Recensione a ‘Napoli di ieri’ di Francesca Santucci

Di Napoli e di ciò che tale città con la sua storia millenaria e le antichissime tradizioni ha rappresentato nel tempo, sembra che ormai sia stato detto tutto ma qualunque nuovo testo al riguardo va invece ad aggiungere nuove sfaccettature a questo prisma che continua da sempre a rifulgere di luce propria.
E’ così, infatti, per i ventisei godibilissimi racconti contenuti nel libro di Francesca Santucci Napoli di ieri (edizioni Penna d’Autore, 2005, pp. 139) che attraverso uno stile sobrio e scorrevole, una sottile ironia e un celato buonumore, riescono a captare sin dall’inizio l’interesse del lettore, sia egli partenopeo o meno.
Dai racconti trapela, prima di tutto, l’amore viscerale che l’autrice, napoletana di nascita e bergamasca d’adozione, poetessa e scrittrice di squisita sensibilità, peraltro ideatrice e curatrice di uno fra i più bei siti web di letteratura presenti in Internet (www.letteraturaalfemminile.it), nutre da sempre nei confronti della propria città natale e che, sebbene lontana per distanza chilometrica, è più che mai viva nel suo cuore attraverso il ricordo fornitole dalle sensazioni sfumate e dalle emozioni ancora intatte dell’infanzia.
Sono belli questi racconti e tutti si collocano, a fine lettura, autonomamente nella mente di chi legge come in un grande affresco ove ognuno degli innumerevoli personaggi evocati va a disporsi con naturalezza in un suo angolo.
La vivacità che pervade ogni singolo racconto è data soprattutto dalla riproduzione fedele di espressioni dialettali tipiche della napoletanità di un tempo che, puntualmente corredate in nota dalla rispettiva e dotta traduzione italiana, nonché dalla loro provenienza letteraria quando ce ne sia bisogno, riescono sempre in maniera molto felice a dar vita e personalità alle figure di gente del popolo avvicendantesi; si susseguono infatti le anziane donne dei bassi, i contrabbandieri che spesso non sono tali, le bambine e i bambini, il parroco di quartiere, la pizzaiola, la donna bella o quella sfortunata e tante altre ancora.
Sembra quasi di vederli e di conoscerli uno per uno questi personaggi, un microcosmo il cui atteggiamento autentico e genuino è sempre avulso da sovrastrutture, anche perché l’autrice spesso ce li propone più volte reimpiegandoli come figure di sfondo in racconti successivi. Il finale a sorpresa, quasi sempre presente e volto all’ilarità, è poi perfettamente in linea con il caratteristico ‘buonismo’ partenopeo secondo cui tutto può succedere nella vita senza che ci si stupisca più di tanto.
E sembra anche di avvertire gli odori tipici della Napoli che fu, quando si parla dei bassi e dei vicoli dell’Arenaccia permeati del nauseabondo ‘olezzo’ del povero piatto base della cucina giornaliera o dell’odore gustoso del ragù, del modo di impastare e condire la pizza con i vari suoi ingredienti, o si menzionano i venditori ambulanti di un tempo oggi sconosciuti alle nuove generazioni.
Ma soprattutto ampio spazio viene riservato al sentimento, alla nostalgia, al grande cuore di Napoli che, in particolare nei tre racconti intitolati: Il sogno, Angelina primo amore, Non addio, meravigliosa nonna, esprimono al meglio l’estrema umanità invariabilmente presente in coloro che sono semplici e buoni e che rimangono il cardine su cui ruota ancora, malgrado tutto, quella città che tanto ha fatto e fa spesso parlare di sé nel mondo nella buona e nella cattiva sorte.

Maddalena De Leo

Categorizzato in: