Sano l’intento ed il sentimento di fondo, salvo aver trasformato questo progetto in una sorta di demonizzazione della donna: della sua emancipazione, della libertà di scelta e del carrierismo visto come impedimento alla maternità.
Su #FertilyDay. Già il nome mi urta. Perché mai ridurre ad un ridotto termine inglese la campagna di sensibilizzazione promossa dal Ministero della Salute, nata per informare e dare “consigli” su come migliorare la fertilità così da incrementare le nascite, fortemente in calo? Infatti ha sollevato un polverone. Trovo “sano” l’intento ed il sentimento di fondo, salvo aver trasformato questo progetto in una sorta di demonizzazione della donna: della sua emancipazione, della libertà di scelta e del carrierismo visto come impedimento alla maternità.
Squallida e molto l’ultima comunicazione, l’epilogo è stato proprio ieri (21 u.s.) con l’uscita di un manifesto diviso a metà tra buoni e cattivi. In un mondo sempre più eterogeneo e multirazziale, inclusivo e rispettoso delle differenze, mi chiedo come si possa ” ancora” mettere tra i cattivi un ragazzo con i capelli “Rasta” o di colore e chi fuma. Mi chiedo come si possa permettersi di mettere tra i buoni immagini di ragazzi e ragazze ”bianchi”, riprese da cartelloni stile Beverly Hills. Stereotipi, dannosi a tutti. Quelli che combattiamo ogni giorno.
E le donne che si sono sentite offese, ed anche qualche uomo ma sempre pochi, in contemporanea alla giornata indetta dalla Ministra, in diverse piazze d’Italia ha messo in atto il #NOFertilyDay.
Donne e uomini convinti che il problema della denatalità debba essere affrontato quale problema strutturale, e risolto diversamente, non con campagne dal sapore propagandistico e ideologico, figlio di una subcultura che dovrebbe essere ormai morta e sepolta. Occorrono politiche strutturali, che consentano alle coppie e alle famiglie di avere le risorse, le condizioni di certezza lavorativa e progetti di vita stabile, l’unico strumento tramite il quale aiutarle ad avere figli.
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