L’appello diventa internazionale
Continua la mobilitazione contro le pene stabilite dalla giustizia iraniana,
per Sakineh e tutti gli altri condannati
di Rosalba Castelletti
ROMA – Quasi 140 mila firmatari, tra cui sette Premi Nobel e due ministri della Cultura. Continua ad allungarsi l’appello di Repubblica per la scarcerazione di Sakineh Mohammadi Ashtiani, la quarantatreenne iraniana condannata alla lapidazione per adulterio e concorso in omicidio. Alle firme di decine di intellettuali francesi e italiani, tra cui i Premi Nobel Rita Levi Montalcini e Luc Montagnier, si aggiunge oggi anche quella di Frédéric Mitterand, ministro francese della Cultura e della Comunicazione. E intanto l’appello acquista un respiro sempre più europeo e internazionale: già rilanciato dal settimanale francese Le Nouvel Observateur (il cui sito rimanda a Repubblica per le adesioni), verrà ripreso anche dal quotidiano belga Le Soir e dal quotidiano lussemburghese franco-tedesco Tageblatt.
IL NOSTRO APPELLO PER SAKINEH 1
“Ieri a Bruxelles ho incontrato il Nobel iraniano Shirin Ebadi e mi ha detto di ringraziare l’Italia e La Repubblica per tutto quello che stanno facendo per il suo Paese”, dice il filosofo Daniel Salvatore Schiffer, promotore della petizione, commentando il successo della mobilitazione. Ma, aggiunge, non bisogna desistere. Schiffer ricorda che, oltre a Sakineh, altri 24 iraniani – 20 donne e quattro uomini – rischiano la morte sotto il colpo delle pietre e che nelle carceri iraniane vi sono oltre 800 prigionieri politici, decine dei quali sono stati condannati a morte.
“Per questo abbiamo deciso di allargare il nostro appello. Chiediamo a Teheran di annullare la condanna alla lapidazione che incombe non solo su Sakineh, ma su tutti gli altri iraniani che rischiano la stessa pena efferata, come la giornalista Shiva Nazar Ahari accusata di “cospirazione contro Dio” solo per le sue opinioni politiche o il diciottenne Ebrahim Hamidi accusato di “sodomia” perché omosessuale. Chiediamo insomma l’abolizione della lapidazione e di qualsiasi altra pena di morte ancora in vigore in Iran”, spiega Schiffer.
Secondo il filosofo, il rischio è che il regime Teheran risparmi la vita di Sakineh, ma continui nell’ombra a mettere a morte dissidenti e donne innocenti. Timore condiviso anche dalla stessa Ebadi e da Karim Lahidji, giurista iraniano in esilio da 27 anni, presidente della Lega iraniana per la difesa dei diritti umani e vicepresidente della Lega internazionale per i diritti umani: da quando è al potere Mahmud Ahmadinejad, ricordano, c’è almeno una messa a morte al giorno in Iran. (19.09.10)
Info: Repubblica.it http://www.repubblica.it/esteri
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