Nei giardini di Villa Medici, all’Accademia di Francia, è possibile vedere, assieme alla mostra dedicata a François Marius Granet, fino al 24 maggio, una serie di fotografie di Youssef Nabil che, nato al Cairo nel 1972, vive e lavora ora a New York.
Intitolata “J won’t let die”, questa è la sua prima mostra in Italia.
L’artista presenta una serie di ritratti e autoritratti, ambientazioni in studio, che compongono una sorta di diario. Nabil è intento ad appropriarsi della vita e del suo “lapsus”, della morte attraverso lo scatto fotografico e il successivo gesto pittorico.
La tecnica utilizzata, stampa ai sali d’argento colorata ad acquerello, porta dritto nella regione del cuore e dell’ambiguità. Nabil subisce il fascino del cinema egiziano degli anni 1950 e 1960. Quindi troviamo una serie di ritratti di personalità del mondo dell’arte, della letteratura, dello spettacolo.
Gli autoritratti sono visti come possibilità di guardare se stessi agire nel mondo, d’essere spettatore e testimone del proprio film privato (il protagonista – il fotografo – è sempre ripreso di spalle, non ne vediamo quasi mai il volto, come se guardasse, infatti, se stesso nella rappresentazione della propria vita).
Dai pannelli di commento alla visita
— — — — — —
FRANÇOIS MARIUS GRANET
maestro dell’acquerello
La Trinité-des-Monts et la Villa Médicis, à Rome (1808)
Sorpresa e incanto: ecco i sentimenti che si provano nella vera e propria contemplazione degli acquerelli di Granet esposti a Villa Medici, Accademia di Francia, fino al 24 maggio.
Formatosi ad Aix-en-Provence e poi nell’atelier di David a Parigi, François Marius Carnet arriva a Roma nel 1802 e scopre il piacere della pittura en plein air e il fascino delle rovine. Non ha, come Hubert Robert e Piranesi, una visione pittoresca o monumentale; preferisce al contrario dipingere i frammenti. All’ombra delle arcate del Colosseo o nella loggia di Villa d’Este a Tivoli, lavora lontano dall’atelier utilizzando strumenti leggeri e maneggevoli. Celebrato dai contemporanei come il pittore dei Cappuccini, predilige gli interni di chiese silenziose e segrete. Interprete di una religiosità interiore ed ascetica, dipinge anche tele ispirate alla vita degli artisti e ad episodi storici: interni vuoti, in penombra adatti alla preghiera (La scuola delle monache, Il coro dei Cappuccini della Chiesa di Piazza Barberini a Roma, La Chiesa Inferiore di San Francesco di Assisi, La morte di Poussin, Ricevimento di cardinali a Villa Belvedere di Frascati, Il Cardinale Pietro Aldobrandini riceve il Domenichino a Villa Belvedere a Frascati). Questa attività accademica gli ottiene numerosi riconoscimenti ufficiali.
Nei suoi anni romani (1802-1824), pur dedicandosi alla pittura ufficiale, è un artista flâneur che esce dall’atelier per seguire i sentieri della natura. Dipinge su piccoli formati, a olio su carta, una tecnica veloce che gli permette di catturare le variazioni di luce dei paesaggi di Roma. Questi piccoli dipinti, intimi e privati, non erano destinati alla vendita, ma servivano all’artista per esplorare i territori della luce e della natura (Terrazze sulla campagna romana, Edifici sulla collina): dalle tele più grandi alle più piccole, c’è sempre grande varietà di sfumature di cielo e case isolate senza presenza umana. Il pittore è catturato moltissimo dalla campagna, dai tramonti sulle colline, dal passaggio delle nuvole, dalla presenza dei pini marittimi, dalla vallata del Tevere, dalle montagne innevate della Sabina.
Nell’ottobre del 1824, Granet è chiamato a dirigere il Musée Historique di Versailles: sarà una vera e propria rivelazione. L’artista vive tra Parigi, Versailles e la casa di Aix-en-Provence, la Bastide di Malvalat. Nonostante l’impegno al museo, coltiva un amore quotidiano e segreto: dipingere ad acquerello una tecnica rara a quel tempo nell’arte francese. Questa pittura liquida e impalpabile gli permette di cogliere luminosità e trasparenze d’un paesaggio silente, senza figure. Un paesaggio lirico, immateriale fatto di solo colore: “Cominciava a calare la notte. Il paesaggio assumeva quella tonalità cupa che invita alla malinconia. Ogni cosa nasconde allora la propria forma, lasciando all’immaginazione il privilegio d’interpretarla (Granet, Mémoires, 1872).
(Dai pannelli illustrativi della Mostra)
Fausta Genziana Le Piane
Commenti