per quanto riguarda gli aiuti alla mamma, il 52,3% dei bambini di 1-2 anni sono affidati ai nonni quando la donna lavora. La percentuale sale al nord (56,9% nel nord- ovest, 53,1% nel nord-est), cala al centro (50,5%) e al sud e nelle isole (49,2% e 44,3%). L’asilo pubblico e’ frequentato dal 13,5% dei bambini mentre il 14,3% va a un asilo privato. Il 9,2% e’ invece affidato a una baby sitter e il 7,3% e’ accudito dagli stessi genitori. Rispetto al 2002, l’Istat rileva un lieve incremento della percentuale di bambini che frequentano un asilo nido pubblico (+1,3%) e soprattutto privato (3,5%) prevalentemente a discapito dei bambini affidati alla baby sitter (-2%) o accuditi dagli stessi genitori (-1,6%). Diversi i commenti delle parti politiche: se per Donatella Poretti (Rnp), i dati Istat ”non sono confortanti” perche’ le donne ”incontrano non poche difficolta’ pratiche” a diventare mamme, per Sandra Cioffi (Udeur), ”ancora una volta i dati Istat dimostrano che la famiglia, in questo caso i nonni, e’ sempre la struttura portante della societa’. Rimane pero’ anche il dato che e’ essenziale incrementare i servizi socio educativi per la prima infanzia”.
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