Accademia dei Bambini Progetto a cura di Giannetta Ottilia Latis Ideazione dello spazio sviluppata in collaborazione con gli studenti dell’École nationale supérieure d’architecture de Versailles sotto la direzione di Cédric Libert ed Elias Guenoun Fondazione Prada Milano 2015 foto Delfino Sisto Legnani Courtesy Fondazione PradaAccademia dei Bambini Progetto a cura di Giannetta Ottilia Latis Ideazione dello spazio sviluppata in collaborazione con gli studenti dell’École nationale supérieure d’architecture de Versailles sotto la direzione di Cédric Libert ed Elias Guenoun Fondazione Prada Milano 2015 foto Delfino Sisto Legnani Courtesy Fondazione PradaVeduta della mostra “An Introduction” Opere di: Piero Dorazio, Mario Schifano, Giulio Paolini, Konrad Klapheck, Gerhard Richter, Roy Lichtenstein, John Wesley, Brice Marden, Goshka Macuga, Francesco Vezzoli, Jeff Koons, William N.Copley, Lucio Fontana, Enrico Castellani Fondazione Prada Milano 2015 Foto Attilio Maranzano Courtesy Fondazione PradaVeduta della mostra “An Introduction” Fondazione Prada Milano 2015 Foto Attilio Maranzano Courtesy Fondazione Prada.
Visitando la nuova sede della Fondazione Prada a Milano, inaugurata un paio di mesi fa, ciò che maggiormente impressiona è ritrovarsi immersi in quell’atmosfera di internazionalità che (troppo) spesso non si rintraccia in molte nostre istituzioni. Quell’atmosfera che ti fa sentire fuori dai confini (non di rado asfittici e polverosi) della nostra Penisola, al pari degli altri Paesi e non solo europei. Quella stessa sensazione che si prova, ad esempio, visitando anche la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo o l’Hangar Bicocca, guarda caso entrambe nel Nord Italia: sarà forse una coincidenza?
Molto dell’incanto è riposto nell’ammirare l’equilibrato e felice recupero industriale, e il suo coniugarsi con una collezione di arte colta, brillante e raffinata, che ha sapientemente individuato e scelto le opere tra le più significative del panorama artistico contemporaneo e non solamente. Tutto merito del buon consiglio dell’acuto Germano Celant? Forse non semplicemente. Anyway. Situata nel quadrante sud della città, fuori dal centro, nella zona Ripamonti-Lodi per lungo tempo occupata da industrie lentamente abbandonate, trasformata così in terra di nessuno, nello specifico, lo spazio, era occupato da una distilleria risalente al 1910. Pertanto, la Fondazione ha senz’altro contribuito al recupero urbanistico e sociale e, perché no, anche economico dell’area. Ideato dallo studio di architettura OMA, guidato da Rem Koolhaas, il progetto ha combinato edifici preesistenti con tre di nuova costruzione (Podium, Cinema e Torre, quest’ultima ancora in fase di ultimazione), con la lucida intenzione dell’archi-star di far coesistere e confrontare le strutture originarie con quelle recenti. Attraverso questa fusione si ricopre, così, una superficie totale di 19.000 m², di cui ben 11.000 dedicati alle attività espositive.
Fondata nel 1993, con le due sedi di Milano e di Venezia, la Fondazione Prada ha alle sue spalle una vasta e solida attività culturale, dall’organizzazione di mostre personali, a progetti permanenti, alla produzione di film, che la collocano senza ombra di dubbio tra i maggiori attivatori culturali. Quindi, si arriva a largo Isarco, un vasto slargo sul quale campeggia e domina la costruzione. Si varca il cancello e subito si è calati in una dimensione altra, in una dimensione quasi metafisica, dove la linearità degli edifici squadrati in cemento si coniuga con vaste vetrate, diaframma tra il dentro il fuori, che anticipano e fanno ancor più desiderare vedere da vicino il dentro. I racconti sopraggiunti erano tutti veri, ma fin quando non si vede, non si comprendono fino in fondo. Perché, oltre alla potenza delle architetture, gran parte della forza dell’intero complesso è rimessa nei dettagli (la pavimentazione, la posizione degli alberi, le spianate, le strutture dei servizi guardaroba e igienici, i corrimano, l’illuminazione), che enfatizzano e valorizzano la collezione. All’interno, una folta squadra di giovanissimi custodi/mediatori culturali, gentili e pronti a fornire tutte le indicazioni e informazioni del caso, rende ancor più confortevole la visita. Supportato anche da una mappa stampata nel retro del puntuale programma, il visitatore, svincolato da percorsi preordinati, liberamente costruisce il suo personale itinerario. Quindi, come detto, varcata la soglia, da un lato ci sono la biblioteca e l’accademia dei bambini, e già questi primi due spazi dedicati, palesano immediatamente alcune delle priorità della Fondazione; dall’altro lato l’ala Nord; di fronte il Podium. Di fianco alla lineare e squadrata biglietteria, c’è il Bar Luce. Progettato dal regista Wes Anderson, è un tuffo nel passato. Ricrea infatti quell’atmosfera di un tipico caffè della vecchia Milano, con tanto di flipper che funzionano solamente con monete da 100 lire! Haunted House, l’ala Sud, il Cinema, la Cisterna e il Deposito completano la struttura. Biglietto alla mano, perché all’ingresso di ogni organismo ne viene richiesta la visione, si inizia il tour. Ricco e denso, non si può raccontare in modo sintetico né tralasciando le singole sezioni. Altro indizio delle priorità e degli impegni della Fondazione è fornito non solo dalla presenza del Cinema, ma anche dalla mostra allestita nel Podium. L’originale dislocazione dei diversi elementi scultorei, caratterizzata da un serrato susseguirsi di “sali e scendi” che brillantemente spezzano quella nota monotonia degli allestimenti della statuaria classica di Serial Classic. Moltiplicare l’arte tra Grecia e Roma (visitabile fino al 24 agosto). Curata da Salvatore Settis e Anna Anguissola, l’esposizione insiste nel voler sfatare quella convinzione che l’arte classica, greca quanto romana, sia caratterizzata dall’unicità degli esemplari. Invece, ebbe una produzione che oggi chiameremmo seriale, che ha consegnato alle copie una dignità pari all’originale. Copie che oggi hanno inoltre un alto valore anche storico, perché, soprattutto grazie ad esse, si conoscono quei capolavori di cui l’originale è andato perduto. Mostra che getta altresì un ponte con il nostro presente, con gli stessi concetti di replica e imitazione a noi più familiari. Un metodo inedito, quindi, di illustrare le radici, per una maggiore comprensione dell’oggi. Un modo per dire: da qui parte tutto, questa è la nostra Storia; dalla nostra storia nasce il nostro presente, la nostra arte. Si rintracciano così le origini di quell’arte contemporanea pazientemente raccolta e esposta nelle ali Sud (An introduction, fino al 10 gennaio 2016) e Nord (In Part, fino al 31 ottobre 2015), dove esplode la grande abilità del collezionare. Nella sezione Sud, un’arte che si sviluppa dagli anni Sessanta, passando per il New Dada al Minimal Art, sono presenti delle opere di Pino Pascali mozzafiato, di Barnett Newman, una quadreria da far girar la testa, che da sola è un Bignami della storia dell’arte degli ultimi anni (da Salvatore Scarpitta a Lucio Fontana; da Enrico Castellani a Jeff Koons, a Gerhard Richter, a Mario Schifano, tanto per citare alcuni nomi), uno Studiolo originale del Quattrocento che fa da supporto per la Madonna del Bauhaus di Francesco Vezzoli, la grotta Nathalie Djurberg.
Un’ulteriore sorpresa è riservata anche dal Deposito, dove sono presenti diversi veicoli di diversa natura, appartenuti ad alcuni artisti o realizzati da altri, a riprova della vicinanza tra l’artistico e la quotidianità. Sfilano così sotto i nostri occhi quelli di Sarah Lucas, Elmgreen & Dragset, Carsten Höller & Rosemarie Trockel, Tobias Rehberger e Gianni Piacentino.
Mentre nella galleria Nord, con la curatela di Nicholas Cullinan, è allestita una mostra che prende avvio da una fotografia di Robert Raushenberg scattata a Cy Twombly vicino alla gigantesca mano di Costantino nella Basilica di Massenzio a Roma nel 1952. Dall’idea di frammento e “corpo frammentato”, sono state così riuniti i lavori, quasi tutti provenienti dalla collezione Prada, di Maurizio Cattelan, Pino Pascali, David Hockney, Francesco Vezzoli, Giulio Paolini, Domenico Gnoli, Yves Klein, Francis Picabia, Michelangelo Pistoletto.
Alla Haunted House, le cui facciate esterne sono state rivestite di una strato di foglia d’oro, sono affidate le installazioni permanenti di Louise Bourgeois e di Robert Gober. Le tematiche del corpo, e della sua violazione, di Cell (Clothes), 1996, e Single III, 1996, dell’artista francese, sono messe in dialogo con Untitled (enorme scatola di cereali, 1993-94), Original Model for Top Floor of the Haunted House (2014), Legs Wallpaper (1995-2015), Corner Doors and Doorframe (2014-15) e Untitled (tombino in bronzo, 2014-15), dell’artista americano.
Il Cinema fino al 25 luglio ospita Roman Polansky: My Inspirations, l’interessante documentario intervista del 2015 di Laurent Bouzereau. Nel Cinema-1 si trova la suggestiva installazione permanente di Thomas Demand, rinnova la collaborazione con Celant (testata anche nella mostra veneziana When Attitudes Become Form del 2013). Processo Grottesco conferma, ancora, la bravura artistica del fotografo tedesco, che ha fedelmente ricostruito, partendo da una cartolina, una grotta dell’isola di Maiorca, utilizzando ben 30 tonnellate di cartone grigio, sagomato col computer, disposto in 900.000 sezioni, in seguito da lui fotografata, mettendo alla prova la capacità percettiva del visitatore e svelando l’ambiguità tra il falso e il verosimile.
La Cisterna invece è dedicata al progetto espositivo Trittico, concepito dal Thought Council (Shumon Basar, Nicholas Cullinan, Cédric Libert) che prevede l’allestimento a rotazione di un solo lavoro della Collezione Prada per ciascuno dei tre ambienti in cui si suddivide l’intero spazio, al fine di mettere in evidenza i punti di contatto, anche inaspettati, tra artisti diversi fra loro, approntati oltretutto in un contesto inusuale. Ecco allora il sorprendente 1 metro cubo di terra (1967) di Pino Pascali che si confronta col seducente Lost Love (2000) di Damien Hirst e l’intimo Case II (1968) di Eva Hesse, accomunati dalle forme e dalla fusione di elementi naturali a oggetti. (Daniela Trincia)
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